Dipinti Antichi e Dipinti dei secc. XIX-XX

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Paolo di Mariano di Tuccio Taccone, detto Paolo Romano (?), 1460/1465 ca.

€ 12.000 / 15.000
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Paolo di Mariano di Tuccio Taccone, detto Paolo Romano (?), 1460/1465 ca.
(Sezze 1415 ca.-Roma 1470)
RITRATTO DEL CARDINALE GIACOMO DE CADORNA I DE ARAGON (?)
busto ad altorilievo in marmo, cm 68x70
 
Il dipinto è corredato da parere scritto di Giancarlo Gentilini, Firenze, 3 settembre 2012
 
“Il busto, scolpito ad altorilievo e in origine addossato ad una parete (come sul tergo dichiara il netto taglio ‘a filo’ della lastra marmorea), raffigura un alto prelato dalle fattezze di un uomo di circa cinquanta anni qualificato da un’intensa indagine fisiognomica che ne esalta i pingui e compatti volumi facciali. Definiscono questa nobile e severa immagine di vescovo o cardinale, che restituisce il colto e sfarzoso clima quattrocentesco della corte pontificia, la mitra impreziosita da pietre incastonate e il ricco piviale che simula un broccato con un motivo a fiore di cardo entro una cornice polilobata racchiusa da serti legati all’estremità da nastrini, arricchito da una bordura a girali con rosette. A confermare la raffinatissima esecuzione dei paramenti liturgici che simula la consistenza delle diverse materie - si veda il morbido tessuto del camice al di sotto del piviale che finge con i sottili fori del trapano un delicato ricamo - è l’imponente bottone che riproduce una pietra semipreziosa con montatura metallica, probabilmente in origine, come gran parte degli ornamenti, dorata e policromata.
L’evidenza attribuita ai due fiori di cardo, motivo peraltro consueto nei tessuti liturgici del Quattrocento, suggerisce una valenza araldica sollecitando una possibile identificazione del personaggio ritratto, come il broccato a fiori di cardo che fa da sfondo al noto Ritratto di giovane con lucerna di Lorenzo Lotto in cui si è provato a riconoscere, grazie a un gioco di rebus, Broccardo Malchiostro, l’accolito del vescovo De’ Rossi (Vienna, Kunsthistorisches Museum). In questo caso le considerazioni cronologiche, storiche e stilistiche di cui diremo ci inducono a ritenere il busto in esame un’effige dell’insigne ecclesiastico catalano Giacomo de Cardona i de Aragon (Cardona 1405 ca. - Cervera 1466), nella cui arme compaiono proprio tre cardi d’oro in campo rosso. Figlio del conte di Cardona Giovanni Raimondo Folch, già vescovo a partire dal 1445, nel 1461 fu nominato cardinale di Santa Maria del Castro Pretorio a Roma da papa Pio II Piccolomini che ne esaltava le qualità in un cammeo letterario affermando: “Iacobus episcopus Urgellensis domo Cardonea, litteris et moribus ornatus” (Commentarii, VI, 9).
Tenendo presenti tali coordinate storiche e facendo rientrare, come già visto, il ritratto nell’ambito del pontificato di Enea Silvio Piccolomini assume ulteriore plausibilità un riferimento dell’opera, come suggerito dalle sue peculiarità formali, allo scultore che più contribuì alla definizione figurativa dell’operato del papa di Corsignano: Paolo Romano. Sono proprio le tipicità stilistiche dello scultore di Sezze, ovvero una volumetria essenziale che accompagna masse facciali dominate da un’espressività atona in cui campeggiano ampi bulbi oculari e carnose labbra, a indirizzarne la realizzazione nell’ambito del Taccone che insieme a Isaia da Pisa e Mino da Fiesole diede lustro alla statuaria romana nel terzo quarto del Quattrocento.
Coinvolto sin dal 1453 nel principale cantiere scultoreo italiano di metà Quattrocento, l’Arco trionfale di Alfonso d’Aragona (Napoli, Castel Nuovo), dove poté conoscere la sintesi figurativa del dalmata Francesco Laurana e l’elegante gusto decorativo di Andrea dell’Aquila, discepolo di Donatello - aspetti riscontrabili nel marmo in questione -, Paolo Romano è in seguito ampiamente rappresentato a Roma dove sulla fine del sesto decennio firmò l’Angelo reggi-stemma di San Giacomo degli Spagnoli in Piazza Navona scolpito come pendant di quello siglato da Mino da Fiesole. Il proficuo legame mecenatico tra Pio II e Paolo Romano è oggi rappresentato dalle austere statue di San Pietro e San Paolo (1461-1462) un tempo ai lati della scalea vaticana e ora nel Palazzo Apostolico (Bibliotheca Pontificium), dalla colossale figura di San Paolo già all’interno della basilica di San Pietro e oggi sul Ponte Sant’Angelo (1463-1464) e dal sontuoso busto che ritrae il pontefice conservato nei Musei Vaticani (1462-1463). Testimoniano inoltre questo sodalizio i tributi celebrativi della principale impresa piccolominea in veste papale, ovvero il trasferimento a Roma da Patrasso del capo di Sant’Andrea, resi con l’esecuzione della statua dell’Apostolo all’interno del tabernacolo di Ponte Milvio (1462-1463) e del tabernacolo della reliquia, oggi frammentario, eseguito in collaborazione con Isaia da Pisa e il Maestro di Pio II (1463-1464).
La morte di Pio II (1464) non alterò le fortune vaticane di Paolo Romano che negli anni successivi eseguì con lo scultore denominato convenzionalmente Maestro di Pio II proprio il sepolcro del Piccolomini in San Pietro, trasferito poi in Sant’Andrea della Valle, e per Paolo II Barbo il grandioso Ciborio degli Apostoli (1467-1470), oggi parzialmente ricomposto in un ottagono della basilica. Segnatamente è con gli astanti effigiati nel rilievo narrativo del monumento di Pio II raffigurante l’arrivo a Roma della testa dell’Apostolo - tra i quali è lecito immaginare parte dei dodici cardinali creati dal Piccolomini - che possono stabilirsi ineludibili confronti con il nostro ritratto, in particolare con l’ecclesiastico mitrato senza barba a sinistra della croce, del tutto affine per la capacità di resa fisiognomica composta e incisiva.
 
Si ringrazia per la preziosa collaborazione Lorenzo Principi.
 
Bibliografia di riferimento:
W.R. Valentiner, The Florentine Master of the Tomb of the Pope Pius II, in “The art quarterly”, 21, 1958, pp. 117-149; A.M. Corbo, L’attività di Paolo di Mariano a Roma, in “Commentari”, 17, 1966, pp. 195-226; F. Caglioti, Paolo Romano, Mino da Fiesole e il tabernacolo di San Lorenzo in Damaso, in “Prospettiva”, 53-56, 1988/1989 (1990), pp. 245-255; F. Caglioti, La Cappella Piccolomini nel Duomo di Siena, da Andrea Bregno a Michelangelo, in Pio II e le arti. La riscoperta dell’antico da Federighi a Michelangelo, a cura di A. Angelini, pp. 387-481, passim.