Pittore dell'Italia meridionale nella cerchia di Pedro Fernandez, 1515-1525
SAN MICHELE ARCANGELO
tempera su tavola sagomata a fondo oro, cm 47x66,5, senza cornice
L’opera è corredata da parere scritto di Gabriele Fattorini, Siena, 28 giugno 2012
“Come si intende da quanto resta della carpenteria polilobata, la bella tavola doveva costituire in origine un elemento di un vasto retablo, di quelli che per lungo tempo, tra Quattrocento e Cinquecento, andarono di moda nella penisola iberica, diffondendosi anche in Italia meridionale: una parte del coronamento o forse ancora più probabilmente di un gradino (un motivo analogo ricorre per esempio nella carpenteria del polittico della matrice vecchia di Castelbuono, presso Palermo: un complesso pittorico piuttosto discusso che rappresenta un importante momento della pittura sicula del primo quarto del Cinquecento). Rimanda a un simile ambito pure la presenza di un arcaico fondo dorato, sul quale si staglia invece un San Michele Arcangelo a mezza figura, dalle grandi ali e in atto di impugnare la consueta lancia (con la quale vuole evidentemente sconfiggere il demonio) che si dichiara aggiornato sulle rivoluzionarie novità della “maniera” moderna deflagrate nella Roma di Giulio II e Leone X. Per questa ragione la tavola potrebbe provenire da un complesso pittorico destinato tra il secondo e il terzo decennio del secolo XVI all’Italia meridionale o alla Sicilia, dove continuarono a essere richieste grandi “cone” di tradizione iberica, popolate di figure ormai segnate dai nuovi fatti della pittura romana.
Il carattere più peculiare del dipinto è tuttavia nel nitido lume che rischiara la figura, facendone ben risaltare le forme attraverso vivaci contrasti chiaroscurali e cangiantismi, favoriti dalla scelta di una tavolozza brillante e particolare, che prevede il rosso vermiglio per il mantello, un grigio cenere per le ali e un bianco sporco per l’abito. Un simile luminismo richiama le ragguardevoli esperienze bramantiniane di Pedro Fernández: maestro spagnolo originario di Murcia che è stato a lungo noto con l’appellativo di “Pseudo Bramantino” e che nel primo e secondo decennio del Cinquecento fu in Italia, spostandosi continuamente tra Milano, Roma e Napoli, dove affrescò peraltro intorno al 1509-1510 il cupolino e i pennacchi della Cappella Carafa in San Domenico Maggiore. Come ben noto, il ridotto ma importante catalogo di Fernández lascia intendere una straordinaria capacità , da parte del pittore iberico, di recepire con grande intelligenza le maggiori novità della “maniera” moderna, dagli esiti leonardeschi milanesi al Raffaello delle Stanze, riproponendole in un eccentrico e personalissimo linguaggio (si ricordi per esempio la “cona” della Visitazione già in Santa Maria delle Grazie a Caponapoli, della quale restano significativi scomparti nel Museo Nazionale di Capodimonte, nel Norton Simon Museum di Pasadena e in una collezione privata, oppure la Visione del beato Amedeo Menez de Sylva della Galleria Nazionale di Palazzo Barberini a Roma, dove è giunta dal romitorio di San Michele Arcangelo a Montorio Romano). E un buon grado di eccentricità non manca pure nel San Michele Arcangelo, tanto nel volto raffaellesco ma un po’ angoloso (che, pur alterato da qualche ridipintura, si può provare ad accostare a quello della Madonna già nella Collezione Jandolo a Roma e all’altra della parrocchiale di Castelleone), quanto nel bello scorcio del braccio destro, contraddistinto dal vorticoso gonfiarsi del panneggio della manica. Quest’ultimo elemento, insieme con i netti contrasti tra superfici illuminate e parti in ombra che contraddistinguono la resa delle vellutate ali, rimanda a quella che può essere considerata come l’ultima opera italiana di Pedro Fernández (il Polittico di Bressanoro, databile verso il 1517-1518 e oggi diviso tra la parrocchiale di Castelleone e la Pinacoteca di Cremona), evocando al tempo stesso certe predilezioni dell’altro iberico Pedro Machuca, che sul finire del secondo decennio, ben aggiornato sui più recenti fatti artistici romani, dovette transitare dal regno napoletano per rientrare in Spagna. Al di là delle assonanze delle quali si è detto, e anche in ragione dello stato attuale del dipinto, è tuttavia da escludere una definitiva attribuzione a Pedro Fernández; piuttosto è preferibile avanzare il riferimento a un pittore attivo in Italia meridionale, dove non mancarono maestri che nei primi decenni del Cinquecento seppero confrontarsi tanto con le esperienze dello Pseudo Bramantino quanto con le novità raffaellesche romane. Sono emblematici in tal senso i casi di Andrea Sabatini in Campania e Girolamo Alibrandi in Sicilia (si vedano di seguito il Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria di San Francesco a Nocera del 1519 dell’uno e la Santa Caterina d’Alessandria del Museo Nazionale di Messina dell’altro, confrontati con il nostro San Michele Arcangelo), quali migliori rappresentanti di una tendenza che seppe toccare l’intera Italia meridionale”.
Bibliografia di riferimento:
Andrea da Salerno nel Rinascimento Meridionale, catalogo della mostra (Padula, Salerno 1986), a cura di G. Previtali, Firenze 1986; Paola Giusti, Pierluigi Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli. 1510-1540 forastieri e regnicoli, Napoli 1988; Marco Tanzi, Pedro Fernández da Murcia lo Pseudo Bramantino. Un pittore girovago nell’Italia del primo Cinquecento, catalogo della mostra (Castelleone 1997), Milano 1997; Teresa Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, 2 voll., Napoli 1993-1998; F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, Roma 1998.