COPPA O "SCUDELLA"
Pesaro, Sforza di Marcantonio, “1551”
Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, turchino, blu, verde ramina, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone e bianco
alt. cm 4,2; diam. cm 22,6; diam. piede cm 10
Sul retro, sotto il piede, iscrizione “De Alcione la vision/ tremenda: e vera 1551”
Intatto, salvo lievi sbeccature all’orlo
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in orange, yellow, turquoise, blue, copper green, blackish and brownish manganese, and white
H. 4.2 cm; diam. 22.1 cm; foot diam. 10 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘De Alcione la vision / tremenda: e vera 1551’
In very good condition, with the exception of some minor chips to rim
An export licence is available for this lot
La coppa ha ampio cavetto e tesa breve molto alta con orlo aggettante. Il piede è basso, ad anello e con profilo concavo. Il retro del piatto non presenta decorazioni, salvo la scritta corsiva in blu di cobalto all’interno del piede.
Sul fronte è raffigurato il momento in cui Alcione, distesa sul letto posto al margine destro del piatto, vede in sogno la morte del marito sotto gli occhi della dea Diana, sua acerrima nemica; sul lato sinistro si sviluppa la scena che mostra il naufragio di Ceice, in un paesaggio marino con un porto sullo sfondo. In alto, seduta su una corona di nuvole a chiocciola, la divinità ostile è raffigurata accompagnata da un pavone, suo simbolo distintivo.
Una mattina, durante una passeggiata nel bosco, la giovane Alcione si distese sull'erba soffice per asciugarsi al sole. La sua bellezza attirò i molti abitatori del bosco, che la scambiarono per Diana. Alcione, mossa da vanità, accettò gli elogi senza rivelare chi fosse veramente, e non lo fece neppure dopo la comparsa della vera dea, evitando di chiarire l’equivoco. La dea scatenò allora la sua ira implacabile, inviando sciagure al popolo di Trascina. Ceice, sposo di Alcione, per placare l’ira della dea andò quindi a interrogare l’oracolo di Apollo. Tre mesi dopo la partenza del marito apparve in sogno ad Alcione un messaggero alato, Morfeo, che le annunziò la morte dello sposo avvenuta tra le onde, durante la traversata. Alcione, svegliatasi di soprassalto, corse al mare e salì sullo scoglio più alto per scrutare lontano: ad un tratto le parve di veder galleggiare un corpo, e disperata si gettò in mare. In quello stesso momento Giove si mosse a pietà e, proprio mentre Alcione si lanciava nel vuoto, le donò due ali che le permisero di librarsi dolcemente nell’aria. Come per incanto, spuntarono due ali anche sul corpo galleggiante di Ceice, che fu visto sollevarsi dalle acque e andare incontro alla sua sposa. Fu così che nacquero nel mondo gli alcioni, uccelli che con il privilegio di fare il nido sulle stesse onde del mare.
Il soggetto, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (Ov., Met. XI, vv. 592-749), non è tra quelli più frequentemente riprodotti nelle opere in maiolica, ma si conosce tuttavia un bellissimo piatto con il medesimo soggetto e la stessa frase dipinto da Francesco Xanto Avelli.
La forma e le caratteristiche stilistiche del decoro, quali l’attenzione nella resa dei particolari architettonici – come i vetri delle finestre, i mattoni, il cornicione e la cupola sul letto a baldacchino – e la cromia, con il sapiente uso delle lumeggiature bianche, ci portano a pensare ad una buona mano e comunque ad una bottega importante in ambito urbinate o nei confini del Ducato.
La forma è attestata come in uso nel Ducato e trova alcuni riscontri in manufatti attribuiti alle botteghe pesaresi: tale attribuzione sembra suffragata dal raffronto con le opere del pittore Sforza di Marcantonio de Julianis, originario di Castel Durante ma attivo a Pesaro a partire dal 1548, i cui lavori più noti sono databili negli anni Cinquanta del ’500, considerato uno dei seguaci di Francesco Xanto Avelli e dal quale sembra mutuare alcune composizioni.
In quest'ambito troviamo un confronto puntuale in un pezzo conservato all’Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig: si tratta di un piatto raffigurante il re di Lidia che mostra la propria donna al suo futuro successore Gige, attribuito alle manifatture di Pesaro; sul retro si sviluppa un’iscrizione con caratteri grafici assai prossimi a quelli del nostro esemplare nella resa della “S”, e soprattutto con la stessa data (“1551”), scritta nel medesimo modo. In entrambe le opere la scena d’interno comprende delle finestre con vetri a piombo, un soffitto a cassettoni e un letto a baldacchino realizzati con uno stile pittorico omogeneo.
Johanna Lessmann propone un confronto con un piatto della Walters Art Gallery di Baltimora che ci pare pertinente; e si veda anche la coppa firmata e datata 1551 conservata nei Musei Civici di Padova.
Un bel piatto del Museo di Philadelphia sul quale è raffigurata la scena della morte di Cassandra, ci conferma ancora l’attribuzione a Sforza di Marcantonio: il volto di Cassandra ci pare molto prossimo a quello della divinità e così pure le architetture, come il baldacchino, le finestre, il muro di mattoni realizzato in bruno di manganese e il dettaglio dei gradini del letto riquadrati. Ma soprattutto ancora una volta molto simile a quella del piatto in esame è la grafia della scritta sul retro del, recante anch’essa la data “1551”.
L’ultima e definitiva conferma a supporto di questa attribuzione ci deriva dal confronto con la coppa di dimensioni minori del British Museum con Astage e Mandane, di recente pubblicazione, anch’essa datata 1551, con evidenti affinità stilistiche e con simile grafia sul retro.
La coppa dunque per morfologia e stile si inserisce in una serie di opere, accomunate da grande uniformità e assegnate al pittore durantino Sforza di Marcantonio, tutte ugualmente datate nell’anno 1551.