COPPA
FAENZA, BALDASSARE MANARA, 1539
Maiolica, dipinta in policromia con arancio, giallo antimonio, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.
Alt. cm 5,8, diam. bocca cm 25, diam. piede cm 10,5.
Sul retro la data “1539” entro cartiglio in color ocra.
La coppa presenta un cavetto concavo e tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato; poggia su un piede basso e privo di anello.
La rappresentazione si adatta alla forma del manufatto, assecondandone le curve e le convessità e raffigura un soggetto mitologico ambientato in un paesaggio racchiuso da alberi e quinte di montagne sullo sfondo. Una città turrita si confonde nel paesaggio tra montagne, prati ondeggianti e fiumi. I due protagonisti della scena, Marte e Venere, si affrontano al centro del piatto: Marte appoggiato a un albero, ai cui piedi si scorge Cupido intento a guardare la madre, ritta sulla destra del piatto con la mano alzata ad indicare il cielo dove un amorino appare reggendo nelle mani un arco, probabilmente destinato a Cupido, già armato di faretra. Poco distante due personaggi, intenti a dialogare, sembrano avvicinarsi alla radura in cui si svolge la vicenda.
Lo smalto è steso con abbondanza, i pigmenti trattati con estrema perizia, anche se sul retro sono presenti qualche difetto di cottura e qualche colatura all’orlo.
Il verso è dipinto interamente in ocra con motivo a embricazioni, al centro un cartiglio a fondo bruno marrone con scritta giallo antimonio “1539”, intorno al quale risaltano due rami di ulivo.
Si tratta a nostro avviso di un episodio dell’amore tra Marte e Venere di cui ci narra Ovidio nelle Metamorfosi (1). Carmen Ravanelli Guidotti, che ha pubblicato l’opera qualche anno fa, pensava invece a Vulcano e Venere, ma a conferma della nostra ipotesi ci sembra di ritrovare una concreta somiglianza del personaggio raffigurato nel nostro piatto con il Marte di una incisione di Giulio Bonasone, con la sola variante del braccio alzato con la spada che pare comunque un attributo più idoneo al dio della Guerra.
La coppa in esame, pur in assenza di firma, si avvicina molto all’opera del maestro faentino, al punto che è stata inserita da Carmen Ravanelli Guidotti nella monografia su Baldassarre Manara (2). La studiosa conferma l’attribuzione dell’opera al pittore faentino con la prudenza dovuta alla mancanza di verifica autoptica sul pezzo, noto solo per le numerose pubblicazioni (3). Di grande interesse, oltre alla ricostruzione della storia collezionistica del pezzo, è il paragone che la studiosa introduce con le opere del “Pittore di Argo”, attivo in questo arco cronologico in area marchigiana, non escludendo un’influenza di questo tipo di pittura sul grande artefice faentino ormai giunto alla maturità artistica.
La presenza della data colloca la coppa tra le opere mature di Baldassarre Manara, quando, ormai affermato, tende a firmare o a datare i propri lavori.
Le notizie biografiche su questo celebre pittore sono scarse, ma la sua attività si colloca nella prima metà del XVI secolo. Sappiamo che proveniva da una famiglia di vasari, nota nella città di Faenza. Le attestazioni archivistiche sono scarse e abbiamo notizie dal 1529 fino al 1546-1547, anno supposto della morte (4).
Il corpus di oggetti di Baldassarre Manara è vasto e comprende decine di opere, alcune delle quali conservate nei più importanti musei del mondo.
Il confronto stilistico con questi esemplari, nei quali è chiaramente riconoscibile l’impianto disegnativo caratteristico di questo pittore, con contorni definiti e ombreggiature a chiaroscuro ottenute con sapiente dosaggio del pigmento e con una velata sovrapposizione di bianco di stagno, conferma ulteriormente la paternità della coppa.
Altra riprova ci deriva dal marcato linearismo delle figure, impreziosito spesso da un cromatismo brillante, qui sostituito da una gamma cromatica che predilige i colori caldi. comunque rappresentata in alcune opere di confronto, come la coppa con L’adorazione dei pastori ora al Museo Internazionale delle Ceramica di Faenza (5). Anche il soggetto, mitologico, è coerente con le fonti d’ispirazione del Manara.
Stilisticamente il confronto con alcuni dettagli, caratteristici dell’opera del maestro, rafforza ulteriormente l’attribuzione. Si vedano ad esempio il volto di Marte, nel nostro piatto, e quello di profilo dal San Paolo caduto da cavallo della coppa conservata nella raccolta di Arti Applicate del Castello Sforzesco a Milano, opera del 1535 circa (6). Oppure si vedano anche le figure sullo sfondo del nostro piatto, che richiamano la grazia dei due personaggi collocati alle spalle di Giasone nel piatto con Atalanta e Ippomene del Fitzwilliam Museum (7). Il dettaglio della figura femminile e in particolare quello delle mani con l’indice alzato è stato già ampiamente analizzato da Carmen Ravanelli Guidotti in un articolo su “Faenza”(8).
Infine l’ambientazione con quinte arboree, greti sassosi e ruscelli, con sfondi “a paese” spesso abitati da città turrite circondate o appoggiate a montagne, costituiscono un corpus di elementi che ritroviamo nelle opere del pittore faentino (9).
L’opera compare nel catalogo della vendita della celebre collezione Adda (10), e già nella schedatura operata da Rackham nel 1959 (11) era attribuita a Baldassarre Manara.
È stata in seguito pubblicata da Giovanni Conti nel catalogo di una mostra tenutasi presso la galleria antiquaria di Milano di Carla Silvestri (12).
La coppa è accompagnata dalla documentazione che ne attesta il passaggio dalla galleria milanese alla collezione dove è stata fino a oggi custodita.
1-Ovidio, Metamorfosi, IV, vv. 167-189 Venere, moglie di Vulcano, si innamora di Marte e con lui tradisce il marito. Il Sole scopre l’adulterio e lo rivela a Vulcano. Questi, infuriatosi, si vendica costruendo una rete invisibile, da legare attorno al letto. I due amanti, colti in flagrante durante il loro incontro, sono intrappolati. Vulcano chiama tutti gli dei a raccolta per essere testimoni del fatto e umiliare i due amanti, liberati in seguito solo grazie all’intercessione di Nettuno.
2- RAVANELLI GUIDOTTI 1996, p. 222 n. A2.
3- Nella pubblicazione il piatto è riprodotto capovolto rispetto all’originale.
4- RAVANELLI GUIDOTTI 1990, pp. 90-91: nel primo atto notarile Baldassarre Manara è chiamato a testimone in una causa, riguardo alla morte invece abbiamo notizia da un altro documento in data 20 giugno 1547 nel quale la moglie è definita come “olim uxor”.
5- RAVANELLI GUIDOTTI 1996, n. 31.
6- RAVANELLI GUIDOTTI in AUSENDA 2000, pp. 118-119 n. 114.
7- RAVANELLI GUIDOTTI 1996, pp. 142-144 n. 12 fig.12g.
8- RAVANELLI GUIDOTTI 1991, tav. XXXVIIIC.
9-RAVANELLI GUIDOTTI 1996, figg.10f,10g,11f/g/i o la tipologia della città nelle figure 13b/c.
10- ADDA SALE 1965.
11- RACKHAM 1959, n. 301.
12- CONTI 1984, scheda 34.