Domenico Pellegrini
(Galliera Veneta 1759 - Roma 1840)
RITRATTO DI FILIPPO E COSTANZA DE MARINIS COME AMORE E PSICHE
olio su tela, cm 134x174
firmato e datato "D:co Pellegrini F:it Napoli / 1790" in basso a destra
Provenienza
Marchese Giovann'Andrea De Marinis, Napoli
Principi Sangro di Fondi, Napoli
Collezione privata
Bibliografia
G. Pavanello, Domenico Pellegrini 1759-1840. Un pittore veneto nelle capitali d'Europa, Venezia 2012, p. 17
Protetto da Antonio Canova, il giovane pittore veneto Domenico Pellegrini (1759-1840) si reca da Roma a Napoli, con l'intenzione di perfezionare i suoi studi e di farsi conoscere in un ambiente artistico di prim'ordine. Da Napoli, poi, farà ritorno a Roma, quindi si recherà a Venezia, per trasferirsi quindi a Londra, sede privilegiata, con Lisbona, della sua attività. Tornerà quindi a Roma negli ultimi anni di vita e gratificherà l'Accademia di San Luca di un lascito corposo di dipinti: primo fra tutti, il Capriccio architettonico di Canaletto.
L'artista, che si era già segnalato a Roma, si apprestava dunque ad allargare le sue esperienze, e, quale pretesto per quel soggiorno, era l'incarico, da parte di Canova, di realizzare una copia della Danae di Tiziano conservata a Capodimonte. Si era verso la fine del nono decennio del secolo XVIII. Un passo di Antonio d'Este nelle sue Memorie getta luce su questo momento:
Fu intorno a quel tempo, che l'artista [Canova] venne a conoscere Domenico Pellegrini, a cui era cessato un sussidio che in Roma godeva da un patrizio veneto, e trovavasi senza risorse, con un avvenire luttuoso per le vicende politiche di quei tempi. Egli per soccorrerlo lo inviò a sue spese a Napoli, a dipingere una replica della Danae di Tiziano: così il Pellegrini che si distinse nel colorito, cominciò la sua carriera, e il Canova provvide ai bisogni di un artista che poi col suo pennello seppe far dei risparmi, co' quali comodamente visse.
Quel soggiorno si rivelò azzeccato, avendo alle spalle il nome di Canova, all'epoca capofila nelle committenze di statuaria in città, a partire dal gruppo, modellato già nel 1789, di Adone e Venere, collocato dal marchese Francesco Berio in un tempietto nel giardino del suo palazzo di via Toledo.
Canova, ancora, significava l'appoggio di Ranieri de Calzabigi, il celebre letterato che prese il giovane pittore sotto la sua tutela, introducendolo nell'ambiente artistico partenopeo, in cui figura di punta era William Hamilton, l'inviato straordinario a Napoli di Sua Maestà Britannica, collezionista e studioso di vasi greci e di antichità classiche: i magnifici quattro volumi della sua raccolta di vasi figureranno nella biblioteca di Canova. Pellegrini farà subito anche il ritratto di Emma Hart, Lady Hamilton.
Quindi, il conte Giuseppe Lucchesi Palli di Campofranco, collezionista e scrittore di libretti, impresario teatrale, e Carlo Castone della Torre di Rezzonico, letterato e critico d'arte, panegirista dell'Adone e Venere canoviano: tutti affiliati, come il marchese Berio, alla massoneria. Le affermazioni non mancano, e Napoli si conferma quale centro all'avanguardia in questi anni, meta di personaggi di primo piano, viaggiatori e artisti, Canova in primis, che vi soggiorna nel 1780 e nel 1787, subito dopo l'inaugurazione del Monumento funerario di Clemente XIV.
Oltre a dipinti mitologici, Pellegrini esegue numerosi ritratti, filone privilegiato nella produzione dell'artista, mentre il contatto ravvicinato con la pittura tizianesca fu certo di stimolo per inoltrarsi su quel percorso di approfondimento coloristico che sarà una costante nei decenni a venire.
Dalla lettera di Calzabigi a Canova del 2 ottobre, veniamo a sapere che
Egli ha molti lavori da far qui a mia premura. Ne tiene già tre cominciati: quello del conte Rezzonico da lei conosciuto presidente dell'Accademia delle Belle Arti di Parma: quello di madamigella Hart bellezza inglese che sta in casa del cavalier Hamilton ministro brittannico in Napoli; quel ritratto egli lo fa a confronto di altro che ne dipinge madama Le Brun a lei nota; ed un altro per un mio amico. Giovedì ne comincia (parola data) uno istoriato di due ragazzi di uno de' primarj signori di questo paese, il quale doppo vuole anche il suo; ed in breve altro pure istoriato dovrà farne di una delle principali dame di questa corte con 3 ragazzi suoi figli.
L'aristocrazia napoletana – "uno de' primari signori di questo paese" – è qui rappresentata da Giovann'Andrea de Marinis, marchese di Genzano, il quale, oltre al ritratto "istoriato di due ragazzi [...] vuole anche il suo". Abbiamo la certezza che nella galleria degli eredi del marchese, i principi di Fondi, esistevano, di Pellegrini, un Ritratto di famiglia e un dipinto raffigurante Amore e Psiche. Un testo di metà Ottocento informa che nel palazzo napoletano si con- servava "un bel quadro, a grandezza naturale che rappresenta un'Allegoria, opera di un pittore del tempo, certo Pellegrini, ove son due figure i cui tratti rammentano il fratello e la sorella de Marini".
Si è ipotizzato che quei personaggi menzionati nelle carte d'archivio non siano altro che i "due ragazzi" del "ritratto istoriato" citato da Calzabigi, vale a dire i figli del marchese Giovann'Andrea de Marinis, Filippo e Costanza, raffigurati come Amore e Psiche. Possiamo ora, grazie al recupero di questo importante dipinto, confermare quell'ipotesi. Reali sono, infatti, i volti dei due giovani personaggi, compaginati secondo la moda del ritratto di gruppo "istorico", alla Kauffmann, esplosa pure all'ombra del Vesuvio. Palese l'omaggio alla pittrice e al mondo di Canova: ambedue avevano effigiato, nel solco del ritratto allegorizzante, il giovane Henryk Lubomirski come Eros, e ancora la Kauffmann sceglierà quella trasposizione mitologica per ritrarre i bambini Plymouth nel 1795.
Ne avremo un secondo esempio di un simile doppio ritratto allegorico - Caterina e Vettor Pisani come Amore e Psiche - nel dipinto, tuttora conservato in palazzo Pisani Moretta, eseguito da Pellegrini a Venezia per Vettor Pisani.
Nulla di archeologico o di erudito nella coppia dei ragazzi de Marinis e dei bambini Pisani, in cui Pellegrini di mostra aggiornato sulle moderne tendenze, sciogliendo ogni ingessatura accademica: ricorrere all'allegoria era un modo per combinare grazia e buon gusto, ciò che la committenza ormai richiedeva, sulla spinta della ritrattistica internazionale: dopo Angelica Kauffmann, Elisabeth-Louise Vigée Le Brun, anch'essa presente a Napoli con pari successo.
La nostra coppia viene presentata in un'ambientazione di natura, su un rialzo roccioso dove sono state adagiate delle stoffe, in particolare un vistoso drappo rosso, di memoria giorgionesco-tizianesca. Anche la quinta arborea, con apertura in lontananza laterale, richiama soluzioni di primissimo Cinquecento veneziano, i Tre filosofi in testa. Se i bambini Pisani, nella loro infantile innocenza, ben si prestavano alla trasposizione mitologica, qui va evidenziato un più smaliziato ricorso al velo dell'allegoria per la raffigurazione dei due preadolescenti. Si potrebbe dire, volendo, che l'aria di Napoli non era quella di Venezia: forse pure con l'intendimento di voler trasporre nella modernità un ideale classico di cui la città partenopea era allora uno dei massimi centri artistici d'Europa.
Canova allora stava applicandosi a terminare il gruppo di Amore e Psiche che si abbracciano, modellato già nel giugno 1787 per il colonnello John Campbell (poi Lord Cawdor), conosciuto dallo scultore a Napoli nel corso del soggiorno del 1787: gruppo che qui Pellegrini echeggia pur nelle diversità compositive, ma si noti la presenza della stoffa stesa a terra come dello stesso rialzo roccioso, del velo sul corpo di Psiche, davvero minimale. Psiche, pur essa alata, richiama il gesso canoviano del Metropolitan Museum of Art, in correlazione peraltro con la seconda versione del gruppo, scolpita per il principe russo Nicola Jusupov.
Ma non sfugga l'intensità degli sguardi e di quell'abbraccio fra i personaggi, di timbro realmente affettivo, senza cioè quelle stilizzazioni che siglano invece il gruppo canoviano, e che Pellegrini riproporrà nel Venere e Adone di Lisbona: tonalità che ben si addice a un doppio ritratto di tal genere, ‘familiare', vero centro espressivo del dipinto che viene ad accrescere il fascino di questo piccolo capolavoro.
Giuseppe Pavanello