Bernardo Cavallino
(Napoli 1616 – 1656)
ALLEGORIA DELLA PITTURA
olio su tela, cm 72x59, entro cornice intagliata e dorata
ALLEGORY OF PAINTING
oil on canvas, 72 x 59 cm, in a carved giltwood frame
Provenienza
Digione, collezione privata; Londra, collezione Carrit; Londra, Artemis Fine Arts (1978); Roma, Enzo Costantini (1979);
Napoli, collezione privata.
Esposizioni
A Selection of Italian Paintings 15th – 18th century, Londra, Artemis Fine Arts, 1978, n. 12; Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656, Cleveland, Ohio, The Cleveland Museum of Art – Fort Worth, Kimbell Art Museum, 1984, n. 66; Bernardo Cavallino (1616-1656) Napoli, Museo Pignatelli, 1985, A 37.
Bibliografia: Ann T. Lurie, in Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656. Catalogo della mostra a cura di Ann Percy e Ann T. Lurie, con saggi di Nicola Spinosa e Giuseppe Galasso, 1984, pp. 182-83, n. 66; Ann T. Lurie, in Bernardo Cavallino (1616-1656). Catalogo della mostra, Napoli 1985, pp. 146-47, A 37; Laura Di Domenico, Un’aggiunta al catalogo di Andrea Vaccaro e alcune considerazioni sui rapporti con il Cavallino, in “Confronto” 2003, 2, p. 131, fig. 12; Nicola Spinosa, Grazia e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo. 1616 – 1656, Roma 2013, p. 347, n. 82; riprodotto a colori, fig. 124 a p. 165.
Capolavoro acclamato di Bernardo Cavallino, il dipinto qui offerto – per la prima volta sul mercato in quasi quarant’anni – riunisce nella maniera più felice le qualità che resero famoso l’artista napoletano durante la sua breve esistenza e ispirarono le righe in sua lode di Bernardo De Dominici, pur così male informato sulla cronologia e gli eventi esteriori della sua carriera. Così infatti il biografo napoletano caratterizza la maniera del Cavallino nei quadri da stanza e a piccole figure, il genere a cui l’artista si dedicò in maniera esclusiva dipingendo “molte opere di così delicato stile, e di vivo colore, proprietà e naturalezza che non sembrano dipinte, ma vive le sue figure; servendosi di pochissimi lumi, sbattimenti, e riflessi, riverberando la luce con tal soavità che dolcemente inganna la vista di chiunque li guarda”: e se la notazione sull’effetto naturale e vivo delle figure dipinte rientra nei motivi topici della letteratura artistica, i mezzi impiegati dal pittore per conseguire questo risultato sono individuati da De Dominici con l’acutezza di chi, pur a un secolo o quasi di distanza, dovette conoscere e apprezzare molte di quelle opere presenti nelle collezioni napoletane, e per l’appunto descritte nella Vita dell’artista con ricchezza di particolari e straordinaria intelligenza critica.Preceduta dalla fiamma del mantello e dall’oro della veste, una giovane donna affiora dall’ombra, lo sguardo fermo e deciso, le labbra semiaperte a esprimere un pensiero che possiamo solo indovinare. I pennelli e la tavolozza ce la mostrano come personificazione della pittura, un’attività ispirata dalla poesia, cui allude la corona di lauro che cinge il capo della figura, e fondata sulla pratica del disegno, come sottolinea il porta-mine impugnato con la mano destra: lo stesso gesto lieve e sicuro con cui, altre volte, abbiamo visto le modelle di Bernardo Cavallino ostentare un ramo di palma, trasformandosi per l’occasione in giovani martiri. L’insistenza sul disegno quale principio fondante del dipingere richiama senza dubbio una pratica abituale dell’artista, oggi documentata da una serie di fogli di sua mano catalogati da Cristiana Romalli (in appendice al catalogo dei dipinti curato da Nicola Spinosa, 2013) e comunque già nota nel Seicento quando suoi disegni erano presenti nelle raccolte medicee, come risulta da una nota di Filippo Baldinucci.Sontuose nei colori, gli stessi peraltro che vediamo dipinti sulla tavolozza, le vesti della figura rivelano il debito dell’artista nei confronti del suo possibile maestro, Massimo Stanzione, ma anche (e proprio nel gesto elegante della destra che emerge dal lino della camicia) dei modelli lasciati a Napoli da Simon Vouet e da Artemisia Gentileschi:rivissuti però con il garbo discreto e la tenera sensualità che di Cavallino furono appunto il tratto distintivo e che resero così speciale ed inimitabile la sua pittura.Caratteristiche che ritroviamo comunque nelle opere della sua maturità, presumibilmente non lontane da quella data del 1645 apposta alla paletta di Capodimonte (fig. 1) che sembra oggi costituire l’unico appiglio sicuro per la cronologia dell’artista. La scelta di rinunciare a dipingere “in grande” opere di soggetto storico e soprattutto religioso, e quindi a lavorare per le chiese di Napoli, ha privato infatti le opere di Bernardo Cavallino di ogni possibile appiglio cronologico offerto da documenti o da fonti indirette; una scelta aggravata, peraltro, dalla resistenza dell’artista napoletano afirmare i propri dipinti e ancor di più a datarli. Al tempo della mostra dedicatagli nel 1984 solo otto opere risultavano firmate, e una sola datata, mentre ai pagamenti per lavori eseguiti nel 1646 e nel 1649 non corrispondono opere rintracciate: una situazione che gli studi più aggiornati vedono sostanzialmente immutata.Difficile quindi tracciare una esatta cronologia del suo pur nutrito catalogo, ricostruito a partire dalla riscoperta moderna del pittore, circa un secolo fa, e meglio precisato da Raffaello Causa nell’ambito della sua storica sistemazione del Seicento napoletano, a cui seguirono per l’appunto gli studi di Ann Percy confluiti nella mostra citata, e la più recente monografia di Nicola Spinosa. Non è dubbio comunque che la Allegoria della Pittura qui presentata debba accostarsi alle opere più importanti e mature di Bernardo Cavallino: alla celebre Cantatrice di Capodimonte (fig. 2) per esempio, di cui condivide il gesto appena lezioso delle dita inarcate, come alla Santa Caterina a Birmingham nel Barber Institute of Fine Arts(fig. 3), o infine alla più austera e pensosa Cecilia a Boston, Museum of Fine Arts (fig. 4): opere tutte che la criticapiù aggiornata suggerisce appunto di collocare alla metà degli anni Quaranta del Seicento o appena oltre. La precede, forse proprio all’inizio del quinto decennio, una diversa versione dello stesso soggetto, nota anche attraverso una replica di bottega (N. Spinosa, 2013, p. 311, cat. 45; A.T. Lurie, 1985, p. 146) in cui a impersonare la pittura è una giovane donna in vesti assai più dimesse, individuata nei piani del viso e nelle pieghe del mantello da più decisi risalti di lume. Un angelo la incorona di fiori, forse a indicare un’ispirazione soprannaturale alla sua arte: un’ambiguità iconograficaormai risolta nel nostro dipinto, vera e propria dichiarazione di poetica.
Note biograficheI dati certi su Bernardo Cavallino si limitano alla sua nascita nell’agosto del 1616, a conferma della maggiore età dichiarata in un altro documento del 1636, e ai pagamenti ricevuti nel 1646 e nel 1649, rispettivamente da Carlo Cioli e dal principe di Cardito, per opere “grandi” non rintracciate, raffiguranti, nel caso del primo committente citato, una Annunciazione e una Immacolata Concezione. In mancanza di ulteriore documentazione, si ritiene che l’artista scomparisse, come tanti altri della sua generazione, durante l’epidemia di peste che colpì Napoli nel 1656 provocando una tale quantità di decessi da renderne impossibile la registrazione. Poche e scarsamente attendibili le notizie biografiche riportate da Bernardo De Dominici nelle Vite de’ Pittori, Scultori e Architetti Napoletani (III, 1743, pp. 32-43), a cominciare dalla data di nascita nel 1624: egli lo dice giovanissimo allievo di Massimo Stanzione e attribuisce la sua decisione di dedicarsi alle “figure piccole” al consiglio di Andrea Vaccaro, dopo che il giovane pittore aveva partecipatoalla decorazione del soffitto della chiesa di S. Diego all’Ospedaletto, peraltro distrutta alla fine del Settecento e quindi non giudicabile. Unica opera datata di Bernardo Cavallino è la paletta ora a Napoli, Museo di Capodimonte (fig.1) proveniente dalla chiesa di S. Antoniello delle Monache e raffigurante Santa Cecilia incoronata da un angelo: la costa del libro in primo piano reca infatti le iniziali del pittore e la data del 1645 intorno alla quale si scalano le opere della sua maturità. Ad una fase precedente, verosimilmente alla metà degli anni Trenta, si situano generalmente le composizioni a più figure intere ma di piccolo formato, debitrici dell’esempio di Aniello Falcone (le figurine “alla pussinesca piene di spirito e di espressione” di cui parla Lanzi, Storia pittorica dell’Italia… II, p. 279) ma anche, nella gamma bruna e nelle luci contrastate, del primo naturalismo napoletano: soluzioni che dal 1640 circa daranno luogo, conformemente al percorso generale della pittura napoletana, a una gamma cromatica luminosa e schiarita e a una inedita monumentalità, sempre declinata però in modi personalissimi e lontani dall’accademia.
Bibliografia sull’artistaB. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli 1742-43, III, pp. 32-43; A. De Rinaldis, Bernardo Cavallino, Napoli 1909; A. De Rinaldis, Cavallino, Roma 1921; U. Prota Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 155-158; W. Vitzthum, in Disegni napoletani del Seicento e Settecento (catalogo della mostra), Roma 1969, pp. 14 s.; R. Causa, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, pp. 941-944; Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656. Catalogo della mostra, 1984; Bernardo Cavallino (1616-1656). Catalogo della mostra, Napoli 1985; Nicola Spinosa, Grazia e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo. 1616 – 1656, Roma 2013.
An acclaimed masterpiece by Bernardo Cavallino, the painting offered for sale here – on the market for the first time in almost forty years – expresses in the most felicitous way the qualities which brought fame to the Neapolitan artist during his brief lifespan, and which inspired the praise heaped on him by Bernardo De Dominici, even though the biographer was ill-informed about chronology and the external events of the painter’s career. De Dominici characterized Cavallino’s manner in easel paintings, with figures presented in a small format – the genre he exclusively adopted – stating that he painted “many works in such a delicate style, vivid colours, and so decorous and natural, that his figures seem more alive than painted; he used limited sources of light and reflection, making light reverberate so gently that it sweetly beguiles any onlooker”; and while his words on the natural, life-like effect of the painted figures formed a customary topos of art history writing, the means used by Cavallino to achieve that end are identified with the acuity of someone who (though it was almost a century later) must have known and appreciated many such works in Neapolitan collections, described in his Life of the artist with a wealth of detail and extraordinary critical intelligence.Heralded by the flaming red of her cloak and the gold of her dress, a young woman emerges from the shadows, her gaze firm and determined and her lips parted to express a thought we can only guess at. The brushes and palette identify her as personification of painting, an activity inspired by poetry, alluded to by the laurel crown that circles her head, and founded on the practice of drawing, as underlined by the chalk holder she has in her right hand – the same gesture, light and sure, which recurs in other female models used by Bernardo Cavallino as they hold a palm branch, thus takingon the role of young martyrs. The insistence on disegno as the founding principle of painting no doubt recalls the artist’s own habit, now documented in a series of sheets (catalogued by Cristiana Romalli in the appendix to the catalogue ofpaintings assembled by Nicola Spinosa in 2013), and in any case already known during the 1600s, when his drawings are recorded by Filippo Baldinucci as present in the collections of the Medici family.The sumptuous colours of the figure’s dress – the same we find on the palette she holds – reveal the artist’s debt to his putative master, Massimo Stanzione; but he was also influenced, specifically in the elegant gesture of her right hand, emerging from the linen chemise, by the Neapolitan paintings of Simon Vouet and Artemisia Gentileschi, though restated with the discreet grace and tender sensuality that were Cavallino’s hallmark, and that made his painting so special and inimitable. We find these features in his mature work, in a period presumably around 1645, the year he applied to the little altarpiece in the Capodimonte Museum (fig. 1), which appears to be the sole secure date for establishing the artist’s chronology. Cavallino’s decision not to paint historical and above all religious subjects “in grande”, and thus not to work for the churches of Naples, effectively deprived his oeuvre of having any chronological support from documents or indirect sources; and the decision was aggravated by his reluctance to sign his paintings, or even date them. When the exhibition of his work was held in 1984, there were only eight signed works, and only a single dated one, while paymentsfor work carried out in 1646 and 1649 do not correspond to known paintings; the situation has remained largely unchanged in the present state of scholarship.It is difficult, then, to map out an exact chronology for the catalogue of Cavallino’s work, extensive as this may be. The oeuvre was reconstructed with the modern rediscovery of the painter about a century ago, and refined by Raffaello Causa as part of his historic rearrangement of Neapolitan Seicento painting; this was followed by the studies of Ann Percy, which evolved into the exhibition mentioned above, and the recent monograph by Nicola Spinosa. There can be no doubt, however, that the Allegory of Painting presented here should be included among the most important andmature works of Bernardo Cavallino: in relation to the celebrated Singer at Capodimonte (fig. 2), for example, with which it shares the gesture of the arched fingers, with that hint of affectation, or the Saint Catherine in the Barber Institute of Fine Arts, Birmingham (fig. 3), or again the more austere, meditative Saint Cecilia in the Museum of Fine Arts, Boston (fig. 4) – all works proposed by the latest scholarship as belonging to the mid-1640s, or very soon thereafter.Our painting is preceded, perhaps at the very beginning of the 1640s, by a different version of the same subject, also known through a workshop replica (N. Spinosa, 2013, p. 311, cat. no. 45; A. T. Lurie, 1985, p. 146), in which the personification of painting is a young woman with far less ornate attire, and with more insistent touches of light on her face and folds of the cloak. An angel offers her a floral crown, perhaps indicating that her art is supernaturally inspired – an iconographical ambiguity subsequently resolved in our picture, which conveys a true declaration of po etics.
Biographical notes: Secure data regarding Bernardo Cavallino is limited to his birth in August of 1616 (confirmed by a document proving his adulthood in another document of 1636) and records of payments received in 1646 and 1649, respectively from Carlo Cioli and the Prince of Cardito, for works that were “grandi”; and although these are untraced, we know their subjects, in the case of the first of these two patrons – an Annunciation and an Immaculate Conception. Given the absence of further documentation, we believe that the artist perished, like so many others of his generation, during the plague epidemic that struck Naples in 1656, provoking such a quantity of victims that it was impossible to registerthem all. The biographical account given by Bernardo De Dominici in the Vite de’ Pittori, Scultori e Architetti Napoletani (III, 1743, pp. 32-43) is thin and unreliable, beginning with his date of birth, given as 1624; Cavallino is stated to have been a very young pupil of Massimo Stanzione, and the decision to dedicate himself to “figure piccole” is credited to the suggestion of Andrea Vaccaro, after the young painter had taken part in the decoration of the ceiling of the church of San Diego all’Ospedaletto (destroyed at the end of the 1700s, and therefore impossible to judge). The only dated work by Bernardo Cavallino is the small altarpiece now in the Capodimonte (fig. 1) from the church of Sant’Antoniello delle Monache, with an image of Saint Cecilia Crowned by an Angel; the spine of the book in the foreground bears the painter’s initials and the date 1645, which offers a base for establishing his mature oeuvre. Scholars generally suggest that it was during an earlier phase, seemingly during the mid-1630s, that Cavallino painted the compositions with multiple full-length figures, but on a small format and indebted to pictures by Aniello Falcone (the small figures “alla pussinesca piene di spirito e di espressione” referred to by Lanzi, Storia pittorica dell’Italia II, p. 279), but also, for his brown tonalities and dynamic contrasts of light, to early Neapolitan naturalism. From about 1640 onwards this manner gave way, as one can generally see throughout the development of the Neapolitan school, to a luminous, brighter chromatic range and an unexpected sense of monumentality, though always expressed in a highly individual and far from academic style.
Literature on the artist: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori e architetti napoletani, Naples 1742-43, III, pp. 32-43; A. De Rinaldis, Bernardo Cavallino, Naples 1909; A. De Rinaldis, Cavallino, Rome 1921; U. Prota Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Naples 1953, pp. 155-158; W. Vitzthum, in Disegni napoletani del Seicento e Settecento, exhibition catalogue, Rome 1969, p. 14 f.; R. Causa, in Storia di Napoli, V, Naples 1972, pp. 941-944; Bernardo Cavallino of Naples 1616-1656, exhibition catalogue, 1984; Bernardo Cavallino (1616-1656), exhibition catalogue, Naples 1985; Nicola Spinosa, Grazia e tenerezza “in posa”. Bernardo Cavallino e il suo tempo. 1616-1656, Rome 2013.