Dipinti del Secolo XIX - II

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Orazio Fidani

€ 40.000 / 60.000
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Orazio Fidani

(Firenze 1606-1656)

RITROVAMENTO DI MOSE'

olio su tela, cm 171,5x215 con cornice antica intagliata a volute, nera e dorata

 

Provenienza:

nobile palazzo fiorentino;

collezione privata, Firenze

 

Corredato da parere scritto di Sandro Bellesi

 

L’opera qui presentata, arricchita da una importante cornice che ne testimonia la prestigiosa provenienza, è appartenuta ad una storica collezione fiorentina nella quale figuravano fino a tempi recenti rilevanti dipinti in gran parte di maestri toscani operanti in epoca barocca. Nella grande tela è rappresentato il Ritrovamento di Mosè in un’accezione particolarmente “gioiosa della scena dominata da un festante gruppo di giovani e avvenenti figure femminili” disposte attorno al piccolo neonato “in prossimità di un limpido corso d’acqua”. Questo tema iconografico, tratto da un passo dell’Esodo (2,1-10), largamente diffuso nella pittura dei Seicento e Settecento, illustra l’episodio biblico nel quale la figlia del faraone d’Egitto salva dalle acque il piccolo Mosè che sarà da lei accudito e cresciuto come suo figlio.

L'opera, come indicato da Sandro Bellesi nel suo parere scritto,  “per i particolari caratteri stilistici e tipologici delle figure” è riconducibile al catalogo autografo di Orazio Fidani, pittore che ebbe un ruolo importante nel panorama artistico fiorentino della metà del Seicento. Nato a Firenze nel 1606 il Fidani fu allievo di Giovanni Bilivert, nella cui bottega rimase per lungo tempo, divenendo uno stimato collaboratore del maestro dal quale riceveva compiti di particolare rilievo. Immatricolato all’Accademia del Disegno nel 1629, l’artista avviò una fiorente attività indipendente, pur mantenendosi fedele agli insegnamenti del maestro. Autore di importanti ed apprezzate opere sacre e profane il Fidani “si distinse per un linguaggio artistico raffinatamente eclettico sensibile al languore e alla sensualità di Francesco Furini e dei suoi seguaci e alla corrente estetizzante di matrice naturalistica legata ai fratelli Cesare e Vincenzo Dandini”.

Il dipinto qui proposto, rappresentativo del linguaggio artistico giovanile del Fidani, presenta caratteri stilistici e tipologici che presentano “echi figurativi di ascendenza bilivertiana- furiniana e soluzioni formali e scenografiche deferenti alla scuola di Matteo Rosselli”.

Il vivace cromatismo e la composizione mossa e libera delle figure, unitamente alle fisionomie e alla resa morbida delle stoffe, “spiegazzate e fruscianti”, permettono di riconoscere aspetti stilistici riferibili alla produzione di Fidani degli anni Trenta, in cui il pittore, sebbene ancora legato agli insegnamenti del maestro Giovanni Bilivert, mostra i segni di un fare più spigliato e libero in particolare nelle opere di soggetto profano.

A questo periodo risalgono il Congedo di Angelica e Medoro dai pastori della Galleria degli Uffizi di Firenze e il Battesimo di Cristo della Pieve di San Pancrazio a Celle (Pistoia), entrambe opere firmate e datate rispettivamente 1634 e 1635 nelle quali si possono riscontrare affinità stilistiche con la nostra tela, in particolare nella resa sontuosa e ricca delle vesti e nella sintassi fisionomica. Pur mostrando vicinanze con le opere già indicate, la nostra tela lascia presagire caratteri tipologici cui l’artista ricorrerà intorno alla metà del secolo, come nella profilatura delle figure muliebri, rese con garbata definizione, riscontrabili dal confronto con l’Allegoria della Pittura e l’Allegoria della Fedeltà di collezione privata, sebbene per queste due opere non vi siano riferimenti cronologici certi bensì una datazione proposta dalla critica.

Sono poche le notizie relative all’artista: Baldinucci gli dedica un breve cenno all’interno della biografia di Bilivert in cui ricorda che “sono infiniti quadri in Firenze in casa di particolari cittadini”; mentre la notizia del suo alunnato, oltre ad altre interessanti indicazioni in merito ai suoi gusti, attitudini e poetica sono riportate all’interno della biografia del maestro scritta da lui stesso.

Il ritrovamento, nel corso degli studi critici di numerose sue opere, molte delle quali firmate, ha permesso una ricostruzione alquanto attendibile della sua evoluzione stilistica.

A seguito di un forte accostamento all’arte di Bilivert, Fidani a partire dagli anni Quaranta, iniziò progressivamente ad allontanarsi dai modi del maestro seguendo gli esempi di Francesco Furini e dei fratelli Cesare e Vincenzo Dandini. Dopo anni di attività durante i quali riscosse notevoli apprezzamenti, testimoniati anche dagli incarichi per la corte granducale medicea, l’artista morì nella città natale nel 1656, pochi anni dopo l’esecuzione del suo unico ciclo di affreschi nella chiesa della Certosa del Galluzzo.

 

Bibliografia di confronto: M. Mojana, Orazio Fidani, Milano 1996, pp. 28-31