PIATTO
DUCATO DI URBINO, PROBABILMENTE PESARO “1542”
Maiolica dipinta in policromia con verde in più toni, bruno di manganese nei toni del nero e del marrone, blu di cobalto, giallo e giallo arancio.
Alt. cm 3,8, diam. cm 28,9, diam. piede cm 9.
Sul retro scritta in manganese ”1542”/de adam et eva ; cartellino cartaceo: A.G.G. SUBERT / S. Pietro all’Orto, 26 – Spiga 22 / Milano.
Il piatto ha un ampio e largo cavetto, tesa larga e appena obliqua, orlo arrotondato e poggia su un piede ad anello piuttosto marcato.
Il fronte è ricoperto da una decorazione istoriata che interessa l’intera superficie senza soluzione di continuità. La scena raffigura sulla sinistra Eva, interamente vestita con un abito blu dalle ricche maniche giallo-arancio, seduta ai piedi di un albero in atteggiamento pensoso, un piede appoggiato a un elemento architettonico; mentre uno dei figli le abbraccia il grembo, l’altro giace poco lontano coricato sull’erba. Di fronte alla donna Adamo, in tunica corta e con un cappello in capo, inginocchiato, regge un bastone nella mano sinistra guarda lontano e indica una città fortificata sullo sfondo. Sopra la scena, circondato da un cerchio di nuvole, il Padre Eterno ricorda la cacciata dal paradiso. Il paesaggio è compreso tra alberi con fusto variopinto e dalle chiome a ciuffi di foglie lanceolate, mentre i vari piani prospettici sono suddivisi da zolle arrotondate e siepi che orlano alcuni specchi d’acqua; qua e là degli steccati.
Il retro è decorato a cerchi gialli concentrici e mostra chiaramente uno smalto spesso con bolliture, punte di spillo e vaste zone interessate da sbavature di verde. Al centro del piede si legge una scritta in manganese “1542/ de adamo et eva”, delineata con grafia sottile caratterizzata da un voluto allungamento dell’ultima lettera e dell’ultima cifra della data.
Due confronti, accomunati dal medesimo uso delle incisioni, ci derivano da una coppa con “l’apparizione di Dio a Isacco”(1) che prende spunto da un’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello (2) e da una coppa con stesso soggetto nella collezione della Fraternità dei Laici ad Arezzo (3). Tuttavia la decorazione del nostro piatto si caratterizza per uno stile ben preciso, alquanto originale rispetto agli esemplari citati, con soluzioni tecniche che prevedono, ad esempio, un abbondante uso di manganese: alle spalle di Eva, nel cappello e sul plinto architettonico, e alcuni tocchi di bianco di stagno che danno luce alle figure, le cui gote sono marcate di rosso.Una particolare attenzione è poi dedicata alla descrizione della città sullo sfondo.
L’originale utilizzo dell’incisione, con l’aggiunta dei due infanti, e la raffinata proposta dell’architettura dello sfondo fa pensare, e ha fatto pensare in passato, all’opera di Francesco Xanto Avelli. Tuttavia non ci pare che l’attribuzione al pittore rovighese sia oggi sostenibile, pur essendo probabile che si tratti di un autore che ha potuto attingere alla medesima temperie culturale.
Rispetto ai due esemplari di confronto citati riteniamo che il piatto in esame mostri caratteristiche stilistiche e tecniche più accorte, sia nella scelta di interpretare l’incisione adattandola ad una narrazione diversa, sia nella qualità stilistica che emerge nella realizzazione del paesaggio ed in particolare dell’architettura. A questo proposito si può riscontrare qualche affinità stilistica con la coppa del pittore del Pianeta Venere, conservata oggi nelle raccolte d’arti applicate del Castello Sforzesco di Milano (4). Un confronto con un piatto con l’episodio di Falaride (5) della raccolta del Museo Artistico Industriale di Roma, attribuito ad ambito Pesarese dal Ballardini (6) e in seguito al pittore di Zenobia (7), mostra affinità stilistica nella resa dei dettagli fisiognomici nel volto dei personaggi posti di profilo: Eva e Adamo in raffronto al volto del Tiranno di Agrigento e di un personaggio sulla destra, il volto del putto e il personaggio con cappello frigio sulla tesa di destra; ma anche in alcuni dettagli nella realizzazione delle architetture: i fornici arcuati circondati da una cornice, le finestre a feritoia illuminate da sottili tocchi di bianco, la presenza di un gradino.
Il confronto con alcune opere del “pittore del pianeta Venere” (8) o comunque con alcune opere della bottega di Girolamo Lanfranco delle Gabicce, nonché con le opere del “pittore di Zenobia”, ci confortano dunque nell’attribuzione del piatto a una bottega attiva a Pesaro.
1 IVANOVA 2003, p. 105 n. 88;
2 BARTSCH XIV, p. 9, 7
3 FUCHS 1993, p. 210
4 BISCONTINI UGOLINI in AUSENDA 2000, pp. 247-249 n. 262;
5 Lo stesso soggetto del piatto di Roma, ma con caratteristiche stilistiche differenti, più marcatamente attribuibili al pittore di Zenobia, si ritrova in un piatto della collezione Gillè a Lione (FIOCCO– GHERARDI 2001, p.182 n.);
6 BOJANI 2000, p. 86 n. 23;
7 GRESTA 1991, p. 79 fig. 10;
8 Personalità artistica di complessa definizione, la sua attività a Pesaro è documentata tra il 1542 e il 1550. MALLET 1980, p. 154, FIOCCO-GHERARDI 2007, pp. 182 ss., MALLET 2010, pp. 173 ss., WILSON-SANI 2007, pp. 182-187 n. 122, identificano il pittore con Nicolò da Fano, autore di un piatto firmato, oggi nella collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, di fondamentale importanza sia per la definizione della personalità pittorica, sia come testimonianza della migrazione dei pittori dal ducato di Urbino verso altre botteghe nel periodo di fermo della bottega di Lanfranco dalle Gabicce.