COPPA
URBINO, NELLA CERCHIA DI FRANCESCO XANTO AVELLI, PITTORE “LU UR” (“L”), LUSTRATO A GUBBIO O A URBINO (“N”), 1535
Alt. cm 4, diam. cm 25,2, diam. piede cm 10,4
Maiolica dipinta in policromia con verde in due toni, blu di cobalto, giallo, giallo arancio, bruno di manganese; lustro oro e rubino.
Sul retro l’iscrizione delineata in nero di manganese: .1535./Bruto di porzia/Sua l’ardie ripre[n]de/L; in lustro marca N
Provenienza
Robert Bak, New York (ma non inserita nella vendita della collezione, Sotheby’s, Londra, 7 dicembre 1965);
Collezione Sprovieri, Roma;
Collezione privata, Milano
Bibliografia
J.V.G. Mallet, Xanto: i suoi compagni e seguaci, in “Francesco Xanto Avelli da Rovigo. Atti del Convegno Internazionale di Studi 1980”, Rovigo 1988, p. 76 nota 47;
T. Wilson, Il pittore di maiolica “Lu Ur”, in “Fimantiquari” 2, n. 2, 1993, fig. 9, 10;
T. Wilson, Italian Maiolica of the Renaissance, Milano 1996, pp. 227-229 n. 96
La coppa presenta corpo concavo con tesa breve che termina in un orlo sottile e arrotondato. Un basso piede, con orlo appena aggettante, sostiene la coppa. La tecnica mostra uso abbondante dello smalto e dei pigmenti: spicca il nero di manganese, il giallo arancio reso ancor più acceso da un lustro applicato a piccoli punti paralleli, il blu di cobalto anch’esso lustrato e ombreggiato con tocchi di stagno.
Una scena complessa e ricca di pathos occupa per esteso tutto lo spazio del cavetto: in una stanza chiusa con un alto camino, una finestra ornata e ambienti sottolineati da gradini, spicca sulla destra la figura di Porzia seduta su un alto scranno coperto da un baldacchino, circondata da ancelle. Ella, venuta a conoscenza del piano ordito dal marito Marco Giunio Bruto contro Giulio Cesare, avendo promesso di uccidersi qualora la cospirazione fosse fallita, per dimostrare il proprio coraggio e la fermezza del suo proposito si ferisce al piede. Dopo l’uccisione di Bruto la donna metterà poi in atto il suo proposito inghiottendo carboni ardenti. Il tema è quello della resistenza alla tirannia, a costo di perdere la propria vita pur di mantenere l’onore, episodio questo che nell’antichità fu soggetto ad alterni giudizi: Dante ad esempio giudica Porzio un traditore, Petrarca invece legge la sua figura in chiave di esaltazione della virtù contro la tirannia. A tal proposito Timothy Wilson, che ha studiato quest’opera, ricorda come Xanto Avelli e il suo petrarchismo abbiano influenzato molti artisti della sua cerchia.
Lo stile pittorico è veloce e non pare seguire pedissequamente lo spolvero delle incisioni di riferimento, traendone invece ispirazione. Si riconoscono infatti alcune figure da fonti incisorie: Bruto, tratto da una incisione con la Battaglia del coltellaccio di Marco da Ravenna (Bartsch XIV, p. 171, n. 211), qui con la testa girata nella direzione opposta (vedi fig. 1); le figure femminili liberamente tratte (vedi fig. 2) dall’incisione de La contesa tra le Muse e le Pieridi di Giangiacomo Carraglio da Rosso Fiorentino (Bartsch 28, p. 186, n. 53).
Il retro mostra un decoro alla porcellana con volute lustrato in oro organizzate attorno a sottili spirali in rosso rubino: tra queste spicca al centro la sigla “N” vicino all’iscrizione che data il piatto e descrive la scena unitamente al simbolo di firma. A tal proposito si confronti il retro del piatto pubblicato da John Mallet (Xanto. Pottery-painter, Poet, Man of the Italian Renaissance, cat. della mostra, Wallace Collection, Londra 2007, pp. 88-89), e quanto detto da C. Fiocco e G. Gherardi (La bottega di Maestro Giorgio Andreoli e il problema dei lustri a Urbino, in “Faenza” XCIII, 2007, pp. 209-306) sulla datazione delle coppe a lustro.
La tecnica e lo stile collocano l’autore a stretto contatto con Francesco Xanto Avelli e la sua sigla, che spesso compare in opere arricchite dal doppio lustro, ha comportato uno studio approfondito nel tempo fino a una sua identificazione con il pittore per convenzione denominato “Lu Ur”. John Mallet dapprima (Istoriato-painting at Pesaro: I: The Argus Painter, in “Faenza” 66, 1980, pp. 159-160, con attribuzione della sigla al pittore di Argo) riteneva che negli anni attorno al 1535 il pittore si limitasse a firmare con il simbolo di un gancio, proponendo in seguito una sovrapposizione con l’autore di opere siglate con una “L” (Xanto: i suoi compagni e seguaci, in “Francesco Xanto Avelli da Rovigo. Atti del Convegno Internazionale di Studi 1980”, Rovigo 1988, pp. 75-76). Timothy Wilson nel pubblicare quest’opera (Italian Maiolica of the Renaissance, Milano 1996, pp. 203-205 e pp. 212-214) propose una lettura del simbolo come una “L”, associandola ad alcuni esemplari di confronto anch’essi datati 1535, estendendone la lettura alla sigla “Lu Ur”.
Un’utile chiave di lettura anche per opere non siglate è costituita da una serie di piatti, tra cui uno alla Manchester City Gallery con soggetto allegorico, uno con Pico e Circe all’Ashmolean Museum di Oxford e uno con soggetto mitologico con Mercurio e Argo in collezione privata, che però non sembra avere una stretta affinità stilistica con le altre opere, tutti riprodotti da Timothy Wilson (cit. p. 228 fig. a; p. 230 fig. c e b). Tale corpus di confronti può oggi essere esteso grazie alla pubblicazione di esemplari firmati (T. Wilson, cit. pp. 212-214) o attribuiti a questo seguace dell’Avelli, anche probabilmente in collaborazione con il maestro stesso, tra i quali uno è transitato in questa stessa sede d’asta lo scorso anno (G. Anversa, Importanti maioliche rinascimentali, Firenze 2016, pp. 150-155 n. 33).
Ad una veloce analisi stilistica non possiamo che concordare con gli studiosi che hanno analizzato l’opera prima di noi, soffermandoci su alcune caratteristiche che accomunano le opere del pittore urbinate: un certo disordine nella disposizione dei personaggi, la forma degli occhi con un puntino bianco (caratteristica che si ritrova in altre opere firmate dall’autore in collaborazione con l’Avelli), una certa libertà nell’interpretare le figure di riferimento. Un esempio su tutti la coppa con L’uccisione di Oropaste re di Persia (E. Sannipoli, La via della ceramica tra Umbria e Marche: maioliche rinascimentali da collezioni, Gubbio 2010, 2.39) dove ritroviamo tratti pittorici molto simili nel modo di rendere i volti, i piedi, ma soprattutto una forte somiglianza nel personaggio a sinistra della scena con la figura di Bruto nel nostro piatto.
L’opera presenta un’abbondante lumeggiatura, tipica della bottega eugubina di Mastro Giorgio Andreoli, siglata con una “N”. Attenendoci agli studi recenti, che hanno messo in discussione la tesi che le opere databili tra il 1530 e il 1535 fossero portate a Gubbio per essere lustrate, sottolineiamo l’importanza dell’ipotesi di un’eventuale applicazione del lustro direttamente a Urbino ad opera di maestri eugubini che si spostavano secondo necessità o commissione, talvolta probabilmente per periodi assai lunghi, una pratica accertata dopo che il figlio di Giorgio Andreoli, Vincenzo, comprò la bottega di Nicola di Urbino nel 1538 aprendovi una succursale (C. Fiocco, G. Gherardi, La bottega di Maestro Giorgio Andreoli e il problema dei lustri a Urbino, in “Faenza” XCIII, 2007, pp. 299-306).