Giovanni Scajario (Asiago 1726 Venezia 1792) e Domenico Fossati (Venezia 1743 1784) INCONTRO DI ANTONIO E CLEOPATRA tempera e olio magro su tela, cm 290x705 Provenienza: già Palazzo Gidoni, Campo San Zan Degolà Venezia; Galleria Guido Minerbi, Palazzo Grimani di Santa Maria Formosa, Venezia; collezione privata, Cadegliano (Varese). Lopera è corredata da un importante parere scritto di Giuseppe Fiocco, Venezia, 20 luglio 1966, nella quale lo studioso attribuiva le prospettive al famoso quadraturista emiliano attivo a Venezia Girolamo Mingozzi Colonna, collaboratore di Giovan Battista Tiepolo, e le figure al tiepolesco Francesco Zugno. Alla luce dei recenti studi lopera è stata approfondita da Enrico Lucchese, cui si deve il seguente parere scritto, Trieste, 24 luglio 2011. Spetta al vero mago della pittura, Giambattista Tiepolo, la prima rappresentazione pittorica (Mariuz 2004, p. 29) dellIncontro tra Antonio e Cleopatra, in una tela - oggi al Museo di Stato di Arkangelskoje, presso Mosca - di dimensioni cospicue (338 x 600 cm) tanto quanto quelle dellopera in esame. Il dipinto russo, con ogni probabilità proveniente, come sicuramente questo che ne condivide pure il formato orizzontale, dalle pareti di qualche portego di un palazzo veneziano (cfr. Loire-de Los Llanos 1996; Mariuz 2004, p. 80), reca la data 1747, ed ha pendant la famosa scena della perla sciolta nellaceto del Banchetto di Antonio e Cleopatra. Sono gli stessi anni degli affreschi, anchessi con Storie di Antonio e Cleopatra, di Tiepolo e Girolamo Mengozzi Colonna a palazzo Labia, ammirati e copiati subito da Joshua Reynolds nel 1752 (cfr. Pignatti-Pedrocco-Martinelli Pedrocco 1982, p. 78) e Jean-Honoré Fragonard nel 1761 (cfr. Rosenberg-Bré de Lavargné 1986, cat. 212-213), divenuti poi meta di pellegrinaggio estetico per Edgar Degas, Guy de Maupassant, Marcel Proust. Laffascinante soggetto dellIncontro tra lultima regina dEgitto e il condottiero romano soggiogato dalla sua bellezza è ripreso dalle Vite di Plutarco e dal De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio: se Cleopatra è una delle maschere settecentesche del mito di Venezia, come ha scritto Haskell [in Mecenati e pittori, 1966, p. 394], vuol dire che Venezia ripone ormai la propria forza nel fascino della sua singolarità nel promuoversi a luogo di festa e di spettacolo. Cleopatra disarma propriamente Antonio, come Venere aveva disarmato Marte, domando il suo spirito guerresco (Mariuz 2004, p. 49). Rispetto alle fonti e ai dipinti tiepoleschi menzionati, lIncontro di Antonio e Cleopatra, qui analizzato, non si svolge allaperto, nei pressi di un vascello, così come i due personaggi principali non si sono ancora congiunti e manca la figura del re armeno Artavasde, prigioniero di Antonio. Sono invece presenti i servi con i ricchi doni, prede di guerra, per Cleopatra, mentre il resto della scena è dominato dalle imponenti architetture ricche di sculture, scenografie teatrali deffetto illusionistico dalle quali sbucano numerose altre figure. La sensazione è di trovarsi di fronte a una sorta di replica di uno spettacolo famoso, familiare a tal punto da far diventare pleonastici dettagli narrativi e da indurre a variare, perfino, lambientazione nota della storia, non più sulle rive di un fiume sia il Nilo o il Cidno descritti da Plutarco ma allinterno di un magnifico palazzo di vastità lo possiamo già dire, piranesiana. Il dipinto è accompagnato da unimportante perizia del prof. Giuseppe Fiocco, datata 20 luglio 1966: in detti documenti, cortesemente comunicatimi, lo studioso darte veneta dichiarava di conoscere questa e altre tre simili opere da anni vedute e considerate nel palazzo Grimani di Ruga Giuffa a Venezia, ossia quello legato al ramo patrizio di Santa Maria Formosa, ora sede museale statale, allora usato come prestigiosa galleria da Guido Minerbi (sul quale cfr. di recente Hochmann 2008, p. 220). Le quattro grandi tempere, secondo lo scritto dello stesso Fiocco, erano state acquistate da Minerbi il 18 febbraio dello stesso 66 e provenivano da palazzo Gidoni Campo San Zan Degolà Venezia, ovvero palazzo Gidoni-Bembo al ponte del campo di San Giovanni Decollato, prospiciente lomonimo rio. Chiestogli un parere stilistico, Fiocco reputava correttamente le opere realizzate da due differenti maestri, uno specialista in quadrature (la parte architettonica in prospettiva), laltro autore delle figure, delle storie. Il fastoso scenario lo indusse ad attribuire il dipinto in primis al più famoso dei quadraturisti attivi a Venezia nel Settecento, Girolamo Mengozzi Colonna, il responsabile delle architetture dipinte a palazzo Labia. Per quanto riguardava invece lesecuzione pittorica delle macchiette, Fiocco individuava con giustezza lindirizzo stilistico tiepolesco, proponendo unattribuzione a Francesco Zugno, artista di cui esisteva già allepoca (Pilo 1958-59) uno studio monografico in cui, tuttavia, si riproponevano i documentati legami con un altro capace quadraturista emiliano, Francesco Battaglioli da Modena (cfr. Ivanoff 1954). A distanza di quarantacinque anni, tale posizione critica deve essere rivista, non solo alla luce del recente catalogo ragionato dellattività di Mengozzi Colonna (Domenichini 2004), nel quale non compaiono disegni o pitture avvicinabili stilisticamente alla quadratura dellIncontro di Antonio e Cleopatra, ma anche in virtù di una testimonianza attendibile che restituisce con certezza le architetture dipinte a Domenico Fossati, nato