Giacomo Rossi
(Bologna 1748 – 1817)
DUE VIRTÙ
VIRTÙ
VIRTÙ
terracotta policroma, cm 14x29x6; cm 21x18x9; cm 21,5x18,2x8,9
Esposizioni
Mostra del Settecento Bolognese, Palazzo Comunale, Bologna 1935
Bibliografia
G. Zucchini, R. Longhi (a cura di), Mostra del Settecento Bolognese, cat. della mostra, Bologna 1935, p. 148;
A. Bacchi, Alle origini del neoclassicismo a Bologna: Ubaldo Gandolfi, Carlo Prinetti e Giacomo Rossi in San Giuliano, in Deanna Lenzi (a cura di), “Arti a confronto. Studi in onore di Anna Maria Matteucci”, Bologna 2004, pp. 384 e 386-387
Queste tre terrecotte colorate furono presentate al pubblico per la prima volta in occasione della grande mostra bolognese del 1935. Riferite allora al caposcuola locale Giuseppe Maria Mazza (Bologna 1653-1741), sono state poi restituite a Giacomo Rossi (Bacchi, op. cit. 2004) sulla scorta del confronto con le due figure in stucco collocate sul timpano del secondo altare di destra della chiesa di San Giuliano a Bologna (il gruppo delle Due Virtù) e con le altre due sul secondo altare di sinistra (le due terrecotte che rappresentano una Virtù ciascuna). Il cantiere plastico di San Giuliano, i cui lavori sono collocabili precisamente al 1780, costituì una sorta di incunabolo per il nascente Neoclassicismo felsineo: accanto a Rossi erano attivi in chiesa Carlo Prinetti e Ubaldo Gandolfi. Le terrecotte qui in oggetto si caratterizzano per la fattura veloce e compendiaria, con la quale l’autore ha còlto i tratti essenziali delle figure rappresentate, secondo modalità operative tutto sommato anomale a quell’altezza cronologica, ma che di lì a poco sarebbero state adottate anche dal maggiore protagonista della nuova stagione artistica, Antonio Canova. Rispetto agli altri bozzetti che ci sono giunti, sempre relativi a figure in stucco di San Giuliano, opera di Prinetti (San Matteo) e Gandolfi (Isaia), queste terrecotte di Rossi sembrano senz’altro dei materiali di bottega realizzati proprio in vista della traduzione in grande di quelle invenzioni, e non può in alcun modo trattarsi di copie d’après pensate per il collezionismo.
Rossi fu personalità d’eccezione della scultura del suo tempo: proprio nelle opere databili intorno al 1780 egli pare cercare un dialogo con giganti quali Giovanni Battista Piranesi e Johann Heinrich Füssli, dialogo che non poteva instaurarsi se non a Roma, sebbene un soggiorno del bolognese nell’Urbe non sia documentato. Rossi non fu comunque un artista di rottura, riuscendo anzi a conciliare l’eredità del Settecento felsineo, in particolare proprio Gandolfi, con istanze di rinnovamento, soprattutto nordiche (oltre a Füssli, si può citare lo scultore svedese Johan Tobias Sergel).
A.B.