Importanti Maioliche Rinascimentali

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COPPA

€ 35.000 / 45.000
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COPPA

URBINO E DUCATO DI URBINO, AMBITO DI NICOLA DA URBINO, 1525-1535 CIRCA

Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nei toni del nero, marrone e bianco di stagno.

Alt. cm 3,5; diam. cm 25,7.

 

 

La coppa ha cavetto concavo e tesa bassa, terminante in un orlo sottile e arrotondato. Si presenta priva di piede.

La scena si svolge all’interno di un porticato a pianta centrale, con volte a vela e un’esedra sullo sfondo, pavimentato a grandi lastre quadrate. Al centro della composizione è collocato un altare dalla forma “a candelabro” (1) con ricca decorazione a foglie d'acanto, sul quale è acceso un focolare. Ai piedi dell'altare, un sacerdote barbato sacrifica un animale con una spada dalla lama larga e ricurva. Alle sue spalle un uomo, anch'esso barbato e avvolto in un manto arancio (2), assiste alla scena, mentre sul lato opposto una donna velata accompagna un fanciullo che sorregge con la mano destra un animale da sacrificare. Sullo sfondo, dietro le architetture, un paesaggio accennato spicca in ombra sul cielo al tramonto.

La composizione richiama, con molte varianti, quella replicata in un’incisione di Marco Dente tratta da un disegno realizzato da Raffaello per le Logge Vaticane e già utilizzata in maiolica presso le botteghe urbinati (3).

Una scena di sacrificio, invero più affollata, attribuita alla bottega di Guido Durantino, è conservata al Museo di Berlino (4) e mostra una figura di vecchio che sacrifica un capro davanti ad un altare, in presenza di un sacerdote con il capo velato e davanti a numerosi personaggi: i modi stilistici sono vicini a quelli della cerchia di Nicola da Urbino.

La nostra coppa era stata attribuita a Nicola Pellipario da Rackham, che in una lettera al proprietario, datata 24 novembre 1962, scriveva: “Non ci sono dubbi che tu sia il proprietario di un altro lavoro di Nicola Pellipario (5). Daterei la coppa al 1520 o forse al 1525”(6). Tale attribuzione è accolta anche da Maria Cristina Villa, che pubblica la coppa come confronto in un articolo su un istoriato inedito di Nicola da Urbino (7). Nell’articolo vengono raffrontate alcune opere del maestro urbinate nelle quali si riscontrano effettivamente molti elementi comuni, vuoi nella resa delle figure vuoi in quella dei personaggi.

L’architettura con il porticato ha invece un riscontro in un altro piatto pubblicato nello stesso articolo e conservato al Castello di Wawel a Varsavia (8), nel quale la vicenda narrata si svolge in un porticato del tutto coerente con il nostro: Maria Cristina Villa fornisce tutti i dettagli relativi alle fonti d’ispirazione e all’utilizzo delle stesse da parte di Nicola e della sua cerchia.

Tra le opere di confronto, ci colpisce un piatto del Museo di Amburgo, nel quale le figure attorno all’altare comprendono un personaggio barbato avvolto in un mantello sulla sinistra del piatto e due figure erette sulla destra; il vecchio non mostra riscontri stilistici affini a quello raffigurato sul nostro piatto, ma ne potrebbe comunque costituire una fonte d’ispirazione. Nei personaggi femminili l’attenzione è focalizzata sulla forma del viso, che ritroviamo nelle figure rappresentate nel nostro piatto con varianti: nell’opera in analisi i personaggi sono uno maschile e uno femminile e le vesti sono differenti.

Il confronto più calzante ci pare comunque quello con la coppa dell’Ashmolean Museum di Oxford (9) raffigurante la Presentazione al tempio, nella quale le modalità stilistiche nella raffigurazione dei personaggi ci paiono prossime a quelle dell’opera in esame: in particolare ci colpiscono la raffigurazione della pavimentazione, il volto del sacerdote velato e quello della figura in abito giallo dietro al rabbino.

Le affinità che abbiamo riscontrato potrebbero però essere spiegate con quanto ormai conosciamo sull’utilizzo delle fonti incisorie nelle botteghe che produssero decori istoriati.

La vicinanza con Nicola ci deriva da alcuni elementi stilistici e da alcune scelte decorative ben caratterizzanti: ad esempio l’architettura con nicchia che accoglie un altare decorato che si ritrova nel piatto da collezione privata con la scena dell’Uccisione di Achille (10), presente anche in altre opere del maestro urbinate come la Conversione di Sergio Paolo delle Civiche Raccolte di Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano (11).

Anche la forma scelta nel descrivere il cerbiatto che viene sacrificato ci sembra ricordare le modalità stilistiche di Nicola: si veda ad esempio il cerbiatto che compare sullo sfondo di un piatto del Museo del Louvre con le Storie di Sant’Eustachio (12).

Inevitabile, comunque, il confronto con artisti che operano vicino al maestro urbinate. Tra questi il “Pittore di Marsia di Milano”, attivo a Urbino tra il 1525 e il 1535. Un nucleo coerente di sue opere, tra le quali il piatto eponimo conservato a Milano, è stato studiato da Timothy Wilson in occasione della classificazione e pubblicazione della raccolta delle ceramiche del museo milanese (13). L’autore ci ricorda come John V.G. Mallet avesse già citato il piatto del Pittore di Marsia in un convegno nel 1980, costituendo un primo nucleo di opere di un pittore che mostra grandi analogie formali con Xanto Avelli e con Nicola da Urbino, con una personalità artistica però inferiore. È andato in seguito ad aumentare il numero di opere attribuite al pittore attorno a questo primo nucleo: si tratta pertanto di un piatto tipo per le attribuzioni, il cui arco cronologico è compreso tra il 1525 e il 1535 (14). Per quanto riguarda la presenza di un’iscrizione sul retro del piatto milanese, Wilson ci fa notare che, fatta eccezione per cinque pezzi (15), la maggior parte degli esemplari attribuiti a questo pittore sono privi d’iscrizione.

Il confronto con il piatto con Apollo e Dafne attribuito al Pittore di Marsia mostra affinità stilistiche con la nostra coppa, anche se vi riconosciamo comunque un tratto e una resa cromatica differenti. Il modo di rendere gli zigomi della figura anziana nel piatto milanese e nei nostri personaggi barbati, basata sull’alternanza tra il chiaro e lo scuro, con la guancia incorniciata da una mezzaluna in tono più scuro, avvicina il piatto a quest’oggetto.

A riprova di quanto da noi pensato per l’attribuzione, va annoverata anche la marcata vicinanza con alcune opere attribuite da Wilson al Pittore di Marsia, non ultimo il piatto eponimo, come si osserva nel volto delle figure femminili sulla destra del piatto con L’uccisione dei figli di Niobe (16), delle figure a cavallo presenti sull’altro piatto con medesimo soggetto (17) o del vecchio sulla destra del piatto con Latona e Lici. In tutti si riscontrano affinità nei modi di descrivere il paesaggio sullo sfondo con colline squadrate ombreggiate di blu e file di alberelli tondeggianti, ma in queste opere la cura per i dettagli ci pare maggiore e lo stile, invece, meno disinvolto e spontaneo.

Anche il confronto con esemplari che si pensano prodotti da altri pittori della cerchia di Nicola da Urbino rivela somiglianze con l’opera in studio, come ad esempio il piatto con Muzio Scevola sempre del museo milanese (18).

Il nostro piatto, con il titolo Sacrificio sotto una loggia, proviene dalla Collezione Scott-Taggart (19) ed è transitato poi dalla Galleria Barberi.

 

1-Ispirato forse da oggetti come quelli raffigurati nelle incisioni di Enea Vico, come suggerisce ad esempio Maria Cristina Villa (VILLA 2001, p. 42), o come il Candelabro a Cariatidi (BARTSCH 30, 15).

2-Ci sembra che possa derivare dalla figura presente tra il pubblico della Predica di San Paolo ad Atene in una incisione di Marcantonio Raimondi da un cartone di Raffaello, eseguito per uno degli arazzi vaticani; l’incisione è pubblicata alla scheda n. 38 di questo catalogo.

3- Ne è un esempio una crespina con scena di sacrificio in RAVANELLI GUIDOTTI 2000, p. 131 n. 18.

4- HAUSMANN 1972, pp. 281-282 n. 205.

5- Dalla seconda metà dell’Ottocento si parla di Nicola Pellipario come del più grande maestro della pittura su ceramica, più tardi identificato come Nicola da Urbino e oggi finalmente riportato alla sua posizione di “pellicciaio”; il Pellipario è solo il padre del capo bottega Guido Durantino che da Castel Durante si sposta a Urbino fondando una propria bottega. Nicola di Gabriele Sbraghe detto Nicola da Urbino è una personalità a sé stante nata e attiva a Urbino, alla quale oggi si riferiscono le opere un tempo attribuite al Pellipario. Nel 1968 Wallen dimostrò che in realtà Nicola Pellipario e Nicola da Urbino erano due artisti distinti, ma soprattutto che Pellipario era molto probabilmente un conciatore di pelli. Per dettagli si veda: WILSON 1987, p. 44; l’elenco degli studi si trova in THORNTON-WILSON 2009, p. 230; importante la lista delle opere proposta da Mallet nel 2007 (MALLET 2007B).

6- Il testo della lettera è riportato tra la documentazione relativa alla provenienza dell’opera nella scheda d’asta della collezione Scott-Taggart; SOTHEBY’S, aprile 1980, lotto 17.

7- VILLA 2001, pp. 38-62.

8- PIATKIEWICZ-DERENIOVA 1991, n. 33.

9- Inv. LI206.16.

10- PAOLINELLI in MALLET 2002.

11- WILSON in AUSENDA 2000.

12- GIACOMOTTI 1974, p. 272 n. 867.

13 WILSON in AUSENDA 2000, pp. 190-192 n. 199.

14-Per approfondimenti e ipotesi in merito al “Pittore di Marsia di Milano”, si vedano RASMUSSEN 1984-1989; WATSON 1986; per la questione cronologica, WILSON 1996, pp. 188-191.

15- Ai quali lo studioso ne aggiunge altri due.

16-WILSON in AUSENDA 2000, p. 192 n. 201.

17-WILSON in AUSENDA 2000, p. 191 n. 200.

18- WILSON in AUSENDA 2000, pp. 194-195 n. 204: la scheda ricorda anche altri autori avvicinati dagli studiosi a Nicola da Urbino; si rimanda in merito alla bibliografia relativa.

19-CHRISTIE’S, Londra, 14 aprile 1980, lotto 17.