GRANDE PIATTO
URBINO, LUCA BALDI PER IL SERVIZIO DEL CARDINALE ROBERTO DE LENONCOURT, 1550
Maiolica dipinta in policromia con verderame, verde oliva, giallo, giallo-arancio, blu di cobalto, bruno di manganese nella tonalità del nero e del marrone, bianco di stagno.
Alt. cm 5,5; diam. cm 36; diam. piede cm 12,2.
Sul retro l'iscrizione Judas rex Jsraelitaru[m] expugnat / Chananeos.
Provenienza
Collezione Dean Paul, Londra;
Collezione Pannwitz, Monaco;
Collezione privata, Firenze
Bibliografia
Die Sammlung von Pannwitz, München, Kunst und Kunstgewerbe des XV.XVII Jahrhunderts. Helbig Munich, 24-25 October 1905, n. 254 tav. 13;
T. Wilson, “The maiolica-painter Francesco Durantino: mobility and collaboration in Urbino istoriato”, in S. Glaser, Italienische Fayencen der Renaissance. Ihre Spuren in internationalen Museumssammlungen, Wissenschaftliche Beibände zum Anzeiger des Germanischen Nationalmuseums (Nuremberg), Vol. 22 (2004), pp. 118-120 fig. 16;
L. Pesante, Francesco Durantino vasaro. A Perugia, Nazzano, Roma e Torino, in “FAENZA”, 2-2012, pp. 9-29.
Il piatto ha un ampio cavetto, tesa larga e appena obliqua con orlo arrotondato, e poggia su un piede ad anello abbastanza rilevato. Il retro è decorato a cerchi gialli concentrici sull’orlo, e reca sotto il piede la scritta Judas rex Jsraelitaru[m] expugnat/ Chananeos.
Il fronte è interamente ricoperto da una fitta decorazione istoriata raffigurante una scena di battaglia. Al centro un duello tra due cavalieri, dove quello armato di lancia colpisce lo scudo dell’avversario mentre questi alza la spada per colpire. Dietro i due cavalieri s’intravede il volto di una figura con il capo avvolto in un turbante. Sulla destra un soldato e un personaggio barbato osservano la scena, mentre sul lato sinistro un terzo cavaliere che indossa un cappello frigio, sguainando la spada, si gira guardandosi alle spalle, mentre una figura femminile sembra osservare la scena anch’essa girata nello stesso verso. Ai piedi del cavallo un soldato morto e, di fronte, uno che fugge. La scena è inserita in un paesaggio boscoso con alberi dal fusto nodoso e fronde fitte a ciuffi compatti, dove lo sfondo si apre fra balze erbose e coperte da boschi verso montagne dal profilo azzurrato che si stagliano in un cielo con nubi arricciate. In alto lo stemma del committente (d'argento, alla croce scanalata di rosso): “in argento scuti solio crucem dentatam coccinea ferebat”[1].
La scena trae ispirazione almeno in parte da un’incisione di Marco Dente da Ravenna da Raffello databile tra il 1520-1523[2], spesso usato dai pittori di maiolica in questo periodo. Vi riconosciamo i due cavalieri in lotta, che il pittore adatta alle sue esigenze, e che soprattutto nei cavalli riesce a rendere con una maestria particolare. Il cavaliere con la lancia sembra invece realizzato ispirandosi ad un’altra incisione, da un affresco di Giulio Romano con Achille che porta il corpo di Patroclo di Léon Davent[3]. Ed è riconoscibile anche il soldato con cappello frigio, anch’esso però riadattato nello stile del pittore, che aggiunge la barba e semplifica il copricapo. Gli altri personaggi sono aggiunti liberamente oppure utilizzando altre incisioni al momento non identificate[4].
C’è dunque una certa libertà nell’interpretare l’incisione o le incisioni, possibile anche l’apporto del committente nel suggerire le scelte dei soggetti[5]. Da chiarire anche un’eventuale coinvolgimento nella scelta, realizzazione dei cartoni o trasposizione dei soggetti, di Paolo Folco, uno sconosciuto pittore che opera come mediatore tra il cardinale e Luca Baldi[6].
Il piatto era già noto agli studiosi perché appartenuto alla collezione Pannwitz di Monaco e venduto nel 1905 insieme ad una fiasca, oggi conservata al Victoria and Albert Museum[7]. I passaggi successivi a quella vendita non sono noti, ma il piatto è stato pubblicato da Timothy Wilson nel suo articolo su Francesco Durantino negli atti del convegno di Norimberga nel 2004[8]. Nell'occasione lo studioso rammenta che dalla lettura di un documento d’archivio relativo alla bottega di Guido di Merlino emergono le figure di tre pittori alle dipendenze di Guido medesimo: Luca di Bartolomeo (Luca Baldi), Fedele di Giovanni e Francesco di Bernardino (Francesco Durantino).
Proprio Luca Baldi qualche tempo dopo, nel 1550[9], è presente a Roma, dove riceve una commissione per un servizio con le armi del cardinale Robert de Lenoncourt: Baldi promette di consegnarlo a Urbino integra e incassata[10]. Del servizio, forse spedito direttamente in Francia[11], restano a tutt’oggi solo la già ricordata fiasca del Victoria and Albert Museum e il piatto Pannwitz.
All’epoca della pubblicazione dello studio, e quindi in assenza di visione diretta dell’opera, Timothy Wilson aveva osservato alcune differenze tra gli stemmi sui due oggetti superstiti del servizio, ipotizzando che l’ordinativo Lenoncourt potesse essere stato realizzato da due mani differenti. Ma durante il recente convegno tenutosi ad Assisi[12] Luca Pesante, nel corso del suo intervento[13], ha contestato tale ipotesi, ritenendo che sia il piatto Pannwitz sia la fiasca del Victoria and Albert Museum siano opera dello stesso autore, riconoscibile in Luca Baldi[14]. E anche Timothy Wilson, presente al convegno, ha concordato[15].
[1] Adrien van Lyere, De Imitatione Jesu Patientis, siue de morte et vita in Christo Jesu patiente abscondita, in carne vero nostra mortali ad similitudinem ejus exprimenda, libri VII, Anversa 1655, p. 363;
[2] BARTSCH XIV, p. 316 n. 420;
[3] BARTSCH XVI, p. 315 n. 15;
[4] Il soldato che fugge, raffigurato sulla tesa a destra, che si ripete in altre opere, come ad esempio nel personaggio di spalle che regge uno dei cavalli dei Magi nel bacile con Adorazione dei Magi al Mic di Faenza (Donazione Cora, inv. 21037) attribuito a bottega Fontana 1540-1550, potrebbe essere stato ispirato dal soldato che lotta a terra al centro della incisione di Cornelis Cort da Raffello raffigurante la Battaglia di Zama;
[5] Riguardo al soggetto, già Timothy Wilson aveva notato dalla visione della fotografia del catalogo Pannwitz che un’ipotetica ispirazione alle incisioni di Hans Holbain non era accettabile. Lo studioso osservava come la scritta al retro del piatto, oggi finalmente leggibile e non solo riportata, facesse pensare che il pittore fosse al corrente del passo di riferimento del Vecchio Testamento (WILSON 2004, p.120 nota 30);
[6] MORETTI 2014, p. 66;
[7] Inv. C.2299-1910 [2008] in AJMAR-WOLLHEIM-DENNIS 2006; HESS 2004; SYSON-THORNTON 2001; WILSON 1987; WATSON 2001; WILSON 2004;
[8] WILSON 2004, p. 118 e bibliografia di riferimento n. 26;
[9] Che aveva ormai lasciato la Bottega di Guido di Merlino dopo gli anni 1540. Resterà a Roma fino alla sua morte avvenuta nel 1569;
[10] BERTOLOTTI, 1881 p. 37; GRIGIONI,1946 p. 84;
[11] Massimo Moretti, che vede un esodo altissimo di artefici dal Ducato a Roma di cui i vasai furono parte cospicua, analizza la figura di Luca Balbi in relazione a questa committenza e ipotizza che le casse fossero dirette in Francia (MORETTI 2014, p. 66). Lo stesso autore ci fornisce un’utile e agevole scheda biografica riassuntiva di Luca Baldi, reperibile nel sito www.Casteldurante.it in attesa di una più ampia pubblicazione;
[12] La maiolica italiana del Rinascimento. Ricerche e studi, Assisi, 9-11 settembre 2016, convegno internazionale organizzato dall’Accademia Properziana del Subasio;
[13] Luca Pesante, “Intorno a Francesco Durantino e Fedele Fulmine. Note sull’istoriato urbinate del Cinquecento”;
[14] Su questo pittore si veda GARDELLI 1999, pp. 202-211 e in particolare la nota 4 per le ricerche d’archivio. Già Gaetano Ballardini aveva citato Luca Baldi in relazione al servizio Lenoncourt (BALLARDINI 1932);
[15] Ringraziamo Luca Pesante e Timothy Wilson che ci hanno autorizzato a riferire quanto sopra detto. Speriamo che la riscoperta del piatto Pannwitz possa portare a nuove e soddisfacenti indagini da parte di entrambi per la soddisfazione di tutti gli studiosi e cultori della materia.