GRANDE PIATTO
URBINO, BOTTEGA FONTANA, 1570 CIRCA
Maiolica dipinta con azzurro, verde, giallo, giallo arancio e bruno di manganese.
Alt. cm 4,4; diam. cm 44,4; diam. piede cm 28,7.
Sul retro, sotto il piede, delineata in blu di cobalto la scritta “Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche” seguita da due segni. Etichetta recante il numero dattiloscritto C. 13747.
Il piatto ha un ampio e profondo cavetto, tesa larga e appena obliqua con orlo arrotondato. Poggia su un piede ad anello piuttosto alto e largo. Il fronte è interamente ricoperto da una fitta decorazione istoriata che interessa il cavetto e la tesa senza soluzione di continuità. Il retro è decorato da linee gialle concentriche che ne sottolineano i profili e reca sotto il piede la scritta “Venere sene va aspasso p(er) il mare con/le Nereide apuleio nel primo dela/faula di psiche” accompagnata da due segni grafici.
La decorazione mostra un corteo marino con Venere al centro assisa sul suo carro marino trainato da due tritoni e affiancata da due nereidi a cavallo di mostri marini: una le sostiene un braccio, mentre l’altra sorregge un drappo del panneggio che ricopre appena la dea. Alle sue spalle, sempre a cavallo di un mostro marino, un tritone e coppie di tritoni e nereidi intenti in effusioni amorose. Al fianco di Venere, Eros cavalca un delfino. Il paesaggio è di ampio respiro ed è chiuso all’orizzonte da una catena di monti e da una città costiera.
La legenda sul retro ci illumina sull’interpretazione: si tratta del corteo di Venere per la sua presentazione, che fa da prodromo della narrazione della favola di Amore e Psiche narrata da Apuleio nella sua opera Metamorfosi (1) Qui però la protagonista della narrazione è ancora una Venere classica, dalla personalità complessa al punto da generare una diversificazione di culto (2).
La favola narra la storia della giovane Psiche, la cui bellezza scatena la terribile gelosia di Venere, che inconsapevolmente provoca l’innamoramento tra la stessa Psiche e Cupido: la giovinetta sarà sottoposta dalla dea a terribili prove, fino a raggiungere l’Olimpo per convolare a nozze con Amore.
La favola è ricca di significati simbolici che non dovettero essere estranei all’autore o alla committenza dell’opera. Da un punto di vista tecnico la decorazione è complessa e distribuita sul supporto con grande perizia. Non è stato possibile ritrovare, per ora, alcuna fonte incisoria, anche se è probabile che ne sia stata utilizzata una, dato il successo iconografico suscitato dall’episodio narrato da Apuleio (3). I personaggi femminili, forse già di gusto manieristico, ci porterebbero a indirizzare la ricerca delle fonti incisorie proprio in questa direzione (4).
Le figure sono dipinte con maestria, proporzionate, perfettamente inserite nella scena, e i colori sono dosati con indubbia perizia tecnica, sebbene si riscontrino difetti di cottura e bolliture dello smalto, che è comunque abbondante e ricco.
La forma del piatto è attestata come in uso nelle manifatture urbinati e in particolare nella bottega Fontana (5) per tutto il XVI secolo e agli inizi del XVII. Tra l’altro, anche il decoro con le deità marine fu caro alla bottega Fontana, particolarmente nel periodo di produzione di Orazio Fontana (6).
Pur essendo numerosi gli esemplari che mostrano una decorazione ispirata a questa tematica, tuttavia non abbiamo potuto trovare nessuna affinità stilistica precisa che si possa accostare all’esemplare in analisi. Il ductus pittorico è qui molto tenue e raffinato, il progetto decorativo segue un’impostazione importante e lo stile delle figure è assai curato, molto proporzionato, di gusto già manierista e non più classico come negli apparati decorativi della bottega Fontana (7).
Il confronto con la coppia di anfore della Collezione Estense, pubblicate qualche anno fa da Lidia Righi Guerzoni, ci orienta comunque nella nostra ricerca verso una produzione urbinate. I due vasi d’apparato (8) mostrano caratteristiche stilistiche invero differenti: nel vaso il cui piede mostra un decoro “alla porcellana”, ritroviamo una figura di Nettuno con volto stilisticamente molto prossimo a quello dei tritoni che trainano il carro di Venere nel nostro piatto; inoltre, le figure sono “immerse in un’atmosfera ricca di sfumati che trascolora verso l’orizzonte”, dove sottili righe in giallo arancio descrivono la luce serale: caratteristica che ritroviamo in forma più leggera nel nostro piatto, insieme alle onde del mare, che presentano la stessa delicata realizzazione. Nel secondo vaso invece ritroviamo, ma in forma meno invadente, alcune figure di delfini dagli occhi grandi e arrotondati simili ai nostri. I due vasi estensi sono attribuiti dal Liverani alla bottega di Orazio Fontana e agli anni attorno al 1570 (9).
In un altro piatto della Galleria Estense (10), oltre alla stessa forma del nostro riconosciamo anche uno stile più affine nella descrizione delle figure. Somiglianza stilistica che ritroviamo anche nel piatto morfologicamente affine del Walters Museum di Baltimora che raffigura Il bagno di Diana e delle Ninfe (11): somiglianze si riscontrano in particolare nella resa del corpo delle figure femminili, nel volto della figura in piedi a sinistra con gli occhi abbassati, vicino al volto di Venere nel nostro piatto, e in alcune figure di putti della tesa in rapporto alla figura di Eros nel nostro esemplare. Il piatto di Baltimora reca sul retro una decorazione che interessa l’intera superficie con una figura di Nettuno su delfini in una scenografia marina.
Entrambi i piatti, il primo databile al 1559 (12) e quindi sotto Orazio Fontana, il secondo agli anni 1560-1570, sono stati attribuiti alla bottega Fontana, che vantava la presenza di un repertorio iconografico assai vario a disposizione dei pittori. Proprio in quest’ambito riteniamo di inserire il nostro esemplare, con una probabile datazione che lo colloca attorno al 1570.
1 Apuleio (125-170 d.C. circa) inserisce la favola di Amore e Psiche nel suo romanzo Metamorfosi o L'asino d'oro (libri IV, 28-VI, 24), argomento colto che si è prestato nel corso delle varie epoche a diverse interpretazioni. Nel Rinascimento, quando le virtù morali sono poste alla base del vivere civile, la favola che celebra il trionfo dell’amore coniugale e della purificazione dell’anima umana diviene oggetto di narrazione e di conseguenza di rappresentazione artistica, con la realizzazione di opere che la richiamano come i grandi cicli di affreschi della Loggia di Psiche della Farnesina, il ciclo di Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova e il delicato fregio di Perin del Vaga a Castel Sant’Angelo, ciascuno con un intento simbolico e programmatico differente. Si rimanda in merito al catalogo della mostra (BERNARDINI 2012).
2 Afrodite Urania come amore; Afrodite Areia armata e associata al culto di Ares; Afrodite Anzeia dea della fecondità; Afrodite Pandemia simbolo dell'amore sensuale; Afrodite Euploia e Afrodite Pontia protettrice dei naviganti.
3 Si pensi alle incisioni del Maestro del Dado (m. 1533) e di Agostino Veneziano (1490-1540), che dedicano al tema ben 32 incisioni su disegno di Michiel Coxcie (1532-1535). Di Agostino Veneziano una Venere sul Delfino realizzata intorno al 1530-1540 da disegno di Raffaello Sanzio potrebbe aver ispirato il nostro pittore.
4 Verso autori come Jean Cousin il Vecchio (1490-1560), o più facilmente verso lo stanco manierismo e il gusto michelangiolesco del figlio Jean Cousin il Giovane (1520-1594). Il primo autore di un dipinto con il Ratto di Europa nel quale riscontriamo una certa affinità nelle figure umane, ma soprattutto in certe pose dei putti che, a cavallo di delfini dalle zampe palmate, accompagnano la fanciulla sul toro. Anche i paesaggi dello sfondo ci ricordano quelli dipinti dai due autori francesi: si veda ad esempio lo sfondo della nota incisione con il Giudizio Universale di Jean Cousin il Giovane.
5 La stessa forma nel celebre piatto del Metropolitan Museum of Art di New York raffigurante La battaglia di Pavia e orgogliosamente firmato “nella bottega di Guido Durantino” (RASMUSSEN 1989, p. 167 n. 97).
6 Lo scorso anno abbiamo avuto modo di studiare il famoso vaso firmato da Orazio Fontana, considerato un caposaldo per l’attribuzione di opere simili (ANVERSA in PANDOLFINI 2014, p. 238 n. 54 e bibliografia relativa).
7 RIGHI GUERZONI in TREVISANI 2000, pp. 138-139.
8 Giustamente Righi Guerzoni (in TREVISANI 2000, pp. 138-139) ci ricorda la predilezione degli Este verso rappresentazioni sceniche, tra le quali le naumachie.
9 LIVERANI 1979, n. 30.
10 RIGHI GUERZONI in TREVISANI 2000, p. 134, celebre per il supposto utilizzo di fonti iconografiche ben precise e in particolare per l’uso di un disegno di Battista Franco per la realizzazione della tesa dei piatti. Per chiarezza sull’uso dei disegni, si veda THORNTON-WILSON 2009, pp.392-393 n.233 e bibliografia relativa.
11 Inv. 48.1316.
12 MALLET 1976, n. 396.