PIATTO
Urbino o altro centro del Ducato di Urbino, Francesco Xanto Avelli, 1528-1529
Maiolica decorata in policromia, con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola
alt. cm 3,4; diam. cm 28; diam. piede cm 10
Sul retro, sotto il piede, iscrizione “morte di Egieo Y “
Sul retro tracce di un antico restauro con graffe metalliche a fermatura di una felatura profonda, risolta con restauro archeologico
Corredato da attestato di libera circolazione
Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple
H. 3.4 cm; diam. 28 cm; foot diam. 10 cm
On the back, beneath the base, inscription in blue ‘morte di Egieo Y’
On the back, remains of old restoration of a heavy hairline crack fixed with metal clips, now consolidated using archaeological restoration
An export licence is available for this lot
Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filetti incisi circolari. Poggia su un basso piede privo di anello.
Nel nostro piatto Francesco Xanto Avelli interpreta il mito con grande maestria narrativa: al centro campeggia Pizia, che tiene in mano la patera delle offerte; a sinistra appare la nave di Teseo, riconoscibile perché vestito di verde; a destra lo stesso Teseo assiste alla caduta del padre, raffigurato nella parte alta del piatto mentre compie il tragico gesto.
Come spesso avviene nei lavori del pittore rodigino, anche in questo caso si riconosce l’uso di più incisioni. La nave è tratta da un particolare dell’incisione del Ratto di Elena di Marco Dente (1493-1527) da Raffaello Sanzio. Per la figura della Pizia si potrebbe pensare a una delle figure derivate dalla Cappella Sistina e divulgate per stampa; ci pare però di riscontrare una somiglianza nel corpo della Pizia con quello di Vulcano raffigurato in un piatto del Walters Museum of Art di Baltimora, assegnabile al periodo compreso tra il 1528 e il 1532. Carmen Ravanelli Guidotti nel suo saggio su alcune opere inedite o poco note di Xanto Avelli, presentando il piatto in esame aveva già ipotizzato che la figura potesse essere stata tratta dall’incisione del Maestro del Dado con Ercole che scaccia l’invidia dal Parnaso: la posizione della figura che assiste alla scena seduta in basso richiama molto da vicino quella della nostra. La studiosa suggerisce inoltre una certa vicinanza con il piatto con il suicidio di Porzia, presentato nello stesso saggio: entrambe le opere andrebbero datate cioè attorno agli anni 1528-1529. Per la figura di Teseo, Ravanelli Guidotti pensa che si possa accostare a quella di uno dei pastori che assistono al rapimento di Ganimede in una stampa di Gian Battista Palumba e alla figura di Dedalo della coppa del gruppo “F.R.” del Gardiner Museum.
Egeo divenne re di Atene alla morte del padre Pandione. In assenza di un erede maschio, pur essendosi sposato più volte, si recò a consultare la Pizia, oracolo di Delfi, che gli disse: “Tieni chiuso il tuo otre di vino finché non avrai raggiunto il punto più alto della città di Atene, altrimenti un giorno ne morirai di dolore”. Recatosi a Trezene incontrò Eta, figlia del re Pitteo, che gli fu presentata dopo averlo fatto ubriacare. Dall’incontro che ne seguì nacque Teseo; dopo qualche tempo Egeo decise di far ritorno ad Atene. Un giorno, durante una gara con il figlio di Minosse in visita ad Atene, Egeo fu colto da rabbia e uccise l’ospite. Il figlio Teseo, che nel frattempo si era riavvicinato al padre, dovette allora recarsi a Creta per uccidere il Minotauro in cambio della pace con Minosse: il giovane riuscì nel suo compito e con l’aiuto di Arianna uccise il mostro che perseguitava i cretesi. Egeo si era raccomandato con il figlio, qualora fosse riuscito nella missione, di issare al suo ritorno delle vele bianche: ma Teseo si dimenticò dell’ordine paterno, causando così la morte di Egeo, che si gettò in mare dalle mura non appena scorse le vele nere avvicinarsi ad Atene, convinto che il figlio fosse stato ucciso. La profezia fu così compiuta, e il mare in cui scomparve il re divenne noto come Mare Egeo.
Stilisticamente vicino all’opera in esame è un tondino raffigurante Frisso che fugge sull’ariete, databile tra il 1526 e il 1528, conservato all’Ashmolean Museum di Oxford. Per John Mallet questo piatto sarebbe uno dei primi nei quali è possibile associare la calligrafia dell’Avelli al cosiddetto “segno Y/φ”. Il confronto calligrafico tra i due oggetti, almeno per le poche lettere a nostra disposizione, data la brevità della scritta sotto il nostro piatto, ci pare soddisfacente: si vedano la “r” tracciata con rapidità e la piccola “e”, oltre all’andamento corrivo della grafia e, non ultimo, il segno Y/φ.
Anche il confronto stilistico ci pare di aiuto: il verde scuro, impiegato per sottolineare alcuni punti del paesaggio e le rocce, richiama quello usato nel piatto analizzato da Mallet, caratteristica che per lo studioso è dovuta all’esperienza di Xanto Avelli vicino a Nicola da Urbino durante la realizzazione del servizio di piatti con l’insegna araldica dei Bonzi. Ci sembrano molto prossimi anche la durezza dei tratti fisiognomici dei volti, l’abilità pittorica nella resa delle mani, i tocchi di ocra utilizzati per sottolineare la corteccia degli alberi, i tratti bianchi e gialli nelle chiome e quelli usati per dare massa ai ciuffi d’erba.
Nel nostro piatto prevale un certo disordine compositivo: le architetture sono invadenti, la loro mole è cospicua e sproporzionata; la rocca ad esempio è su base quadrata, ma termina in una torre a pianta circolare, dalla quale la figura di Egeo si getta nel vuoto.
Ma proprio il disordine compositivo, l’uso di colori intensi, lo stile nel descrivere i personaggi e le rocce arrotondate avvicinano questo lavoro ad un piatto con il mito di Cigno conservato presso il Museo di Arti Decorative di Lione Per i torrioni arrotondati troviamo dei confronti nei piatti firmati e datati “1534” o in quello conservato nelle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano.
Il piatto è appartenuto alla collezione Murray di Firenze, venduta a Berlino nel 1929, già riconosciuto come opera di Xanto Avelli.