Osvaldo Borsani
(Varedo 1911 - Milano 1985)
e Lucio Fontana
(Rosario de Santa Fè 1899 - Comabbio 1968)
MOBILE BAR, 1950
Struttura in mogano con interno dipinto a foglia d'oro e specchio, due ante scorrevoli lateralmente decorate con applicazioni a rilievo in stucco dorato, all'interno quattro cassetti disposti su due colonne e coppia di applique inserite nei fianchi, cm 138x115x52
Autentica dell'Arch. Valeria Borsani
Structure in mahogany with interior painted in gold leaf and mirror, two side sliding doors decorated with gilded relief applications, within four drawers arranged in two columns and a pair of lights into the sides, cm 138x115x52
Proveniente dall’arredamento commissionato da un noto ingegnere milanese a cavallo del 1950, questo mobile bar riassume in sé in maniera esemplare quella “necessità di un’arte di lusso” teorizzata a partire dal 1936 da Carlo Enrico Rava e Ugo Ojetti, e che si manifesta in maniera evidente nei grandi arredamenti usciti in quegli anni dall’Atelier di Varedo. L’alta committenza delle abitazioni cui destinare gli arredi portano Osvaldo Borsani e i suoi progettisti a sperimentare nuove vie e nuove soluzioni per riempire gli spazi interni in modo funzionale, pur senza rinunciare al lato “artistico”, che diventa invece il fulcro del lavoro: chiaro esempio ne è il mobile bar qui presentato, il quale su una struttura “standard” propone delle importanti variazioni sul tema, realizzate grazie all’intervento di Lucio Fontana, uno dei tanti amici artisti che in quegli anni collaborava sistematicamente con l’Atelier, realizzando appunto sportelli di armadi e mobili bar, disegnando maniglie o supporti per tavoli e console, decorando i vetri dei tavolini o gli specchi dei mobili.
A chiarire questa nuova visione del mobile con funzione decorativa e di rappresentanza al tempo stesso, è utile un passaggio tratto dal Catalogo Ufficiale VI Triennale di Milano del 1936: “Nella mostra dell’abitazione moderna l’arredamento è visto e studiato principalmente in funzione di un’economia rigorosamente sociale, con tendenza alla determinazione tipologica di alcuni pezzi fondamentali dell’arredamento normale; qui, questa branca particolare dell’arte decorativa, è considerata da un punto di vista diverso, con meno interesse per il problema sociale e più attenzione per ciò che riguarda l’espressione estetica e le possibilità rappresentative di un ambiente moderno”.
La bellezza e ricercatezza di questo mobile apre una finestra importante sulla Milano di quegli anni e sulla sua classe borghese, alla continua ricerca tra le mode del momento della forma più opportuna per trasformare la propria “abitazione” in “sala di rappresentanza”. E proprio in quest’ottica va vista la caratterizzazione di determinati elementi d’arredo: per questo la sagoma rettangolare del mobile serve di supporto per un arricchimento di volta in volta realizzato con placche ornamentali dal disegno geometrico o dalla figurazione fitomorfa e zoomorfa, fino al rivestimento dell’intera superficie con scene in bassorilievo, come nel nostro caso
Il mobile bar, come ben testimoniano i disegni acquarellati originali dell’epoca conservati presso l’Archivio Borsani (un paio dei quali sono qui riprodotti per loro gentile concessione), si collocava come elemento centrale nel grande salone, punto irresistibile di attrazione per l’ospite fatto accomodare sui divani: l’oro e l’enorme potenza plastica dei rilievi sul fronte delle ante servivano a confermare l’importanza della casa in cui ci si trovava. D’altra parte la decorazione fu affidata ad un’artista del calibro di Lucio Fontana, per il quale, come spiega Enrico Crispolti nel saggio introduttivo al Catalogo Ragionato di Lucio Fontana del 2006, “la collaborazione architettonica non è semplice apposizione cosmetica di interventi plastici sul corpo architettonico altrui, ma occasione più propriamente di pratica operativa concretamente spaziale per la propria progettualità di scultore”.