COPPA, DUCATO DI URBINO PROBABILMENTE PESARO, SECONDA METÀ SECOLO XVI
in maiolica dipinta in policromia con blu di cobalto, verde ramina, bruno di manganese, giallo antimonio nei toni del giallo e dell’arancio; diam. cm 25,7, diam. piede cm 11,5, alt. cm 5
A BOWL, DUCHY OF URBINO PROBABLY PESARO, SECOND HALF 16TH CENTURY
Bibliografia di confronto
R. Gresta, La maiolica istoriata a Pesaro, nuovi apporti sul pittore del Pianeta Venere, in “Ceramicantica” II, gennaio 1992;
A.V.B. Norman, Wallace Collection Catalogue of Ceramics 1: Pottery, Maiolica, Faience, Stoneware, Londra 1979, p. 246 n. C 121
La coppa su alto piede presenta cavetto largo e tesa appena rilevata bassa senza soluzione di continuità, l’orlo è arrotondato e poggia su piede rilevato applicato a freddo. Lo smalto è grasso, ricco e materico con vetrina brillante lucida e vetrosa sia sul fronte, sia sul retro, e la pittura è stesa con abbondante uso dei pigmenti. Mentre al verso l’ornato si limita a righe gialle concentriche che ne sottolineano gli stacchi di forma, il decoro sul fronte interessa l’intera superficie e raffigura l’episodio mitologico di Aretusa e Alfeo. Ovidio nelle Metamorfosi (V, 572 e segg.) narra che la ninfa Aretusa, bagnandosi per rinfrescarsi nelle acque del fiume Alfeo, lo fece innamorare al punto che il dio fluviale cercò di inseguirla: la ninfa allora chiamò in aiuto Artemide, sua protettrice, che la avvolse in una nuvola per condurla in volo in Sicilia nei pressi di Ortigia, dove la stessa Aretusa si tramuta in una sorgente d’acqua dolce. Ma Alfeo, realmente innamorato della ninfa, chiese l’intercessione del padre Oceano per attraversare le acque dello Ionio e raggiungere l’amata.
Tale soggetto ebbe un buon successo nella produzione urbinate della metà del secolo XVI, testimoniato ad esempio dal piatto databile al 1550-1560 del Museo di San Pietroburgo (inv. n. F3028) oppure quelli del Museo di Cluny a Parigi, del Victoria And Albert o del Braunschweig, dove Diana sembra derivare dall’incisione di Donna seduta di Marcantonio Raimondi da Parmigianino (Bartsch XV, p. 47 n. 31), , leggermente variata nella posa, mentre la figura di Alfeo è tratta dall’incisione di Giovanni Jacopo Caraglio che raffigura Apollo e Dafne (Bartsch XV, p. 78 n. 34).
Nella nostra coppa i personaggi, che sembrano trarre ispirazione dalle stesse incisioni, sono raffigurati tra quinte di rocce e alberi che separano il primo piano da un paesaggio marino circondato da montagne dai profili aguzzi. A destra Diana, seduta, crea con la mano la nube che avvolge la giovane ninfa in fuga, raffigurata di spalle mentre il giovane dio del fiume la insegue con le mani tese per raggiungerla. Le figure sono delineate con tratto deciso, i volti e i dettagli sono illuminati da tocchi di bianco di stagno, in contrasto con la scelta cupa dei colori molto materici che caratterizzano il paesaggio. Sapiente l’uso del bistro grigio a creare le ombreggiature dei corpi e delle nubi. Alcuni elementi del paesaggio trovano riscontro con il piatto con la Contesa di Pan e Apollo della Wallace Collection di Londra, attribuito al Ducato di Urbino intorno al 1540. Per la forma delle chiome degli alberi a ciuffi larghi e appiattiti e le rocce allungate e scontornate l’opera pare trovare confronto stilistico in una serie di piatti di produzione pesarese realizzati tra il 1540 e il 1570 circa. Tuttavia lo stile della nostra coppa è rapido, sicuro, ma priva di quei tratti più dolci che caratterizzano le opere del “Pittore del Pianeta Venere” o della bottega dei Dalle Gabicce o di Sforza di Marcantonio, anche se restano molti degli elementi caratteristici delle opere coeve attribuibili alla città di Pesaro, tanto da suggerire comunque una ancora prudenziale attribuzione alle botteghe ivi attive.