COPPA
URBINO, SECONDO QUARTO DEL SECOLO XVI
Maiolica dipinta in policromia con azzurro, verde ramina, bruno di manganese, giallo ocra, blu di cobaltoe bianco di stagno.
Alt. cm 5,2; diam. cm 26,5; diam. del piede cm 12,6.
La coppa, poggiante su piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La scena istoriata raffigura Il sacrificio di Marco Curzio (1), avvenuto quando, per un terremoto o per un'altra causa naturale, il suolo franò nel centro del foro romano, lasciando aperta un'ampia voragine. Nonostante tutti vi gettassero della terra non si riusciva a riempirla, fino a quando, su preciso monito degli dèi, gli indovini sostennero che si doveva consacrare quel luogo con “l'elemento principale della forza del popolo romano”, se si voleva che la Repubblica romana durasse in eterno. Allora Marco Curzio, un giovane distintosi in guerra, riconoscendo nel valore militare ciò che gli dèi richiedevano, si offrì in voto e, montato in groppa a un cavallo, si gettò armato nella voragine: la folla, colpita dal gesto, lanciò frutta e libagioni su di lui e la voragine ne fu colma (2).
Questa vicenda riscontrò un grande successo nell’iconografia rinascimentale e in particolar modo sulla maiolica istoriata. Si vedano ad esempio i piatti del Museo di Pesaro che, con modalità stilistiche differenti, in alcuni casi accomunati dalle medesime incisioni di riferimento, raffigurano questa stessa scena (3); ma l’elenco di come questo episodio sia stato trattato in maiolica sarebbe assai lungo.
Notiamo nell’analisi della coppa che l’autore ha associato più incisioni nella formazione del soggetto da raffigurare: si riconosce nei personaggi assembrati ad assistere al sacrificio del giovane valoroso, una parte del popolo che affolla l’agorà nell’incisione di Marcantonio Raimondi che raffigura La predica di San Paolo nell'Areopago di Atene (4) (vedi fig. 1). La figura del Marco Curzio da Marcantonio Raimondi invece non ci pare possa costituire il riferimento iconografico corretto per l’opera in esame, pur essendo probabilmente assai nota nelle botteghe urbinati.
Stilisticamente la coppa ci pare vicina alle produzioni urbinati, o comunque di una bottega attiva nel Ducato di Urbino: anche la forma della coppa è assai usata nel ducato stesso. E anche l’uso di più fonti incisorie, secondo l’abitudine delle botteghe marchigiane, e la capacità di unirle in una corretta proporzione ci conforta sull’area produttiva e ci fa pensare a un pittore esperto. Ciò che ci colpisce è l’abilità dell’artefice di disporre con grande maestria le figure all’esergo del piatto delineandole con libertà, nonostante il riferimento alle incisioni.
I pigmenti sono variamente diluiti per dare profondità alle pieghe delle vesti, i volti sono illuminati da tocchi di stagno che fanno spiccare i nasi, dritte le bocche chiuse, il cavallo è ben descritto grazie a un sapiente gioco di chiaroscuro e con ombreggiature con tocchi di bistro, così come il cavaliere: si noti per esempio la cura nella realizzazione dell’elmo. Ma sono le architetture dello sfondo, il muro arcuato (5), le cupole, i fornici ad arco, unitamente agli alberi dal tronco scuro e sinuoso, che ci portano a ragionare e a confrontarci con autori attivi della prima metà del secolo e con maestranze che conoscono l’operato di Nicola da Urbino.
La coppa è transitata sul mercato antiquario ed è pubblicata nel catalogo dell’asta del 1976 (6), dove veniva indicata come piatto di Urbino del 1540 circa.
1 Livio, Ab Urbe condita, VII, 6.
2 Secondo alcune versioni il lago Curzio prese il nome da questo eroe e non da Curzio Mezio, soldato di Tito Tazio in tempi più remoti.
3 Inv. 4314 FONTEBUONI 1985, n. 179, inv. 4199; infine inv. 4359, che il Mallet dava già opera come del ”Maestro S” FONTEBUONI 1985, n. 219.
4 La predica di San Paolo nell'Areopago, bulino, da un cartone di Raffaello oggi al Victia and Albert Museum preparatorio per un arazzo nella Pinacoteca Vaticana (BARTSCH XXVI/14, n. 44 e H. SHOEMAKER 1981, n. 47).
5 Il richiamo va ad alcune opere di Xanto Avelli o al piatto datato circa al 1533 attribuito a Nicola da Urbino in MALLET 2008, p. 132 n. 42, oppure p. 86 n. 20.
6 SOTHEBY’S, 22 ottobre 1976, lotto 40.