Dipinti del Secolo XIX - II

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Pittore veneto, sec. XVII

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Pittore veneto, sec. XVII

SCENA ALLEGORICA DAL CANTICO DEI CANTICI

olio su tela, cm 85x101

al recto in alto a sinistra iscritto: "VENI IN HORTVM MEVM SOROR MEA SPONSA" e in alto a destra iscritto: "VENIAT DILECTVS MEVS IN HORTVUM SVVM"

 

Provenienza:

collezione privata, Firenze

 

L'interessante dipinto qui proposto illustra un soggetto piuttosto inusuale tratto dal testo sacro del Cantico dei Cantici, libro dell'Antico Testamento che contiene una serie di soliloqui e dialoghi poetici della Sposa e dello Sposo per cui sono state offerte varie interpretazioni allegoriche come l'esaltazione dell'amore tra Yahweh e Israele o tra Cristo e la Chiesa o tra Cristo e l'Anima.

Sulle due arcate a destra e a sinistra del dipinto sono riportate le seguenti iscrizioni: "Veniat dilectus meus in hortum suum" e "Veni in hortum meum soror mea sponsa" tratte dal Capitolo V, 1-3 del Cantico. La nostra tela costituisce pertanto una sorta di trasposizione in pittura di questi passi, vediamo infatti sulla destra del dipinto che la Sposa conduce lo Sposo, ovvero Cristo, nel suo giardino per mostrargli i frutti. All'interno del giardino, che viene rappresentato dal pittore come una sorta di hortus conclusus, si ritrova il simbolo del peccato espresso attraverso la rappresentazione della Cacciata dei Progenitori; al centro, a indicare il piacere carnale, due satiri che bevono il vino; e infine il trionfo della morte rappresentata come uno scheletro incoronato che si erge sul corpo esangue di una giovane fanciulla distesa sul prato.

A questo percorso negativo si contrappone il giardino dello Sposo, rigoglioso di fiori, in cui viene indicata alla Sposa la giusta via da seguire ovvero quella tracciata da Cristo che attraverso il suo sacrificio, simboleggiato dalla Croce, dal calice e dai chiodi, ha così liberato il suo popolo dalla morte e dal peccato.

 

Il dipinto per le sue caratteristiche stilistiche può essere ricondotto all'area veneta ed in particolare, su indicazione di Enrico Lucchese, può essere avvicinato al pittore di origine lucchese Pietro Ricchi (1606-1675). L'opera presenta infatti talune affinità con alcune opere di Ricchi, che a partire dal 1650 fu attivo a Venezia dove eseguì alcune composizioni ispirate alle opere del Veronese e risentì dell'influsso di altri artisti tra cui Tintoretto, Francesco Maffei, Pietro Liberi e Sebastiano Mazzoni. E' possibile effettuare confronti stilistici principalmente con le opere da cavalletto che presentano figure di piccole dimensioni come ad esempio col Mosè salvato dalle acque di collezione Sgarbi o con l'Adorazione dei Magi di collezione privata, Mantova, in cui si rintraccia un simile uso di bagliori cromatici che emergono da toni più scuri e una simile capacità di costruire le sagome delle figure. Da sottolineare inoltre come nel nostro dipinto sia possibile ravvisare una particolare attenzione del pittore per i dettagli naturalistici, che si riconoscono nella cura nel dipingere il prato fiorito o i dettagli delle preziose vesti della Sposa.