Pittore lombardo nell’ambito di Vincenzo Foppa, 1470-1485
SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA
tempera grassa su tavola, cm 36,5x29,5, senza cornice
Il dipinto è corredato da parere scritto di Gabriele Fattorini, Siena, 28 giugno 2012
“Le misure lasciano intendere che la tavola, assottigliata sul retro e resecata ai lati, poteva nascere come immagine da devozione privata, ma anche come elemento di una complessa pala d’altare di grandi dimensioni. Il dipinto ritrae una giovane ed elegante santa abbigliata di una veste nera e di un mantello rosso: per la corona, la palma del martirio nella sinistra e la ruota dentata ostentata con l’altra mano si identifica facilmente in Caterina d’Alessandria. Nel vertice superiore destro del dipinto restano tracce di una nube dorata dalla quale emanano raggi; un dettaglio iconografico inusuale che forse vuole richiamare la divina sapienza ispiratrice della santa durante la celebre disputa che la vide convertire i filosofi pagani. Altra possibilità è che quelle nubi ospitassero una apparizione della Madonna col Bambino (come avviene nella bergognonesca Santa Caterina d’Alessandria con un donatore del Saint Joseph’s College di Rensselaer, Indiana), poi tagliata quando fu resecata la tavola (che in tal caso non sarebbe stata un elemento di un retablo).
Lo stile del dipinto indirizza chiaramente verso la Lombardia della seconda metà del Quattrocento, per la fisionomia di un volto femminile incorniciato dai lunghi capelli sciolti sulle spalle (dove le ciocche sono analiticamente affinate con grande minuzia, si direbbe a voler dare l’effetto di una chioma dorata dalla luce) che rientra nei canoni estetici cari alla generazione che nei decenni tra il 1460 e il 1485 ebbe il suo principale eroe in Vincenzo Foppa (Brescia, 1427/30 – 1515/16) e preparò il terreno alla successiva affermazione di maestri come Bernardo Zenale e Ambrogio Bergognone (si pensi per esempio a un confronto con la Vergine dell’Annunciazione e della Natività nella vetrata del Nuovo Testamento del Duomo di Milano, che Cristoforo e Agostino de Mottis si impegnarono a eseguire su cartoni del Foppa nel 1482). Nonostante alcune piccole lacune e un generale indebolimento della superficie pittorica, quanto si riesce ancora a leggere della naturalistica resa chiaroscurale del volto di Caterina conferma la stretta pertinenza del dipinto all’ambito foppesco (in parallelo e quali precedenti, per esempio, si possono richiamare le Sante Caterina d’Alessandria e Agnese n. 37.706 della Walters Art Gallery di Baltimora, dipinte dal Foppa nei primi anni sessanta) ribadita anche da quanto resta dell’angoloso incresparsi del mantello sulle braccia, che rimanda alle soluzioni squarcionesche padovane precocemente divulgate dal bresciano in terra lombarda (si pensi al modo in cui si accartoccia il mantello della Vergine in due celebri capolavori foppeschi come la “Madonna del libro” del Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco a Milano e la Madonna col Bambino del Metropolitan Museum di New York). Rientrano facilmente in questo milieu culturale tanto la soluzione arcaica del nimbo dorato piatto e dunque tradizionalmente antiprospettico, quanto il fondo scuro di derivazione fiamminga, che non mancò di essere utilizzato dallo stesso Foppa (si vedano i registri superiori del Polittico della Rovere completato insieme con Ludovico Brea nel 1490 per la Cattedrale di Savona e oggi nell’oratorio di Santa Maria di Castello) e da molti altri maestri lombardi (si pensi alla Madonna del latte del Museo Poldi Pezzoli di Milano, ormai assestata nel catalogo del giovane Bergognone verso il 1485). C’è da immaginare che in origine un tale fondale facesse risaltare le radiose proprietà di un luminismo di matrice nordica che in questi anni ebbe buona diffusione sia in Lombardia che nella vicina Liguria. Nella preziosa esecuzione della capigliatura della santa si ravvisano bene le tracce di un tale luminismo, che doveva estendersi alla resa dell’intera figura e pure dell’attributo, prefigurando quelli che sarebbero stati gli effetti della pittura di Zenale e Bergognone. Una datazione verso il 1470-1485 è giustificata inoltre dall’assenza di influssi di Leonardo: il maestro fiorentino si trasferì a Milano nel 1482, divulgando novità che sollecitarono una pronta riflessione in senso naturalistico da parte dei pittori lombardi”.
Bibliografia di riferimento:
La pittura in Lombardia. Il Quattrocento, Milano 1993; L. Torti, Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, [s.l.] 2000; Vincenzo Foppa, catalogo della mostra (Brescia 2002), a cura di G. Agosti, M. Natale, G. Romano, Milano 2003; G. Romano, Rinascimento in Lombardia: Foppa, Zenale, Leonardo, Bramantino, Milano 2011.