PIATTO
URBINO, FRANCESCO XANTO AVELLI, 1528-1529
Maiolica dipinta in policromia, con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola.
Alt. cm 2,7; diam. cm 26.5; diam. piede cm 9.
Sul retro l’iscrizione “Vedi Porzia ch'il ferro el/fuoco affina. historia Y/φ”. Sul retro etichetta rotonda con scritta di collezione in inchiostro nero “Xanto Avelli Urbino 1530”.
Il piatto presenta basso cavetto e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro mostra tre filettature a rilievo concentriche. Poggia su basso piede privo di anello.
La scena raffigurata è quella del suicidio di Porzia perpetrato in un modo tanto inusitato e così descritto da Marziale (1): “Dixit et ardentis avido bibit ore favillas. I nunc et ferrum, turba molesta, nega” . Come sempre Xanto Avelli ci descrive la scena aiutandoci nella comprensione, con una spiegazione sul retro “Vedi Porzia ch'il ferro el/fuoco affina. historia Y/φ”; utilizza inoltre nella legenda la frase tratta dai Trionfi del Petrarca (2) e appone la scritta historia e non fabula poiché si tratta di un episodio di storia romana e non di una vicenda mitologica (3).
Porzia, figlia di Catone Uticense e moglie di Marco Giunio Bruto, uno degli assassini di Giulio Cesare, alla notizia della morte del marito (42 a.C.) si uccide ingoiando dei carboni ardenti. Questa vicenda storica è narrata da Valerio Massimo (4), che così descrive il tragico atto: "Quando venisti a sapere che il tuo sposo Bruto era stato sconfitto e ucciso a Philippi, poiché non ti si dava un pugnale, non esitasti a inghiottire castissimi carboni ardenti, imitando con il tuo coraggio femminile la morte virile di tuo padre". I carboni ingoiati da Porzia sono "castissimi", perché la castità era stata la dote principale di questa donna coraggiosa: e la castità era una delle virtù fondamentali della matrona romana (5). A far passare Porzia per leggenda non fu dunque il suicidio in sé, ma il modo in cui Valerio Massimo lo descrive, cioè “tale da meritare l’ammirazione di tutti i secoli futuri” e da superare addirittura il coraggio dello stesso padre.
La giovane donna è dipinta sulla sinistra del piatto mentre, seduta su un gradino, inghiotte le braci; a destra un’ancella, sconvolta, cerca aiuto e in basso un cagnolino, con una piccola preda in bocca, guarda lo spettatore con fare smarrito; al centro il focolare, protagonista della composizione.
Il piatto è stato pubblicato in occasione degli atti del convegno su Francesco Xanto Avelli a cura di Carmen Ravanelli Guidotti (6): a questo studio faremo riferimento per l’analisi del piatto.
Anche in questo caso si riconosce l’uso di più incisioni: Porzia in una delle madri nell’opera La strage degli innocenti (vedi fig. 1) (7), mentre l’ancella è tratta dall’incisione con “gli Ebrei che raccolgono la manna” (vedi fig. 2) (8). Il contesto è quello tipico dell’architettura rinascimentale (9). Un suggerimento sull’immagine del fuoco tratto da un’incisione di Marcantonio Raimondi (10) ci deriva da un articolo di Maria Cristina Villa nel quale viene pubblicato il piatto in relazione alla influenza della pittura di Raffaello nella maiolica del Rinascimento (11).
Concordiamo con la datazione proposta da Carmen Ravannelli Guidotti, che pubblica il piatto come opera degli anni 1528-1529, non solo per la presenza della lettera Y/φ (12) o lettera feliciana, all’uso della quale il pittore resterà fedele fino al 1530 circa, quando comincerà a firmare per esteso. Tra le opere affini ricordiamo un piatto con Narciso della Wallace Collection e uno registrato nell’archivio postbellico del Metropolitan Museum of Art di New York con “Atteone”, che condivide con l’opera precedente la fedeltà alle stesse fonti incisorie. Nella stessa serie è stato poi inserito un piatto con “Egeo”, che abbiamo avuto occasione di approfondire lo scorso anno (13): anche questo piatto è databile al 1528-1529, ma mostra un disordine compositivo che non riscontriamo nella sintassi pacata e armonica dell’opera in corso di studio.
Le figure di scorcio, con i volti appena visibili, sono abilmente impiegate da Xanto Avelli nella composizione dell’opera, mentre la tenda le conferisce un tocco di colore richiamando il gusto per il verde scuro, così riconoscibile nelle opere del maestro rodigino. Lo scorcio del paesaggio è proporzionato e apre la composizione, che risuta ancora schematica e rigorosa, con un’attenzione alle proporzioni che in altre opere andrà perduta.
Altri piatti rivelano la stessa fonte d’ispirazione: la Porzia di un piatto dipinto con il pittore LU Ur, datato 1535, e uno con legenda simile e datato 1541 siglato con la X, ora al Victoria and Albert Museum.
Il piatto, appartenuto alla collezione di Micheal J.Taylor, è stato venduto in un’asta Sotheby’s nel 1981 (14) ed è in seguito transitato alla galleria Barberini di Terni.
1 MARZIALE, Epigrammi, I, 42: “Tacque,/e con frenetica bocca inghiottiva/Rovente bragia. Via via/Piccola gente fastidiosa: provati/Adesso a rifiutarle un ferro”.
2 PETRARCA, Triumphus cupidinis, III, 31.
3 MALLET 2008, p. 34 spiega come le prime legende utilizzate da Xanto siano in genere citazioni da Petrarca, come in questo caso, spiegando poi il probabile significato delle stesse cui le citazione erano associate. Sul petrarchismo di Xanto Avelli si veda anche HOLCROFT 1988, pp. 225-235.
4 VALERIO MASSIMO III, 2, 15 e IV, 6, 5.
5 Come ci rammenta Eva Cantarella nel suo studio sulle donne romane (CANTARELLA 1999, pp. 121-122), Porzia non era univira: aveva infatti sposato Bruto in seconde nozze, dopo il divorzio da Bibulo, e non era quindi “quel tipo di matrona di cui i romani continuavano ad esaltare le virtù”. Cantarella ci rammenta che molto forte era il concetto della castità e gli autori latini che ci narrano di Porzia in realtà non fanno alcun riferimento ai suoi due matrimoni, riservando l’attenzione al fatto che fosse moglie di Bruto, un campione dei repubblicani, e soprattutto figlia di Catone.
6 RAVANELLI GUIDOTTI 2007, pp. 70-89.
7 NICOLAS BEATRIZET, Il massacro degli innocenti BARTSCH VOL. 29/15, N.14
8 AGOSTINO VENEZIANO, Gli ebrei raccolgono la manna BARTSCH VOL. 26/14, N.8 su disegno di Raffaello, oggi perduto.
9 Si vedano in merito le maioliche della mostra di Milano in BERNARDI 1981.
10 La Fortezza, BARTCH 27-14
11 VILLA 2002, pp. 54-67.
12 Per il “segno Y/φ” si veda quanto detto in MALLET 1980, p. 68, e quindi in ID. 2007, p. 34; per la lettera feliciana quanto detto da Carmen Ravanelli Guidotti in ID. 2007 p. 72, che ci ricorda come gli studi paleografici registrino questo segno come incluso tra le abbreviazioni e diffuso alla fine del Quattrocento grazie a Felice Feliciano (1443-1479).
13 ANVERSA in PANDOLFINI 2014, pp. 168-173 n. 38.
14 SOTHEBY’S, Londra, 14 aprile 1981, n. 28.