CENTROTAVOLA, BOLOGNA, MANIFATTURA ALDROVANDI, 1793-1820 CIRCA
tempietto neoclassico con figura di Venere e sfingi, terraglia “all’uso d’Inghilterra”, alt. cm 48. Completo di base sagomata in legno lastronato, scolpito e dorato, alt. cm 10, diam. cm 60
Questo elegante tempio circolare è composto da otto colonne ioniche che reggono una cupola emisferica dal tetto a squame dominato da un piccolo putto accovacciato. Al centro, su un’elegante base cilindrica, una figura femminile classica ha un moto danzante. All’esterno basi radiali ospitano piccole sculture di sfingi alternate a eleganti vasi a balaustro.
Nella Sala Ceramiche di Palazzo Madama a Torino è esposto con solennità un tempio in terraglia d’Inghilterra assolutamente coerente con il nostro, poggiante su una base più ampia, decorato con elementi plastici ad obelisco, ma non da sfingi. La stessa Venere danzante è la figura centrale e il putto domina la cupola e siede anche sulle basi radiali che circondando il tempietto classico. Anche se nel celebre testo dedicato alla terraglia italiana da Giuseppe Morazzoni nel 1954 l’opera di Palazzo Madama era considerata della manifattura veneta di Vicentini del Giglio, la sua attuale attribuzione alla manifattura bolognese si può considerare certa. Infatti negli studi degli anni Novanta, editi da Maria Grazia Morganti e Nicoletta Barberini, sulla terraglia della manifattura bolognese fondata nel 1793 dal Conte Carlo Filippo Aldrovandi Marescotti nel suo palazzo di famiglia in centro città, vengono pubblicati gli elementi plastici che decorano i nostri tempietti come produzione certa di questa fabbrica: la Barberini presenta la figura femminile classica centrale e il putto seduto, mentre gli obelischi del pezzo torinese sono visibili dalla Morganti (a questo proposito non si può non ricordare che la collezione ceramica di Palazzo Madama dal 1988 al 2010 non era visibile: si veda R. Ausenda, Sala Ceramiche. I criteri dell’ordinamento, in E. Pagella, C. Viano (a cura di) Palazzo Madama a Torino. Dal Restauro al Nuovo Museo, Torino 2010, pp. 302-305).
La qualità materica color avorio di questa terraglia è particolarmente brillante: è documentata la ricerca del nobile bolognese di ottenere i segreti per fabbricare un materiale ceramico più chiaro e forte di quello che producevano i veneti, inviando emissari in Gran Bretagna a studiare la tecnica di Joshia Wedgwood e arrivando ad aggiungere polvere di marmo di Carrara all’impasto. Ma l’eleganza dell’oggetto si spiega soprattutto con la fine cultura artistica del proprietario e del modellatore, Giacomo de Maria, il raffinato scultore che a Bologna aveva saputo declinare la “nobile semplicità e quieta grandezza” dell’arte neoclassica winckelmaniana, che aveva perfezionato lavorando perfino nella bottega romana di Antonio Canova.
Raffaella Ausenda
Bibliografia di confronto
G. Morazzoni, La terraglia italiana, Milano 1956, p. 93;
N. Barberini, La manifattura Aldrovandi. Bologna, Sasso Marconi 1996, p. 92;
M.G. Morganti, La manifattura Aldrovandi, in R. Ausenda, G.C. Bojani, La ceramica dell’Ottocento nel Veneto e in Emilia Romagna, Modena 1998, p. 210