Libero Andreotti
(Pescia 1875 - Firenze 1934)
DONNA CHE SI FA LA TRECCIA
bronzo a patina marrone con tracce di doratura, 1920, altezza cm 84
firmata "L. Andreotti" sulla base
L’opera è corredata da certificato di libera circolazione
bronze with brown patina and traces of gilt, 1920, height cm 84
signed "L. Andreotti" on the base
An export licence is available for this lot
Provenienza
Collezione Salata, Roma
Collezione privata, Milano
Bibliografia
U. Ojetti, Lo scultore Libero Andreotti, "Dedalo", I, 6, novembre 1920, pp. 395-417: 415 (La donna che si pettina).
Mostra individuale di Libero Andreotti, catalogo della mostra con presentazione di U. Ojetti, Milano, Galleria Pesaro, 1921, n. 31 (Donna che si attreccia i capelli, 3 esemplari).
L. Andreotti, Libero Andreotti, "Arte Moderna Italiana", n. 3, serie B, Scultori, n. 1, Milano, Scheiwiller, 1926, p.s.n. (La donna che si pettina).
Mostra di Libero Andreotti, catalogo mostra cura di R. Monti, Pescia, Comune di Pescia, 1976, n. 46
O. Casazza, Gipsoteca Libero Andreotti, Firenze, Grafiche Il Fiorino, 1992, pp. 110-111
Libero Andreotti. Sculture e disegni, catalogo della mostra a cura di S. Lucchesi (Firenze, Galleria Lapiccirella), Firenze – Siena, Maschietto & Musolino, 1994, pp. 36-37
Libero Andreotti, catalogo della mostra a cura di G. Appella, S. Lucchesi, R. Monti, C. Pizzorusso (Matera, chiese rupestri) Matera, La Bautta, 1998, n. 31
L'opera appartiene ad una cospicua serie di sculture in bronzo e in pietra che Andreotti, tra la fine della Prima Guerra e i primi anni Venti, eseguì assumendo temi semplici, spesso legati ad una quotidiana intimità femminile. Queste figure, solo apparentemente appartenenti ad una vita ordinaria, con la loro gestualità senza tempo erano specchio di un profondo senso etico e di una alta disciplina formale, entrambi fondati su antichi valori di cui Andreotti, e più in generale la cultura italiana, sentivano l'urgente bisogno come risposta alla drammatica contingenza del clima bellico. Con ciò Andreotti destò il caloroso consenso di Ugo Ojetti, il quale vide in questo nuovo corso post-parigino dello scultore una adeguata opportunità per dar corpo ai propri programmi di restaurazione di una classicità tutta italiana, fondata su una fedeltà alla tradizione scultorea dai Pisano a Canova. Così nel suo celebre saggio monografico apparso su "Dedalo" nel novembre del 1920, il critico esaltò questo gruppo di bronzi andreottiani: "tutte le opere sue, dopo il ritorno in Italia, prima a Lucca poi a Firenze, muovono da un sentimento nuovo. Una secchezza tutta toscana [...] definisce adesso il suo modellare, e i piani si succedono e si rispondono netti e decisi come parole ben scelte e ben pronunciate. Non una figura in movimento, [...] ma tutte statue che stanno salde sulle gambe ritte o ben sedute o accosciate, sicure sempre del loro equilibrio [...]. Quasi tutte donne. E le pieghe abbondanti delle loro gonne distribuite per gravi masse con buon giudizio, [...] mostrano questa ricerca del peso e del contrappeso che è l’essenza della scultura".
Ma oltre al suo influente appoggio di critico militante, Ojetti offrì ad Andreotti un sostanzioso sostegno economico, diventandone il maggiore e privilegiato cliente. Perciò la maggior parte delle opere in bronzo prodotte in questo arco di tempo (soprattutto nell’immediato dopoguerra) ebbe una sorta di fusione "princeps" riservata alla collezione Ojetti: la Donna che si fa la treccia ne è un esempio. Dal gesso, oggi conservato nella Gipsoteca Libero Andreotti di Pescia, furono tratte tre fusioni documentate, eseguite dalla Fonderia Vignali di Firenze: una, esplicitamente dedicata ad Ojetti (iscrizione incisa nella base), si trova oggi in collezione privata fiorentina; una, esposta alla mostra di arte decorativa italiana a Stoccolma nel novembre del 1920, venne in seguito comprata dal console italiano di Svezia P.G. Thulin e da lui donata al museo di arte moderna di Stoccolma (come si ricava da una lettera inedita di Guido Balsamo Stella ad Andreotti del 6 agosto 1922, conservata nell'Archivio Andreotti di Pescia); il terzo esemplare infine, documentato a Roma nella collezione Salata, è quello in oggetto. E' ragionevole ritenere che si trattasse del senatore Francesco Salata, figura di spicco nella vita politica e culturale italiana e durante il fascismo.
Claudio Pizzorusso
27 luglio 2007