Simone Cantarini
(Pesaro 1612-Verona 1648)
LOT E LE FIGLIE
olio su tela, cm 121,5x148
Provenienza:
già collezione marchese Niccolò Rangoni Machiavelli, Modena
Bibliografia:
M. Pulini, Le antinomie di Simone Cantarini, ‘Storia dell’Arte’, 20, 2008, pp. 7-40, cit. p. 10, 14 e nota 16; ried. in A.M. Ambrosini Massari, a cura di, Fano per Simone Cantarini Genio ribelle, catalogo della mostra Fano 2012, ed. Fano 2012, pp. 96-107, cit. p. 103, nota 16.
Il dipinto è corredato da parere scritto di Anna Maria Ambrosini Massari, Fano, agosto 2012 di cui si riportano di seguito le parti più salienti.
“Il dipinto ha già fornito l’occasione di importanti valutazioni (M.Pulini 2008 ried. in Ambrosini Massari, a cura di 2012) riguardo un tema centrale nella poetica di Simone Cantarini, sul quale è articolata la mostra attualmente in corso a Fano, nell’ambito delle celebrazioni per i 400 anni dalla nascita del pittore (Ambrosini Massari 2012).
Si tratta della documentata produzione di opere in più versioni, che si collocano nel clima delle nuove esigenze del mercato artistico seicentesco, sempre più allargato e articolato ma che testimoniano, altresì, la natura inquieta e sempre insoddisfatta dell’artista pesarese. [Â…]
La versione del Lot e le figlie che qui si analizza va ad affiancarsi alla fulgida versione non finita esposta l’ultima volta alla mostra monografica di Bologna del 1997 (A. Emiliani a cura di, Simone Cantarini detto il Pesarese 1612-1648, catalogo della mostra Bologna 1997, ed. Milano 1997) e successivamente transitata sul mercato antiquario (Christie’s, Roma, 7 dicembre 1999, lot. 959), componendo una ‘coppia’, che dimostra, altresì, la straordinaria capacità di Cantarini di muoversi agevolmente, ecletticamente, tra le suggestioni provenienti dal magistero reniano, che qui stimolano una distillazione formale di perfetta calibratura classicista, in anni non troppo distanti dall’enfatica soluzione dei San Girolamo nel deserto, a ridosso dei momenti di maggior vicinanza al maestro, verso il 1637, anno del fatidico litigio che li separò per sempre (C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ Pittori Bolognesi, Bologna 1678, ed. Bologna 1841, II, pp. 373-383).
Tale abilità , nel variare fonti e registri del suo linguaggio, resterà peraltro una costante in Cantarini, anche in anni avanzati della carriera, tra 1644 e 1647”. [Â…]
Il pittore nel “dosare le molteplici suggestioni del magistero reniano, alternandone i registri e le maniere con grande sapienza registica e precipua attitudine barocca”, [Â…] “afferma poi pur sempre la sua decisa autonomia, che anche qui si delinea nella redazione del soggetto, diversissima da quella nobile e paludata del maestro, come appare nel dipinto della National Gallery di Londra. Cantarini ambienta la scena in un digradante sfondo di paesaggio e con una sapiente orchestrazione di gesti, di cui forse si ricordò Guercino, nelle sue versioni del tema”.
[Â…] Quella “pittura tutta di ‘tocchi’”, descritta dal Malvasia, [Â…] “che lo aveva reso celebre a Bologna, si riconosce in tutta la sua dolce veemenza, anche nella redazione finita in esame, dove l’orchestrazione classicisticamente intesa viene riconfermata in tutta la sua delicata armonia di toni lievi, di ombre soffuse, di bruni carezzati qua e là da tratti paralleli più chiari del pennello, che evocano la modalità di precisazione grafica della forma, la stessa che garantirà il successo delle acqueforti di Cantarini e che trascorre dal disegno, alla pittura, alla lastra, senza soluzione di continuità .
Più di una redazione del soggetto è del resto ampiamente testimoniata dai disegni e dalle fonti.
Lo studio più vicino alla redazione pittorica oggi nota anche in questo notevole esemplare ‘finito’ è indubbiamente quello conservato al Gabinetto disegni e stampe della Pinacoteca di Brera a Milano, inv. 515 (M. Cellini, in A.M. Ambrosini Massari, M. Cellini, A. Emiliani, R. Morselli, a cura di, Simone Cantarini nelle Marche, catalogo della mostra Pesaro 1997, ed. Venezia 1997, p. 185, n. 44) in relazione, inventiva e cronologica, con quello conservato al Museo Horne di Firenze. Entrambi sono a matita nera, con quello stile morbido e naturalistico nella resa delle ombre e nella definizione delle parti, che ben si confronta con analoghi esemplari degli anni del primo soggiorno bolognese presso Reni, in particolare con disegni datati al 1637(M. Cellini, ‘Disegni di Simone da Pesaro’ L’Album Horne, Cinisello Balsamo 1996, p. 112, n. 9, inv. 6189H). [Â…]
Per quanto riguarda le fonti, un ‘Lot e le figlie’ è segnalato nel 1756 da Nicolas Cochin (Voyage en ItalieÂ….Paris 1758, II, p. 141) in Palazzo Monti a Bologna, mentre nel 1777 troviamo una menzione del soggetto nell’elenco di opere della collezione Boschi di Bologna, preparato per la vendita, a cura del pittore Giuseppe Becchetti (G. Campori, Raccolta di cataloghi e inventari ineditiÂ….Modena 1870, p. 632). [Â…]
Ancora a Bologna troviamo altre due ricorrenze del soggetto in collezioni importanti: Bianconi (Oretti, Ms B109, c. 156 in Cellini 1996, cit., p. 112) e Aldrovandi, dove l’opera, citata per la prima volta nel 1752 come di Simone Cantarini, viene successivamente ricordata, nel 1764, come dell’artista ma con un ritocco ‘del signor Mariano Collina’, motivo forse per il quale Marcello Oretti propone il nome di Flaminio Torri [Â…].
Pare acclarato dalla disamina delle fonti che si tratti di più di una versione, in quanto, fermo restando che in qualche caso potrebbe trattarsi di uno stesso dipinto transitato da una collezione all’altra, le occorrenze sono cospicue e piuttosto differenziate, anche nelle descrizioni.
In particolare, andrà rilevato che Nicolas Cochin (1758, cit.) doveva ammirare una versione del soggetto quale quella che qui si analizza, di sostenuta qualità e finita in tutte le sue parti, poiché la descrive con parole che farebbero escludere la presenza di zone non finite: ‘Lotto e le figlie, di Simone da Pesaro, quadro bello, ben disegnato, d’una maniera ferma e risentita; belle teste’. E si noti che proprio la testa di una delle figlie, quella al centro del quadro, è tra le aree maggiormente non finite nel dipinto già sul mercato antiquario.