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Luca Giordano e bottega

€ 50.000 / 70.000
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Luca Giordano e bottega
(Napoli 1634-1705)
ERMINIA RITROVA TANCREDI FERITO
olio su tela, cm 151x185,5
 
Corredato da parere scritto di Stefano Causa
 
Il dipinto raffigura un episodio tratto dall’ultima parte della Gerusalemme Liberata (Canto XIX, 103-114). Dopo lo scontro con Argante, il paladino Tancredi d’Altavilla viene trovato esanime dal suo scudiero Vafrino e dalla pastorella Erminia che, in principio si dispera, credendolo morto (‘…Al nome di Tancredi, ella veloce accorse in guisa d’ebra e forsennata Vista la faccia scolorita e bella non scese no, precipitò di sella; e in lui versò d’inessicabil vena lacrime e voce di sospiri mista ...). All’interno della fortuna figurativa del poema del Tasso (1581), la versione più toccante di queste ottave spetta ad un dipinto romano del Guercino, oggi alla Galleria Doria e databile nei primi anni 1620. Saggio esemplare di poetica degli affetti esso farà da traino a generazioni di artisti alle prese con il repertorio della Liberata – e, nello scomparto napoletano di primo ‘600, il pensiero corre a Bernardo Cavallino, a Paolo Finoglio e ad Andrea Vaccaro. Nondimeno il nostro dipinto va datato decisamente oltre la metà del secolo. Dopo un ripetuto esame, condotto prima sulle fotografie e, in un secondo momento sull’originale, si deve concludere che questo importante inedito, in eccellente stato di conservazione, appartiene alla mano di Luca Giordano. L’analisi dello stile lascia pochi dubbi. Anche solo limitandosi alla porzione sinistra della tela, sono firme inconfondibili del maggiore pittore napoletano del secondo ‘6oo: la tipologia femminile (desunta da modelli del Ribera) e la scrittura pittorica meticolosa, ma di grande scioltezza. Costituiscono, inoltre, momenti di gran pittura propri di Giordano: il modo in cui i capelli di Erminia si sciolgono sulle trasparenze dell’epidermide del collo; e soprattutto il contrasto con l’incarnato cereo del giovane (‘vista la faccia scolorita e bella…’). In primo piano, infine, Giordano ha isolato, come una natura morta, la corazza di Tancredi, dai riflessi metallici vivacizzati dalle macchie di sangue. Il tono appassionato del quadro - come di un Tasso disciolto e rivissuto in una formula pienamente barocca - culmina nel nudo sublime del giovane, dal braccio abbandonato in una posa che ricorre, come un leitmotiv, lungo il corso della pittura napoletana del ‘6 e del ‘7oo. Preso da solo, questo passo è, in ultima analisi ancora un ricordo del Caravaggio; ma compone, al tempo stesso, una delle più struggenti interpretazioni del passo tassesco, che ci abbia lasciato il ‘6oo (forse la più struggente dopo il Guercino). E quella posa ritorna in apici della bottega di Giordano (si pensi al Buon Samaritano di Nicola Malinconico custodito nel Museo di Prato, e noto in diverse redazioni autografe). Come collocare un dipinto del genere? La difficile cronologia di Giordano consiglia prudenza. Ma l’analisi formale indica una data provvisoria nella prima maturità del pittore, tra il 1665 e il ‘75. E’ la fase in cui Giordano, già affermatosi sul mercato locale, si comincia a far conoscere anche fuori, lavorando per chiese e committenti di Venezia. Si confronti, tra l’altro, la figura di Erminia con quella della Vergine nella pala con la Madonna col Bambino e Santi, detta il Riposo, già nella chiesa dello Spirito Santo a Venezia, oggi alla Pinacoteca di Brera. Appare, forse, leggermente più allentata nell’esecuzione - ma non direi nell’ideazione! - la porzione destra del nostro quadro. Da non scartare l’ipotesi che il Maestro lasciasse ad un collaboratore, sia pure ben pilotato, lo strappo di paese (un brano che ha un suo precipuo carattere napoletano); oppure che si limitasse a tracciare l’abbozzo del personaggio in piedi al centro (Vafrino) per quanto sia impossibile dire, allo stato delle conoscenze sull’officina giordanesca, a quale dei satelliti del pittore imputarne l’esecuzione (difficile decidersi per il nome di Giuseppe Simonelli, i cui esordi non dovettero cadere prima degli anni ’70).
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