GIANNI COLOMBO
(Milano 1937 - Melzo 1993)
Spazio elastico
molle, elastici, chiodi, spago e smalto su tavola, cm 124x127
eseguito nel 1975/1976
L’opera è accompagnata da certificato dell’Archivio Gianni Colombo con il n. 1264
Provenienza
Collezione privata, Milano
Esposizioni
Gianni Colombo, Galleria Monica De Cardenas, Zuoz, Saint Moritz, 6 dicembre 2014 - 22 Luglio 2015,
ivi ripr., s.i.p.
Gianni Colombo è considerato uno degli artisti italiani più influenti della sua generazione, il suo lavoro si inserisce al centro di un sempre più diffuso e crescente interesse internazionale. L’artista si colloca infatti, tra i maestri del cinetismo internazionale, ma l’importanza dei suoi traguardi creativi va ben oltre. A conferma della profonda attualità delle sue opere sono gli aspetti performativi, partecipativi e relazionali: la pratica di Colombo mira infatti ad un superamento dell’opera d’arte concepita come mero oggetto da contemplare a favore di una dimensione di tattilità, corporeità e partecipazione da parte del fruitore.
Formatosi all’Accademia di Brera, dove frequenta i corsi di pittura di Achille Funi e Pompeo Borra. Condivise il suo primo atelier in via Montegrappa a Milano con Davide Boriani e Gabriele Devecchi, trasferendosi infine in un atelier vicino a quello di suo fratello Joe. Egli sperimentò con diversi materiali e linguaggi, fondando nel 1959 il Gruppo T con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, e Gabriele Devecchi, e diventando un protagonista di fama internazionale dell’arte
cinetica o programmata.
Colombo era insieme meccanico di oggetti manipolabili e cinetici e architetto dadaista: un artista che la cui ricerca si evolve di volta in volta. La sua volontà di superare la concezione tradizionale di opera d’arte, di trasformare gli spettatori in tecnici, portano Gianni Colombo a sperimentare nuove strutture percettive attraverso giochi di luce e insoliti equilibri. L’obiettivo era quello di modificare le sensazioni dello spettatore, stupendolo attraverso la creazione di luoghi sinestetici, campi d’interazione tra i vari organi sensoriali. Voleva turbare la passività percettiva dei luoghi, dalla galleria al museo, dalla casa al palazzo, mostrando l’inerzia del loro utilizzo.
Come ben evidenzia Marco Scottini in Gianni Colombo. Il dispositivo dello spazio, “l’opera di Colombo non ci presenta - come ha affermato Jean Louis Schefer - “un catalogo di forme né, come l’hanno fatto una pittura ed un’arte classiche nelle quali, effettivamente, abbiamo imparato a guardare, un allineamento del visibile” (J. L. Schefer, C’est un corps in Gianni Colombo, catalogo in occasione della mostra al PAC di Milano, 1984), tanto meno una collezione di oggetti. Si tratta piuttosto della produzione di dispositivi: strutturazioni, intermutabili, campi, situazioni, transiti, itinerari, ambienti o come altrimenti si è voluto chiamarli.”
Lo Spazio elastico è stato sperimentato da Colombo in più forme: dall’iniziale reticolo di cubi di fili elastici animati da motori e dall’azione della luce di Wood (1964), all’allestimento di uno Spazio elastico “ambientale” presso la galleria l’Attico di Roma nel 1967-1968, operazione che verrà in seguito sviluppata in altre occasioni e varianti. In parallelo agli ambienti percorribili, egli sviluppa, alla fine degli anni Sessanta una serie di Spazi elastici costituiti da leggere strutture in metallo in forma di cubi, appese a soffitto con semplici fili di nylon e animate da motori. Il ruolo attivo del fruitore è tuttavia ulteriormente ribadito in un’altra serie di Spazi sviluppati a partire dal 1974 dei quali fa parte la nostra opera datata 1975-1976: Colombo riparte dal tradizionale piano del quadro, trasformandolo però in una tavola sulla quale il soggetto può intervenire spostando manualmente i fili elastici. I disegni che si possono ottenere coinvolgono chi guarda in una relazione che ha l’apparente leggerezza di un gioco e proprio “gioco” e “leggerezza” sono, d’altronde, due parole chiave in tutta la poetica di Gianni Colombo. “Gianni Colombo e io, eravamo tra i pochi a inseguire una semplicità, una precisione che fosse anche leggerezza”, afferma François Morellet, ricordandolo.
Tra i protagonisti dell’arte cinetica internazionale e tra i maggiori esponenti della tendenza ambientale, Colombo coniuga la ricerca spaziale di Fontana con una matrice surrealista originaria che, nella mutabilità e nel movimento, introduce sorpresa e straniamento. Al centro del suo lavoro c’è lo spettatore: tanto la sua partecipazione diretta quanto il suo coinvolgimento psichico. Dunque, non solo lo spettatore inteso come statuto teorico, secondo l’accezione di Duchamp, bensì lo spettatore concreto, nella sua realtà fisica e sensoriale. I monocromi bianchi e pulsanti di Colombo, oppure quelli ruotanti, così come gli ambienti luminosi e quelli architettonici, decostruiscono continuamente le attitudini percettive e comportamentali del soggetto che è chiamato a interagire con essi.
“Ho pensato di lavorare più sulle condizioni dello stato di equilibrio, di sensazione e di rapporto con lo spazio dello spettatore: invece di dare forma a uno spettacolo visivo, complesso e di carattere scenografico […]. cercavo la possibilità di inglobare questo tipo di sensazioni a livello di un’opera da fruire come un fattore emozionale e un fatto espressivo.”
Gianni Colombo, dattiloscritto, 1964/1965