Importanti Maioliche Rinascimentali

7

VASO DECORATIVO DEL TIPO AD ANFORA

€ 20.000 / 30.000
Stima
Aggiudicazione
Valuta un'opera simile

VASO DECORATIVO DEL TIPO AD ANFORA

Firenze, Giovanni della Robbia, 1515-1520 CIRCA

 

Terracotta invetriata in azzurro ceruleo, con stemma Medici (del ramo detto ‘di Chiarissimo’), riferibile a Paolo di Piero di Orlando, Gonfaloniere della Repubblica;

alt. cm 28, 5, diam. bocca cm 17,5, diam. piede cm 14,4

 

Cadute di smalto sul corpo. Restauri al piede, all’orlo della bocca e ad una baccellatura

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Earthenware, covered with a cerulean blue glaze, with Medici coat-of-arms (of the so-called ‘di Chiarissimo’ family branch) that can be referred to Paolo di Piero di Orlando, Gonfaloniere della Repubblica

H. 28, 5 cm, mouth diam. 17,5 cm, foot diam. 14,4 cm

 

Restoration to rim, foot and a “baccellatura”; minor glaze losses to body

 

An export licence is available for this lot

 

Sontuoso nell’elegante profusione ornamentale di gusto archeologico e potente nelle misurate proporzioni questo ricercato vaso decorativo ad anfora di forma composita, smaltato in azzurro ceruleo intenso e screziato a simulare un intaglio nella pregiata pietra di lapislazzuli, si distingue tra le testimonianze più rappresentative e rare - anche in ragione della singolare presenza di uno stemma che ne sancisce la prestigiosa committenza medicea - di una peculiare produzione particolarmente apprezzata nella pur vasta e varia attività robbiana, che, al pari della più popolare plastica araldica, ne attesta il felice impegno nella scultura aniconica e nell’arredo profano.

Fu sullo scorcio del Quattrocento Andrea della Robbia (Firenze 1435-1525), intraprendente nipote ed erede nell’arte del grande Luca (Firenze 1399/1400-1482), magistrale, prolifico interprete della sua ‘segreta invenzione’ della scultura invetriata, a tradurre in opere autonome i raffinati vasi all’antica, smaltati ad imitazione di pietre dure, già da tempo modellati a rilievo nelle cornici di ancone e tabernacoli come sorgivo supporto dei festoni vegetali che contraddistinguono la plastica robbiana. Ma spetta a due dei figli e collaboratori del maestro dotati di una più spiccata vena decorativa, Giovanni (Firenze 1469-1529/30) e Luca ‘il giovane’ (Firenze 1488 - Parigi 1566), la diffusione nei primi decenni del Cinquecento di simili manufatti. Perlopiù provvisti di un coperchio in forma di rigoglioso mazzetto di frutta e fiori, furono utilizzati sia in contesti ecclesiastici, spesso come ornamento apicale di edicole ed altari invetriati allusivo ai doni della grazia divina, sia come festosi e pregiati arredi domestici dei palazzi signorili, dove potevano simboleggiare la prosperità della casa e la fecondità della famiglia, posti, talora in coppie, sopra le cimase di porte, lavabi, camini, come attestano gli inventari del tempo, od anche sopra le testiere dei letti, come si vede in alcuni rilievi dello stesso Giovanni della Robbia raffiguranti la Nascita del Battista (formelle replicate nei fonti battesimali di San Giovanni Battista a Galatrona, 1510-21; di San Leonardo a Cerreto Guidi, 1511; della pieve di San Donato in Poggio, 1513, etc.). Una fortunata produzione, che purtroppo attende ancora un’esauriente, ricognizione sistematica, raggruppabile secondo le forme e gli ornati in quattro principali tipologie - la più diffusa con corpo ovoide ad orciolo, le altre ad anfora, con corpo composito di complessità crescente -, ciascuna replicata, presumibilmente con l’ausilio di calchi, in diversi esemplari spesso contraddistinti da qualche variante, cui si aggiungono una mezza dozzina di modelli noti in una sola versione.

L’inedito vaso in esame documenta un modello del tipo ad anfora del quale non si conoscono altri esemplari, e, come suggerisce lo stemma, probabilmente fu così realizzato per soddisfare il gusto del committente, come pezzo unico o al più di una coppia in seguito smembrata. Sul collo, di foggia scampanata con larga apertura profilata da un labbro modanato, si distendono embricature a scaglie e freccette crescenti verso il basso, ed ai lati sono applicate due anse verticali ad S in forma di delfino. Il corpo, di proporzioni ampie ed erette, ha forma composita, costituita da una coppa svasata, decorata da robuste baccellature rilevate e da una balza sulla quale corre un motivo a festoni perlinati, congiunti da nastri svolazzanti e cadenzati da borchie circolari, che si raccorda al collo mediante un alto fregio ornato da intrecci di corde (nodo a ‘rete decorativa a due legnoli’ iterato). Il piede tornito, basso e solido, è invece costituito da semplici modanature levigate (due tondini e una gola diritta) che conferiscono l’aspetto di un mezzo rocchetto.

Lo stemma è applicato su di una sola faccia del vaso, sopra la balza della coppa - dunque in una posizione ribassata che suggerisce una collocazione ad una certa altezza - in modo non simmetrico rispetto all’andamento dei festoni, cosa che potrebbe rivelare una variante in corso di foggiatura, forse inizialmente intrapresa come di consueto senza tale inserto. Lo scudo, di elegante forma sagomata con lembi leggermente accartocciati, presenta un blasone a otto palle (disposte 2.3.2.1) con il capo d’Angiò (tre gigli d’oro ordinati in fascia ed alternati dai quattro denti di un lambello di rosso in campo azzurro): privilegio, frequente nell’araldica fiorentina, conferito dagli Angioini a diverse famiglie che si erano distinte per la loro fede guelfa. Una più esauriente lettura e comprensione dell’arme è oggi ostacolata dalla perdita dei colori araldici stesi a freddo sul manufatto e delle dorature a mordente, peraltro testimoniate da tracce sui gigli e sul campo dello scudo che, insieme ad alcuni residui di rosso ravvisabili nelle palle, contribuiscono ad identificarlo, come meglio vedremo, in uno stemma della famiglia Medici (d’oro, a sei, sette od otto palle di rosso). Ulteriori, significative e più consistenti tracce di dorature si conservano anche in molte parti decorative del vaso (sugli occhi, la bocca e le pinne dei delfini, sulle embricature del collo, i cordami, i festoni perlinati e le borchie dei fregi), tali da poterlo considerare un manufatto particolarmente pregiato e costoso.

Le baccellature della coppa, le anse a delfino, consuete in quanto allusive alle acque, le embricature a scaglie, che conferiscono un carattere architettonico a guisa d’urna, sono ornamenti d’ispirazione classica ricorrenti nei vasi robbiani, seppure in parti diverse (talora le scaglie ricoprono il corpo) e declinati con qualche variante (ad esempio le baccellature sono spesso profilate e meno rilevate, in specie negli esemplari più antichi), e così pure il fregio ad intrecci, adottato, con nodi di vario tipo, sia nella tipologia ad orciolo che nella più semplice delle tre tipologie ad anfora, verosimilmente quella realizzata per prima.

Già utilizzato da Giovanni della Robbia nella cornice di un medaglione raffigurante la Madonna in adorazione del Bambino e San Giovannino databile intorno al 1500 (Firenze, Museo del Bargello), il motivo a intrecci, ampiamente diffuso nell’arte medioevale e soprattutto islamica (da cui la definizione “cordelle alla damaschina” o “gruppi moreschi”), conobbe una rinnovata fortuna nei decenni a cavallo tra Quattro e Cinquecento, promossa dai celebri, virtuosi “ghiribizzi” disegnati negli anni Ottanta da Leonardo - «gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguisse tutto il resto fino all’altro», li descrive con stupore il Vasari (1568) -, poi tradotti in stampe (Leonardus Vinci Accademia, Milano, Biblioteca Ambrosiana) anche ad opera di Dürer (1507). Una moda ben attestata nella pittura del Perugino, che l’adotta costantemente per ricamare le bordure delle vesti delle sue Madonne, del Pinturicchio, dove si distende anche a incorniciare dipinti e pareti affrescate, e di Raffaello, come si vede nell’intricata trama di cordini d’oro nel paliotto al centro della Disputa sul Sacramento nella Stanza della Segnatura (1508-11), consegnata infine al singolare repertorio decorativo pubblicato in Francia nel 1530 da Francesco di Pellegrino, collaboratore del Rosso Fiorentino a Fontainebleau, La fleur de la science de la portriature, patrons arabique et ytalique.

L’intreccio, come si è detto, assume qui un andamento ‘a rete’, con moduli più ampi e morbidi rispetto ai nodi a sviluppo geometrico ricorrenti in gran parte dei vasi robbiani, che ritroviamo solo in alcuni esemplari attribuiti a Giovanni della Robbia, soprattutto del tipo ad orciolo (Londra, British Museum; già vendita Bardini, Londra 1899; già Pesaro, galleria Altomani; etc.), ma anche di quello ad anfora, come il vaso della donazione Loriano Bertini al Museo del Bargello. Concorrono a confermare una paternità di Giovanni la tonalità carica dello smalto, più tenue nei lavori ricondotti a Luca ‘il giovane’, la forma bassa, ampia e scampanata del collo ricoperto a scaglie, consueto nei vasi ad anfora che gli vengono riferiti, le proporzioni robuste e le baccellature rilevate, come in quello posto a coronamento del monumentale Altare di Sant’Anna in San Lucchese a Poggibonsi, opera tra le più rappresentative della maturità del maestro (1517). Ma la dichiara soprattutto la fantasiosa esuberanza decorativa, che nella duplice fascia suggerisce una datazione verso il 1520, successiva alla più comune tipologia ornata da un solo fregio a intrecci (Sèvres, Musée National de la Ceramique; Firenze, Museo del Bargello; Gazzada, Raccolta Cagnola; etc.), forse coeva a quella dove ai nodi si sostituisce una greca e si associa una balza a palmette (già Firenze, collezione Contini Bonacossi; Philadelphia, Museum of Art; etc.), ed anteriore al modello ancor più ricco e monumentale che nella coppa oltre alla greca presenta protomi leonine, festoni e cherubini (Londra, Victoria and Albert Museum; Firenze, collezione Luzzetti; etc.). Invenzione inedita nel pur vasto repertorio decorativo dei vasi robbiani è il fregio che orna la balza della coppa, ulteriore conferma di uno spiccato gusto archeologico e di un riferimento a Giovanni, il solo ad impiegare nei suoi lavori i festoni perlinati, come nel vaso apicale della nicchia del San Domenico oggi al Bargello databile verso il 1510, le piccole borchie circolari, ricorrenti nei fregi di cibori, fonti battesimali ed altre strutture monumentali, ed entrambi questi motivi, composti in modo identico con i nastri svolazzanti, nella cornice della giovanile Madonna del Cuscino pure al Bargello.