PIATTO
URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DURANTINO, 1540-1545 CIRCA
Maiolica dipinta a policromia con azzurro, giallo, giallo arancioe bruno di manganese.
Alt. cm 2,5; diam. cm 27,2; diam. piede cm 9,4.
Sul retro, sotto il piede, delineata in blu di cobalto la scritta Nottuno.
Il piatto ha un cavetto ampio e poco profondo, tesa larga e appena obliqua, orlo arrotondato; poggia su un piede ad anello. Il fronte è interamente ricoperto da una decorazione istoriata che interessa il cavetto e la tesa senza soluzione di continuità.
Nella parte inferiore del cavetto e della tesa è raffigurato il carro di Nettuno che sorge dal mare, trainato da cavalli marini e scortato da due tritoni: uno alle spalle del dio e uno sulla tesa a destra (1). La divinità brandisce il tridente rivolgendolo verso il basso, gesto ripetuto da un tritone raffigurato sulla tesa a destra. Sullo sfondo le navi troiane squassate dai venti, dipinti mentre soffiano da un nimbo illuminato dai fulmini e collocato nella parte superiore del piatto, sulle quali si intravede la figura di Enea con le braccia alzate in cerca di aiuto.
La scena riproduce in maiolica la celebre incisione di Marcantonio Raimondi (1480 circa - 1534), ritenuta uno dei suoi capolavori, tradizionalmente intitolata “Quos Ego” (2) (vedi fig. 1) dal noto verso di Virgilio dal libro I dell'Eneide (3).
Il piatto in esame è stato pubblicato dal Professore Gaetano Mario Columba nel marzo 1895. Lo studioso siciliano mette in relazione l’incisione con la scena raffigurata sul piatto (4) e la paragona a opere di maiolica con simile soggetto, probabilmente ispirate alla medesima incisione, ipotizzando che per alcune caratteristiche stilistiche, come la presenza dei fulmini, il pittore si sia potuto ispirare a disegni o modelli presenti alla corte di Urbino dai quali il Raimondi avrebbe in seguito tratto l’incisione.
Esistono comunque altre opere che s’ispirano alla celebre opera del Raimondi, che sappiamo posteriore al 1516, in cui si riconoscono varianti e interpretazioni da parte degli autori. Il confronto più prossimo, già indicato da Columba, è il bel tagliere di bottega urbinate conservato al Museo del Louvre, recante sul retro la scritta “1543/Nettuno dio del mare”, attribuito da Giacomotti alla bottega Fontana (5).
Un altro piatto, datato 1544, con il medesimo soggetto è conservato al Museo Nazionale Ungherese di Budapest: morfologicamente affine, mostra caratteristiche stilistiche e scelte decorative differenti pur ispirandosi al medesimo soggetto. La scelta cromatica è diversa e la stesura molto più rigida: il dio del mare è raffigurato su una conchiglia e i cavalli marini sono disposti e realizzati in modo libero, senza la consueta coda di delfino; i venti sono sostituiti da nubi tempestose e il mare è popolato da delfini che prendono il posto dei tritoni rappresentati da un’unica figura dipinta di spalle (6).
Una coppa, databile tra il 1560 e il 1570, con la stessa scena riprodotta con inversione verso destra, è conservata al Victoria and Albert Museum (7): anch’essa presenta la scritta “notuno” al verso, ma ha caratteristiche coloristiche e stilistiche più vicine a quelle che ritroviamo nell’ambito della bottega Fontana: si vedano in particolare i musi dei cavalli e la figura stessa della divinità.
Un altro esempio di come l’incisione sia stata utilizzata dalle botteghe urbinati ci viene dalla porzione di vaso recentemente esposto alla mostra fiorentina Fabulae Pictae (8): si tratta del frammento di un’anfora del Museo di Santa Giulia di Brescia, del terzo quarto del secolo XVI, che riproduce con grande qualità pittorica la scena in oggetto.
Ancora, ci conferma la diffusione della fonte nelle botteghe di maiolica il grande piatto conservato nella Wallace Collection di Londra (9), nel quale il dio del mare è raffigurato nella parte inferiore, mentre nella parte superiore sono riprodotti, entro lunette, i carri di Venere e Giunone, anch’essi tratti dalle medesime incisioni, così come i versi virgiliani trascritti in due nastri che vanno a riempire le campiture vuote. Nella scheda di quest’opera, tra i numerosi confronti citati si fa riferimento allo studio di Columba e quindi all’opera oggetto di studio.
Tra gli altri citiamo la splendida coppa della collezione William Beare studiata da Mallet (10) e siglata sul retro da Virgiliotto Calamelli, oggi conservata all’Ashmolean di Oxford (11): la divinità è dipinta con grande delicatezza di tratto e di gamma cromatica.
Di recente l’opera oggetto di studio è apparsa in alcuni saggi pubblicati in rete. Tra questi, particolarmente seducente quello proposto da Maria Pia Di Marco, che legge nell’incisione di Raffaello una voluta celebrazione dell’opera di pacificazione divulgata dalla propaganda di Papa Giulio II, considerata sovrapponibile alla figura virgiliana di Nettuno che placa il mare, alla quale a suo tempo già si era affidata la propaganda augustea (12). Nell’orazione funebre di Papa Giulio II il Fedra lo paragona a Nettuno che pacifica le acque, e l’ideale della pax augustea è effettivamente presente nella propaganda del papa della Rovere (13).
1 Ipotizziamo che il gesto possa essere inteso come un comando alle acque e ai venti affinché si plachino.
2 Bartsch 352 I/III. Per alcuni il disegno che Raffaello chiede espressamente al Raimondi di tradurre in incisione (VASARI 1998, p. 411), oggi perduto, sarebbe derivato dalle Tabulae Iliache per via delle scene raffigurate disposte alla maniera dei rilievi antichi. Secondo alcuni studiosi nel riquadro centrale potrebbe essere intervenuto anche Agostino Veneziano.http://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/F0130-00355/
3 Il famoso verso 135 del I libro dell'Eneide comincia con le due parole “Quos ego” pronunziate da Nettuno contro i venti scatenati da Eolo sul Mar di Sicilia. L’artificio retorico, l’aposiopesi, è utilizzato da Virgilio per creare un’idea di sospensione, di urgenza di agire anziché soffermarsi a gridare.
4 COLUMBA 1895. Columba elenca le differenze con grande attenzione sottolineando come per alcune scelte il pittore su maiolica paia inconsciamente interpretare meglio la scena virgiliana rispetto ad alcune licenze artistiche che il maestro urbinate si prende rispetto al testo virgiliano (v. 7), come la scelta di raffigurare Nettuno su una conchiglia e non su un carro.
5 GIACOMOTTI 1974, n. 998.
6 Inv. 4413, già pubblicato in PATAKY-BRESTYANSKY 1967, tav. XVI, reca sul retro la data 1544 in cartiglio e la scritta “Nettunno dio del mare”, attribuito alla bottega Fontana; anche in RAVANELLI GUIDOTTI 1992, p. 81 tavv. 130 e 13q, studio che ne conferma appieno l’attribuzione a Orazio Fontana.
7 RACKHAM 1977, inv. C.2266-1919.
8 MARINI 2012, pp.226, n. 23
9 L’attribuzione di questo piatto è stata a lungo discussa tra gli studiosi: si veda NORMAN 1976, pp. 88-90 n. C36.
10 MALLET 1974 tav. XVII a;b
11 WA 2005, 205.
12 Il Papa nel piatto di Maria Pia Di Marco.
13 Nell'orazione funebre, il bibliotecario pontificioTommaso Inghirami lo paragonò al Nettuno virgiliano, e tuttavia la metafora gli sembrava riduttiva (sono parole sue): non bastava a celebrare la capacità del pontefice di ristabilire l'ordine con tanta celerità. Un ulteriore approfondimento sulla propaganda di Papa Giulio II ci viene fornito in ROSPOCHER 2008.