Importanti Dipinti Antichi - I

63

Pittore veneto, sec. XVII

€ 18.000 / 25.000
Stima
Aggiudicazione
Valuta un'opera simile

Pittore veneto, sec. XVII

IL SACRIFICIO D'ISACCO

olio su tela, cm 173x122, entro cornice riccamente scolpita e dorata

 

Provenienza: probabilmente già collezione Orsetti, Lucca;

collezione Cittadella, Lucca;

collezione privata, Lucca

 

La prestigiosa provenienza dell'opera è documentata dall'inventario per successione ereditaria della famiglia Cittadella redatto ai primi dell’Ottocento dai pittori lucchesi Pietro Nocchi, Raffaele Giovanetti e Michele Ridolfi dove il dipinto è ricordato  con la seguente descrizione: “Il Sacrificio di Abramo Del Palma vecchio 25/ 50 zecchini

 

L'opera, collocabile nell'ambiente artistico veneto, è stata studiata da Patrizia Giusti Maccari alla quale si deve l'attribuzione al pittore veneto Girolamo Forabosco (Venezia 1605 - Padova 1679) in una circostanziata e dettaglia scheda critica redatta in data 3 giugno 2007 della quale riportiamo alcuni passi salienti:

 

“L'attribuzione a Palma il Vecchio di questo Sacrificio di Isacco, formulata nella prima metà dell'Ottocento da Pietro Nocchi, Raffaele Giovannetti e Michele Ridolfi, per quanto poi rivelatasi imprecisa in riferimento all'identità del suo autore e alla  cronologia d'esecuzione, non risulta del tutto fuorviante, costituendo, anzi, un punto di riferimento importante per la definizione della sua corretta paternità. […]

Il dipinto è da intendersi come significativa e qualificante espressione di quella corrente pittorica che a Venezia, nella prima metà del Seicento, riscopre e ripropone formule, cifre compositive e tonalità cromatiche cinquecentesche, ponendosi in alternativa a quella cosiddetta ‘tenebrosa’, frutto dell’ondata naturalistica, postcaravaggesca irradiatasi da Roma. Uno dei più qualificati interpreti di tale corrente, volutamente arcaizzante, risulta essere Girolamo Forabosco (Venezia 1605-Padova 1679), cui deve essere assegnato il dipinto qui in esame. […]

Se il movimento rotatorio e lo scorcio da sotto in su impresso alle figure di Abramo e di Isacco sono di derivazione tardomanieristica, come quella muscolosa e quasi sovradimensionata del più anziano dei due, l’attenzione alla resa psicologica dell’affollarsi dei sentimenti che si palesa sui loro volti, la minuzia descrittiva dei particolari decorativi, anche dal punto di vista coloristico, dell’abbigliamento del patriarca, appartengono indubitabilmente alla metà del Seicento. L’accentuata, realistica puntigliosità nel rappresentare il volto di Abramo, caratterizzato dalla fitta rete di rughe che si dipana come una ragnatela intorno agli occhi, e dalla barba bianca, definita ricciolo per ricciolo, sono elementi che parimenti riconducono al Forabosco, noto e frequentemente impiegato proprio per la sua abilità ritrattistica, specialmente tra il 1630 e il 1650. Appare ugualmente consentaneo al linguaggio stilistico da lui messo a punto il volto di Isacco, per tipologia dei tratti fisionomici assai prossimo a quello di David nel dipinto ora presso il Museo di Vaduz. Il pietismo sentimentale che lo contraddistingue testimonia l’apertura al gusto classicista bolognese diffusosi a Venezia attorno al 1650 grazie alla presenza di Guido Cagnacci, gusto a cui anche il Forabosco si mostra sensibile.

Al momento si ignora quando il Sacrificio, che reca sul retro il numero 22 vergato con grafia antica, sia entrato a far parte della quadreria Cittadella. La bellissima cornice coeva che lo custodisce, pregevole esempio della capacità tecnica degli intagliatori e doratori lucchesi, testimonia dell’arrivo in loco della tela in epoca immediatamente posteriore alla sua realizzazione. Del resto, per motivi commerciali ed artistici i contatti tra le due Repubbliche aristocratiche erano più che frequenti. Non si esclude che l’opera possa essere appartenuta originariamente ai conti Orsetti, il cui palazzo di via Burlamacchi, completo degli arredi, era passato per via ereditaria a Chiara di Giuseppe Orsetti, moglie dal 1771 di Ferrante Cittadella.

A conclusione, per ribadire ancora come l’errore attributivo formulato da Nocchi, Giovannetti e Ridolfi sia ‘giustificato’, si riporta uno dei concetti espressi da Safarik sul Forabosco in un articolo apparso nel 1983 su “Arte Veneta”: ‘La morbida plasticità delle sue forme può far considerare un suo quadro come un Palma o un Lotto trasposto nel Seicento”.