GIUSEPPE UNCINI
(Fabriano 1929 - Trevi 2008)
Struttura spazio n. 17
canna di alluminio fresato, cm 140,5x48x48
eseguito nel 1966
L'opera è accompagnata da autentica dell'Archivio Giuseppe Uncini su fotografia, n. archivio 66-013
Il percorso artistico di Giuseppe Uncini è caretterizzato in maniera esemplare dalla ricerca attenta e costante sull'uso dei materiali, in particolare del ferro, e sui loro principi costruttivi, mettendo alla base del proprio lavoro il principio creativo.
Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte di Urbino , nel 1953, su esortazione del conterraneo Edgardo Mannucci, si trasferisce a Roma, ospite del suo studio, dove entra in contatto con alcune figure dell’arte italiana e internazionale residente nella Capitale (Capogrossi, Afro, Mirko, Gentilini, Cagli e poi Franchina e Colla che insieme a Emilio Villa frequentavano assiduamente gli studi di Burri e di Mannucci).
Nel 1955 partecipa alla VII Quadriennale di Roma a Palazzo dell’Esposizione e, due anni dopo, espone per la prima volta in Germania, a Francoforte sul Meno, alla collettiva Abstrakte italianische Kunst. Nel 1956-57 inizia il ciclo di opere chiamato Terre, tavole realizzate con tufi, sabbia, cenere e pigmenti colorati. Ma la svolta nell’evoluzione artistica di Uncini si ha con la creazione, tra il 1957 e il 1958, dei primi Cementarmati, opere realizzate con ferro, cemento e rete metallica che lasciano intravedere la struttura portante del loro farsi, in contrasto con le superfici compatte e ruvide del cemento che spesso espongono la venatura della cassaforma.
Si susseguono diverse mostre che vedono riunita la così detta Giovane scuola romana: Uncini, Festa, Lo Savio, Angeli e Schifano. La prima importante personale è del 1961 alla Galleria l’Attico di Roma.
Un'arte mai omologata, quella di Uncini, quasi percorsa da una idiosincrasia col resto delle voci italiane, ma anche del tutto indipendente dalle influenze internazionali, instillata da una prima esperienza nel movimento Informale che ha stimolato l'euforia per innesti di sabbie, terre, cenere e cemento.
Nel 1963 si ufficializza la fondazione del Gruppo Uno con Biggi, Carrino, Frascà, Pace e Santoro che terranno una serie di esposizioni e pubblicheranno un manifesto che ne spiega la poetica. Il Gruppo Uno, scioltosi nel 1967, contrapponeva alla ricerca dell’Informale, l’idea di un’arte legata alla teoria della percezione, suggerendo la diversa funzione dell’Artista nella società. Argan fu uno dei più convinti sostenitori di questo Gruppo.
La ricerca di Uncini prosegue dal 1962 al 1965 con i Ferrocementi, dove il cemento estremamente levigato, fino a perdere ogni riferimento di tipo materico, ha nel tondino di ferro il vero protagonista che se determina le dimensioni del cemento, si fa linea di continuità tra il limite esterno e parti interne.
Segue nel 1965 il gruppo di lavori Strutturespazio, che saranno poi presenti alla XXXIII Biennale di Venezia del 1966 e proprio in questo filone di ricerca si inserisce l'opera che oggi presentiamo. Il senso architettonico gradualmente prende il sopravvento dando una sterzata quasi ambientale alla concezione dell'opera. La predilezione per materiali non nobili lo ha spinto ad una sperimentazione accanita verso procedure ingegneristiche di assemblaggi sempre più complesse che sembravano quasi scippate a sistemi industriali.
Di fatto, Uncini ha adoperato materiali, come il cemento e i tondini di ferro, a quel tempo impiegati unicamente nell’edilizia, e visti come improbabili nell’ambito artistico. Un pioniere, quindi, che ha aperto la via all’uso di nuovi materiali nella pratica scultorea. Questa innovazione ebbe un’influenza diretta sul movimento americano della Minimal Art e sull’italiana Arte Povera. L’estetica del cemento e del ferro divenne il marchio distintivo del suo lavoro. Attraverso l’uso di questi materiali, Uncini ha anche rivoluzionato molti aspetti tecnici della scultura, assorbendo complesse procedure ingegneristiche, visibili nelle superfici non trattate delle sue opere, che portano i segni delle produzioni industriali.
L'importanza di Giuseppe Uncini è stata proprio quella di forgiare nuova dignità espressiva a materiali improbabili, dando loro una posizione di prestigio nella lunga tradizione plastica italiana.
“Io lavoro con il cemento e il ferro. Questi materiali li uso con proprietà, nel senso che non li camuffo, che non me ne servo per trarre degli effetti particolari, al contrario li adopero come si adoperano nei cantieri, per costruire le case, i ponti e le strade, per costruire tutte le cose di cui l’uomo ha bisogno. Alla base di tutto questo c’è la necessità di costruire, di organizzarsi, c’è quel principio creativo che è all’origine di ogni progresso umano, questo è quanto nei miei oggetti voglio esprimere”.
Giuseppe Unicini