CAPOLAVORI DA COLLEZIONI ITALIANE

Firenze, 
gio 28 Settembre 2017
Asta Live 219
3

COPPA, FAENZA, BALDASSARRE MANARA O BOTTEGA, 1540 CIRCA

Offerta Libera
€ 70.000 / 100.000
Stima
Offerta Libera
Valuta un'opera simile

COPPA
FAENZA, BALDASSARRE MANARA O BOTTEGA, 1540 CIRCA

Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo antimonio, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.

Alt. cm 4,2, diam. bocca cm 22,1, diam. piede cm 12,8

 

Provenienza

Collezione Adda, Londra;

Collection d’un grand amateur, Palais Galliera, Parigi 29 novembre 1965, n. 574;

Collezione Caruso, Sotheby’s, Londra, 20 marzo 1973, n. 38;

Collezione privata, Milano

 

Bibliografia

B. Rackham, Islamic Pottery and Italian Maiolica. Illustrated Catalogue of a Private Collection, Londra 1959, n. 299;
F. Liverani, R. Bosi, Maioliche di Faenza, Imola 1974, pp. 54 e ss. n. XI;
C. Ravanelli Guidotti, Baldassare Manara Faentino pittore di maioliche nel Cinquecento, Ferrara 1996, p. 230 n. A8

 

La coppa presenta un cavetto concavo con tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato e poggia su un piede basso con margine leggermente centinato.

La rappresentazione si adatta alla forma del manufatto senza soluzione di continuità e si sviluppa per intero lungo la convessità del cavetto, raffigurando L’Annunciazione: l’Arcangelo Gabriele e la Madonna sono affrontati in una scena architettonica realizzata secondo canoni iconografici rinascimentali. Al centro della scena il leggio, simbolo della preghiera e del raccoglimento con cui Maria si è preparata al proprio compito, divide i due protagonisti: sulla destra Gabriele con l’indice della mano destra sollevato verso il cielo, mentre con la sinistra sorregge un giglio dal lungo stelo simboleggiante la maternità virginale di Maria, sulla sinistra Maria, inginocchiata, mentre accoglie l’annuncio con le mani giunte in atto di preghiera e di umiltà. L’architettura domina la scena: il pavimento piastrellato, il palazzo con fornici ad arco, colonne e cornicioni massicci alle spalle di Maria, una torre circolare alle spalle di Gabriele e un alto muro merlato che fa da sfondo, chiudendo la scena come hortus conclusus e lasciando al di fuori un paesaggio montuoso segnato da una strada bianca sinuosa.

Il retro è dipinto interamente in ocra con motivo a embricazioni e fasce in giallo con tocchi di azzurro.

Lo smalto e i pigmenti sono utilizzati con abbondanza, anche se il disegno risulta corrivo e imperfetto, e pare mancare di quella grazia che generalmente caratterizza le opere del pittore faentino. I pigmenti sono trattati con estrema perizia, anche se sono presenti, sul retro, alcuni difetti di cottura e qualche colatura all’orlo.

La coppa in esame, pur in assenza di firma, è stata nel tempo variamente attribuita a Baldassare Manara o alla sua bottega, ed è stata inserita da Carmen Ravanelli Guidotti nell’opera monografica su Baldassarre Manara tra le opere incerte (op. cit., p. 230 n. A8). La prudenza attributiva, doverosa data la “scorrettezza del disegno”, segue da sempre l’opera, già appartenuta alla nota collezione londinese Adda, senza tuttavia costituire un ostacolo al mantenimento dell’attribuzione al maestro faentino o alla sua cerchia. I volti dei personaggi richiamano le opere del maestro e sembrano ispirarsi a incisioni probabilmente presenti in bottega. La Madonna inginocchiata con le mani giunte trova riscontro, sebbene in versioni realizzate con tratto più incisivo, nella scena dell’Adorazione dei Pastori (Bartsch, 26 n. 16), dove la Madonna inginocchiata è ispirata ad un’incisione di Marcantonio Raimondi da un’idea del Francia (fig. 1), che ebbe grande diffusione nelle botteghe faentine.

Il tratto disegnativo veloce e la minore attenzione alla composizione non escludono però una paternità di Baldassare per quest’opera; una certa libertà interpretativa nel soggetto, tralasciando l’incisione di riferimento, fa anzi ipotizzare una “abitudine” alla decorazione su ceramica. Nell’analisi del pezzo Carmen Ravanelli Guidotti sottolinea la rapidità compositiva e l’incongruenza pittorica tra la durezza del tratto nella scena principale e la capacità di chiaroscurare il paesaggio di sfondo, la mancanza di alcuni elementi simbolici complementari dell’Annunciazione, come la colomba, e la centralità del leggio.

Tuttavia l’autore dell’opera sembra dominare l’uso del pigmento e della tecnica dello smalto, che è qui abbondante e squillante nei toni: mancano le velature di bianco e si cerca invece un recupero del bianco del fondo, che diviene particolarmente marcato nelle architetture.

Il corpus delle opere di Baldassarre Manara è vasto e comprende decine di opere, con le quali un capillare confronto stilistico suggerirebbe alcune analogie proprio con lo stile caratteristico di questo pittore.

Il retro della coppa è riconducibile per gli studiosi faentini all’ambito della bottega di Baldassare Manara o di opere ormai riconosciute come di mano del maestro, già sottolineate da Carmen Ravanelli Guidotti. Aggiungiamo il confronto con il retro del piatto del Victoria and Albert Museum di Londra con Venere nella fucina di Vulcano (Inv. c. 2113-1910), che mostra lo stesso motivo decorativo del retro, che del resto deriva, seppur in modo corrivo, da modalità già in voga nelle botteghe faentine del primo trentennio del secolo (si veda ad esempio la coppa del Museo del Louvre datata 1523, inv. OA7579).

Ci piace inoltre segnalare come nei volti delle due figure non sia da escludere un intervento del maestro stesso. Questo pensiero ci deriva dal confronto con due dei volti dello splendido piatto con battaglia del Victoria and Albert Museum (Inv. c. 2112-1910): il volto del cavaliere sul destriero imbizzarrito sulla sinistra del piatto ben si accosta a quello della Madonna della nostra coppa, così come quello del fante di schiena con lorica gialla sulla destra richiama il volto dell’Arcangelo Gabriele (vedi fig. 2).

Una certa rigidità nel tratto, che si avvicina alla nostra coppa, ci pare ravvisabile anche nella splendida coppa autografa del John Paul Getty Museum con San Pietro Santa Chiara e Santa Martire (C. Hess, Italian Ceramics. Catalogue of the J. Paul Getty Museum Collection, Los Angeles 2002, pp. 170-173 n. 30, databile al 1535 circa) che riproduce il gesto del dito alzato verso il cielo e costituisce una sorta di indizio stilistico per la figura dell’Arcangelo nella nostra coppa. A tal proposito Carmen Ravanelli Guidotti nel suo libro monografico su Baldassare Manara sottolinea come questo gesto sia una caratteristica disegnativa dell’artista, le cui figure “hanno mani tozze e dita descritte con tratti brevi… con l’indice verso o l’indice alzato al cielo con gesto solenne” (op. cit., p. 67 figg. 19-19d)

L’opera si potrebbe forse inserire tra le esecuzioni più mature di Baldassarre Manara, negli anni precedenti la scomparsa, che Carmen Ravanelli Guidotti ipotizza intorno al 1546/47 (in un documento datato 20 giugno 1547 la moglie è definita come “olim uxor”).

La coppa compare nel catalogo della celebre collezione Adda (vedi fig. 3), attribuita da Rackham nel 1959 a bottega faentina. Fu messa in vendita sul mercato antiquario nel 1973 come bottega di Baldassare Manara, attribuzione confermata da Bosi e Liverani nella pubblicazione dell’anno successivo.