DIPINTI DAL XIV AL XX SECOLO

196

Pier Antonio Michi

€ 15.000 / 20.000
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Pier Antonio Michi

(Michi, Chiesina Uzzanese primo decennio del XVII secolo – Firenze, 1656)

SALOMONE RICEVE LA REGINA DI SABA

olio su tela, cm 207x256,5

 

Provenienza

Villa Lupezzinghi Ceoli, Titignano, Cascina di Pisa

L’opera, di provenienza ab antiquo oggi sconosciuta, raffigura una scena ricca di personaggi, tra i quali un re e una regina, ambientata all’interno di una costruzione in pietra in stile classico. Grazie alla lettura dei personaggi e delle loro pose è possibile riconoscere nell’episodio illustrato l’incontro di Salomone con la regina di Saba. La storia, narrata con dovizia di dettagli nel libro biblico de I Re (10, 1-13), ricorda che la regina dei sabei, il cui nome secondo antiche tradizioni era Machedà o Bilqis, dopo aver appreso della grande saggezza di Salomone decise di recarsi con il suo seguito alla corte del re di Israele. L’incontro tra i due sovrani avvenne nella reggia di Gerusalemme e fu accompagnato da doni provenienti dall’Africa, portati appositamente dalla regina. In cambio dei doni, Salomone dette alla sovrana “quanto ella desiderava e aveva domandato, oltre a quanto le aveva dato con mano regale”. Secondo il Kebra Nagast, antico testo etiope la cui traduzione letterale significa Gloria dei Re, tra Salomone e la regina nacque una breve ma intensa storia d’amore che portò alla nascita di un figlio, Menelich I, futuro sovrano d’Etiopia.

La tela, finora inedita e anonima, rappresenta, a un esame critico circostanziato, un’acquisizione importante al catalogo autografo di Pier Antonio Michi, interessante pittore toscano riscattato nei testi storico-artistici solo in tempi relativamente recenti.

Originario con probabilità di Michi, piccola frazione nel comune pistoiese di Chiesina Uzzanese, dove nacque nei primi anni del Seicento, l’artista, del quale ignoriamo al momento l’ambito formativo di appartenenza, giunse in giovane età a Firenze, dove nel 1633 si iscrisse all’Accademia del Disegno. Dopo opere realizzate per il capoluogo toscano, tra le quali abbiamo memoria oggi soltanto di un interessante affresco con il Trionfo della Verità incoronata da Giove eseguito nel 1638 in Palazzo Pitti, Michi operò soprattutto per le città di Pistoia e Prato, dove nel corso di vari anni realizzò dipinti degni di nota, in gran parte firmati o documentati. Aderente strettamente alla corrente naturalistica fiorentina e legato stilisticamente a maestri come Vincenzo Dandini, Lorenzo Lippi e Giovanni Martinelli, l’artista morì nella città del Giglio nel 1656 (per una traccia biografica e un elenco delle opere dell’artista si veda S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ‘600 e ‘700. Biografie e opere, 3 voll., Firenze, 2009, I, pp. 202-203 e III, figg. 1086-1088; con bibliografia precedente).

L’opera rappresenta l’unica tela attualmente nota dell’artista proveniente da una quadreria privata. L’assegnazione del dipinto al catalogo di Pier Antonio Michi si evince, innegabilmente, dal confronto tipologico tra le figure presenti in questa composizione e quelle visibili in alcune delle tele più interessanti dell’artista, prime fra tutte il Battesimo di Costantino in San Bartolomeo in Pantano a Pistoia, firmata e datata 1645 (S. Bellesi, Una vita inedita di Vincenzo Dandini e appunti su Anton Domenico Gabbiani, Giovan Battista Marmi, Filippo Maria Galletti e altri (I parte), in “Paragone”, 1988, 459-463, p. 122 nota 91 e tav. 160a) e la pala più o meno coeva con il Martirio di sant’Apollonia già nella chiesa dei Santi Michele e Francesco a Carmignano, nel territorio pratese (C. Cerretelli, Presenze significative nei primi decenni del Seicento in Il Seicento a Prato, a cura di C. Cerretelli e R. Fantappiè, Calenzano/Firenze, 1998, pp. 75 e 87 fig. 156). Oltre che con queste, con le quali condivide anche il rigoroso sfondato architettonico, l’opera mostra, sempre e soprattutto nelle sigle fisionomiche delle figure, contatti diretti con i Santi in adorazione del Crocifisso oggi conservata nel Museo Civico di Prato, documentata al 1635-1636 (C. Cerretelli, op. cit., 1998, pp. 74-75) e con la poco più tarda Madonna della Neve e santi nell’omonima chiesa di Chiesina Uzzanese (S. Bellesi, op. cit., 1988, p. 122 nota 91 e tav. 160b).

Databile con probabilità intorno o poco oltre la metà degli anni quaranta del Seicento, la tela presenta una composizione perfettamente equilibrata, dove le figure, dalle vesti lucide e vibranti, appaiono lumeggiate con forti contrasti e suggestivi passaggi chiaroscurali. Come nelle opere migliori del pittore anche questa, mostra debiti stringenti da alcuni maestri fiorentini del tempo, in particolare il già citato Vincenzo Dandini, artista al quale era stato assegnato anticamente, e forse non a caso per le stretta vicinanza di stile, la menzionata pala in San Bartolomeo in Pantano a Pistoia (S. Bellesi, Vincenzo Dandini e la pittura a Firenze alla metà del Seicento, Ospedaletto/Pisa, 2003, pp. 137-138 n. 5).

 

 Sandro Bellesi