GRANDE SCULTURA DI MORO
Venezia, secolo XIX
in legno scolpito ed ebanizzato con inserti in avorio dipinto, modellato a figura negroide con folti capelli ricciuti, nudo ad eccezione di una pelle di leone drappeggiata sulle spalle e annodata in vita, in atto di sostenere una conchiglia, su base modanata esagonale sostenuta da tre tartarughe, altezza complessiva cm 202, piccoli danni
Venice, Nineteenth Century
in carved and painted wood, shaped as a negroid figure, in the act of supporting a shell, h. cm 202, small damages
10.000/15.000 - $ 13.000/19.500 - £ 8.000/12.000
Il tema del moro seminudo in atto di sostenere un oggetto o una architettura è ben radicato nella tradizione veneziana avendo i suoi archetipi nei “Quattro mori” che Giusto Le Court scolpì tra il 1660 e il 1669 per il monumento del doge Giovanni Pesaro in Santa Maria Gloriosa dei Frari e che vennero poco dopo ripresi con le stesse pose monumentali, ma in misure più contenute, da Andrea Brustolon nel “fornimento Venier” eseguito nell’ultimo decennio del XVII secolo, conservato oggi al Museo di Ca’ Rezzonico.
Il “fornimento Venier”, quaranta opere scultoree che Brustolon realizzò per il palazzo della famiglia veneziana a San Vio, è costituito da portavasi, seggioloni e altri arredi scolpiti in legni pregiati con soggetti mitologici e allegorie; fra questi l’Etiope portavaso, raffigurato nudo in posa eroica anche se con una catena al collo, sorgente da una base con mostri marini, è il diretto modello del grande moro che viene qui presentato.
Altri esempi illustri dell’uso della figura del moro prigioniero si possono ritrovare a partire dagli inizi del XVII secolo a Parigi con il monumento equestre a Enrico IV di Pietro Tacca eretto nel 1614 sul Ponte Nuovo e successivamente distrutto nel 1792 durante i fermenti rivoluzionari e il monumento a Luigi XIV di Martin Desjardins del 1684 per Place des Vosges, anch’esso andato distrutto durante la rivoluzione francese; in entrambi la base della scultura era decorata con figure di prigionieri mori in catene, semisdraiati, alla stessa stregua di quelli che si vedono a Livorno nel Monumento dei Quattro Mori dedicato a Ferdinando I e realizzato da Pietro Tacca tra il 1623 e il 1626.
Il monumento è situato davanti alla piccola darsena che il granduca Ferdinando I de’ Medici fece scavare sul finire del Cinquecento per ampliare il porto di Livorno; il gruppo scultoreo, posto nei pressi della possente cinta muraria avrebbe così attestato l’autorità granducale agli occhi dei numerosi viaggiatori che avrebbero fatto scalo a Livorno.
L’idea dell’africano prigioniero collocato in posizione dimessa ai piedi del principe simboleggia la vittoria trionfale del mondo cristiano contrapposto a quello degli infedeli genericamente indicati come Mori.
La fortuna ottenuta dalle sculture-arredo di Brustolon fece sì che anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1732, numerosi artigiani veneziani continuassero la produzione di opere analoghe che venivano richieste non più solo dalla committenza nobiliare ma anche dalle grandi famiglie mercantili. Si passa così da un modello nel quale l’attenzione è rivolta principalmente alla resa anatomica secondo il gusto barocco per arrivare a figure vestite all’araba nelle quali il senso estetico per il colore e per la resa delle stoffe annulla la parte scultorea prediligendo piuttosto il dettaglio raffinato. È utile ricordare che in molti importanti palazzi veneziani parte della servitù era effettivamente costituita da mori che venivano vestiti “alla turca” con turbante e abiti orientali.
Questa produzione raggiunse il suo apice qualitativo alla fine del XVIII secolo ma si è conservata con realizzazioni sempre più seriali fino ai nostri giorni ma, ciononostante, molto apprezzata dal mercato straniero.