Michelangelo Naccherino
(Firenze 1550 - Napoli 1622)
IL TEMPO CHE SVELA LA VERITÀ E CALPESTA LA MENZOGNA
gruppo statuario in marmo, cm 283x92x83
Opera dichiarata di particolare interesse culturale ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004
Bibliografia
F. Loffredo, Sculture per fontane nel Cinquecento meridionale: ricerche su casi esemplari tra l’Italia e la Spagna, con un censimento delle opere napoletane documentate, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a.a. 2008-2009, pp. 238-241, n. II.1.3;
P. D’Agostino, Cosimo Fanzago scultore, Napoli 2011, p. 268
Questo colossale gruppo marmoreo allegorico, acquistato da Salvatore Romano a Napoli (una foto di primo Novecento lo riproduce nel giardino di una villa partenopea, adattato a fontana all’interno di una nicchia a edicola), per quanto già riferito a Michelangelo Naccherino - personalità esemplare della svolta ‘purista’ e ‘controriformata’ del manierismo fiorentino, attivo dal 1573 a Napoli dove condivise con Pietro Bernini il primato della scultura partenopea (M. Kuhlemann, Michelangelo Naccherino. Skulptur zwischen Florenz und Neapel um 1600, Münster 1999) -, era a lungo sfuggito alla bibliografia sull’artista. Spetta alle recenti ricerche di Fernando Loffredo (op. cit. 2008-2009, pp. 138-241), condotte in collaborazione con Luigi Coiro, l’averlo identificato in un lavoro di grande importanza che l’artista, in una nota lettera del 12 novembre 1617 (trascritta da A. Parronchi, Sculture e progetti di Michelangelo Nacherino, in “Prospettiva”, 20, 1980, pp. 34-46, a p. 38), aveva proposto al granduca Cosimo II de’ Medici, allegandone uno “schizo”: un gruppo, raffigurante “tenpo verità e bugia, che di marmo sta terminato e in 6 mesi si può finire” - dunque parzialmente incompiuto quale appare nella parte bassa l’opera in esame -, che la critica riteneva perduto (Kuhlemann, op. cit. 1999, pp. 240-241, n. C.21) o radicalmente trasformato nel Settecento dal Corradini e dal Queirolo per la Cappella Sansevero di Sangro (A. Parronchi, Su un progetto di Michelangelo Nacherino, in “Prospettiva”, 25, 1981, pp. 14-24).
Loffredo ha inoltre stabilito, anche attraverso gli opportuni riscontri documentari, che questo gruppo - come già prospettato dal Parronchi (op. cit. 1981) - nel 1624 era stato venduto ancora “abbuzzato” (dal 1617/18 lo scultore fu infatti afflitto da un’infermità) dalla vedova Delia Vitale ai monaci della Certosa di San Martino, insieme ad altri lavori citati nella medesima lettera del 1617 (tra cui il Cristo risorto tuttora nel chiostro della Certosa), come attesta una perizia del 1682 stilata per contestarne la presunta paternità di Cosimo Fanzago rivendicata da due collaboratori del maestro lombardo, il quale nel 1656 ne aveva scolpito il “piedistallo”; atto attraverso il quale si apprende la collocazione del marmo “in un cammerino avanti la camera del padre Priore” (in R. Causa, L’arte nella Certosa di San Martino, Napoli 1973, p. 49).
Tale identificazione, poi ribadita da Paola D’Agostino (op. cit. 2011, p. 268) giudicando il marmo “effettivamente estraneo ai modi fanzaghiani”, è del resto per Loffredo pure “da avvallare sotto il profilo stilistico”, come si evince dai confronti con le migliori sculture realizzate dal Naccherino in quei medesimi anni, alcune delle quali acquisite dallo stesso granduca di Toscana. In particolare col raffinatissimo gruppo raffigurante Il peccato originale collocato nella Grotta di Annalena del giardino di Boboli a Firenze, dove nella figura di Adamo si ritrova “il gioco di riccioli spumosi e arrovellati” che qui incorona la testa del Tempo e in quella di Eva la “lunga chioma” della Verità, mentre nell’articolazione compositiva si riscontra un’analoga interpretazione, più solida e pacata, dei modelli proposti da Michelangelo e Giambologna, rimeditati forse attraverso l’esempio del Francavilla.
G.G.