Maestro limosino della metà del secolo XVI
GIUNONE RESPINGE PSICHE
piatto in rame con smalto e oro, diam. cm 21
Sul retro monogramma tra rami fogliati sormontato da corona dipinto in oro
Privo di piede, il piatto presenta largo cavetto piano ed ampia tesa orizzontale, interamente dipinta in policromia con dorature a freddo. Il centro della scena è occupata da due divinità femminili, poste davanti ad un palazzo con alberi fogliati sullo sfondo e un cielo stellato: Giunone riceve Psiche, inginocchiata supplicante davanti a lei, ma la deve respingere per non fare un torto a Venere. La scena è incorniciata da una fascia dipinta in oro a motivo di nastro ritorto, intorno al quale si sviluppa la decorazione a grottesche della tesa, con otto salamandre dal viso satiresco affrontate a coppie tra quattro volti femminili, il tutto contornato da rami dorati.
La scena riproduce in maniera fedele un’incisione del Mastro del Dado (fig. 1) tratta dalla serie “Storia di Psiche” (n. 20), opere derivanti da disegni di ispirazione rafaellesca attribuiti dal Vasari a Michiel Coxie, che il Maestro del Dado conobbe a Roma nel 1523, epoca in cui si data la serie. Tali disegni riprendono gli affreschi analoghi nella Loggia della Farnesina, distrutti nel sacco di Roma del 1527. Il mito, narrato da Apuleio all’interno delle Metamorfosi (Libri IV-VI) e inserito da Boccaccio nella Genealogia Deorum, racconta di Psiche e Amore. Venere, gelosa della grande bellezza di Psiche, incarica il figlio Eros di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra: la missione però non riesce, ed anzi è proprio Eros ad innamorarsi di Psiche, che con l’intercessione di un oracolo riesce a rinchiuderla in un castello magico, dove gli fa visita solo con le tenebre. Psiche però, istigata dalle sorelle, contravviene al divieto di vedere in faccia l’amante, il quale si sente tradito e l’abbandona. Straziata dal dolore cerca più volte il suicidio, sempre salvata dagli dei, fino alla decisione di recarsi al tempio di Venere per chiedere aiuto: la dea, madre di Amore, sottopone allora Psiche a diverse prove con cui recuperare l’amore del figlio. Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve l'aiuto di Giove, che mosso da compassione fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una dea e sposa Eros durante un banchetto nell’Olimpo.
Il retro del piatto, decorato al centro con un monogramma tra rami d’alloro sormontato da una corona gigliata, rimanda immediatamente al re di Francia Enrico II (fig. 2) e alla sua amante Diana di Poitiers, oltre che castello di Anet. Diana, primogenita di Giovanni di Poitiers, sposò nel 1515 Luigi di Brézé, conte di Maulevrier, al quale diede due figli. Rimasta vedova nel 1531, divenne qualche anno dopo la favorita del duca d’Orléans, successivamente re sotto il nome di Enrico II, riuscendo a trarre il massimo profitto dalla propria posizione di favorita del re, al punto che persino Caterina de' Medici, moglie di Enrico II, dovette cedere al suo ascendente. Non solo ricevette in dono il ducato del Valentinois e il castello di Chenonceau, ma dal re fu finanziata anche la costruzione di un nuovo castello ad Anet, affidandone il progetto al più celebre architetto di Francia, Philibert Delorme, nel 1547 (fig. 3). Sul portale d'ingresso di questa reggia extraurbana fu posta la riproduzione di un altorilievo in bronzo di Benvenuto Cellini (l'originale è oggi al Louvre) raffigurante una ninfa o forse la dea Diana, nuda e bellissima, prostrata dalla caccia (con chiaro riferimento alla bella castellana).
La preziosità dell’oggetto è confermata anche dalla tecnica di esecuzione, lo smalto, che accoppia paste vitree a superfici metalliche, impiegate come supporto, attraverso un processo di fusione al forno; una tecnica che si colloca tra quella del vetro e l'oreficeria, sorta dalla necessità di aggiungere colore ai metalli preziosi. La placca viene ricoperta di fondente su entrambe le facce e subisce una prima cottura: il rovescio viene così protetto e il dritto è pronto a ricevere la decorazione. Quest’ultima si ottiene tramite la sovrapposizione di strati di smalto colorato, steso a spatola, e da altrettante cotture che permettono di fissarlo. L’applicazione dei colori al pennello, permette di marcare alcuni dettagli, mentre sottili foglie d’oro o d’argento, chiamate “paillons”, conferiscono una particolare luminosità. Conosciuta fin dall’antichità, la tecnica dello smalto si evolve nei secoli, per arrivare nel corso del XII secolo all'introduzione dello “champlevé”, pratica che segna il prevalere dello smalto sul metallo, fino al punto di farlo scomparire dalla figurazione. Verso la metà del Quattrocento quindi si afferma lo smalto dipinto, che per la sua caratteristica appunto pittorica si avvale di modelli ed iconografia della pittura, anche attraverso stampe e disegni: in genere il disegno veniva tracciato a pennello sulla base «fondante» di smalto bianco, con nero di bistro, e su questa falsariga si applicava quindi a spatola lo smalto colorato, ottenendo dopo la cottura quasi l’effetto di un disegno a penna. E proprio la città di Limoges, nel centro della Francia, fu dal medioevo fino al seicento uno dei principali centri di produzione di smalti in Europa: di particolare rilievo sono gli smalti del rinascimento, prodotti soprattutto durante il cinquecento, quando l'arte dello smalto fu rinnovata in chiave rinascimentale da veri e propri artisti quali Léonard Limosin che inventarono une tecnica di pittura allo smalto su tavole di rame.