DA MERCANTE A Collezionista: CINQUANT'ANNI DI RICERCA PER UNA PRESTIGIOSA RACCOLTA

Firenze, 
mer 11 Ottobre 2017
Asta Live 220
56

Battista Lorenzi, detto Battista del Cavaliere

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Battista Lorenzi, detto Battista del Cavaliere

(Settignano, 1527 - Pisa, 1594)

UN GIOVANE ASSOPITO E UN BAGNANTE (SCENA MITOLOGICA?)

bassorilievo ‘a stiacciato’ in marmo, cm 27,3x34,5x3

 

Bibliografia di riferimento

H. Utz, Skulpturen und andere Arbeiten des Battista Lorenzi, in “Metropolitan Museum Journal”, 7, 1973, pp. 37-70

 

Concepito e finemente intagliato come un’antica gemma o un prezioso cammeo, tanto da richiedere un apprezzamento tattile - proprio come suggeriva la trattatistica rinascimentale per simili rilievi ‘a stiacciato’ -, questo squisito medaglione ovale marmoreo di piccole dimensioni era certamente destinato all’arredo di uno studiolo o di un camerino, dove, in compagnia di ‘anticaglie’ e altre memorie di gusto archeologico, il suo seducente soggetto profano poteva evocare la bellezza e la libertà arcadica del mito e della letteratura greco-romana, sollecitando, con una iconografia sfuggente e forse criptica, un’esegesi interpretativa erudita. L’immagine in primo piano dell’avvenente giovanetto ignudo, mollemente assopito all’ombra di un alberello, con accanto un fedele cagnolino, sulla ripa di uno specchio d’acqua dove sullo sfondo compare un bagnante intento a detergersi le gambe, può infatti ricordare numerosi personaggi ben noti della mitologia greca, ma sembra sottrarsi a una identificazione esaustiva e convincente: Endimione sprofondato nel suo sonno di eterna giovinezza, il superbo Narciso insensibile alle attenzioni di molti giovani, Ermafrodito sulle rive del lago ove fu visto dalla ninfa Salmace, o anche, per la posizione adagiata, Adone e Giacinto.

I riferimenti all’antico riguardano anche gli aspetti formali, in quanto le due figure si collegano a modelli ben noti diffusi attraverso la glittica o i sarcofagi romani - divinità fluviali, naiadi, Diomede col Palladio, etc. -, ma rivisitati accentuandone la complessità posturale con un virtuosismo che presuppone un attento studio dei nudi di Michelangelo dipinti nella volta della Cappella Sistina in Vaticano (1508-12) o disegnati nel perduto cartone della Battaglia di Cascina che avrebbe dovuto affrescare nel Palazzo della Signoria a Firenze (1505-6), cui attinsero, come è noto, innumerevoli artisti, primo tra i quali lo scultore Baccio Bandinelli.  D’altra parte l’anatomia tersa e l’assottigliato allungamento proporzionale del nudo in primo piano, rivelano un’adesione ai moduli del manierismo di metà Cinquecento, forse attraverso un aggiornamento sull’esperienza del Cellini, richiamando la Ninfa eseguita nel 1542 per Fontainebleau (Parigi, Musée du Louvre), o, nella posa languida con la mano sopra la testa reclinata, il Narciso scolpito intorno al 1560, rimasto nella bottega celliniana fino alla morte del maestro (1571) e poi confluito nei giardini medicei (Firenze, Museo Nazionale del Bargello). Rammentano qui il Cellini persino la cornicetta modanata e l’ovato compresso del medaglione, identico a quello del rilievo in bronzo raffigurante un Levriero acquisito nel 1545 dal duca Cosimo I dei Medici (anch’esso al Bargello); mentre l’articolazione della figura principale è praticamente sovrapponibile alla Venere dipinta dal Bronzino nel 1553 per Alamanno Salviati (Roma, Galleria Colonna).

Tali coordinate culturali orientano dunque la paternità del marmo in esame verso Battista Lorenzi (Giovanni Battista di Domenico Lorenzi), detto Battista del Cavaliere proprio in ragione del suo discepolato nella bottega del cavalier Bandinelli, artista particolarmente legato alle memorie michelangiolesche, avendo scolpito nello studio ch’era stato del Buonarroti la statua destinata al monumento funebre in Santa Croce (1564-72), dal 1560 in strettissimi rapporti col Cellini, al punto da subentrare nel 1571 nella sua bottega, e da quel momento privilegiato dalla prestigiosa committenza del figlio di Alamanno Salviati, Jacopo, per il quale fu impegnato anche come restauratore di marmi antichi (Utz, op. cit.; A. Fazzini, Collezionismo privato nella Firenze del Cinquecento. L’"appartamento nuovo" di Jacopo di Alamanno Salviati, in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia”, 1, 1993, pp. 191-224).

Per quanto sia difficile, tra le opere di tipo prevalentemente statuario ascritte oggi al Lorenzi, trovare riscontri tipologici per il nostro rilievo, non mancano le conferme stilistiche a una tale proposta: ad esempio, nella sintesi levigata degli incarnati e soprattutto nella peculiare conformazione tondeggiante della testa del nudo disteso, caratterizzata dal naso appuntito e da una capigliatura a caschetto con le ciocche proiettate in avanti, che ben si confronta con quella di Alfeo nel gruppo scolpito intorno al 1568 per la Villa il Paradiso di Alamanno Bandini (New York, Metropolitan Museum of Art). L’opera che qui si presenta induce dunque ad approfondire la conoscenza dei marmi da studiolo e della produzione profana di piccolo formato del Lorenzi, ad oggi attestata quasi solo da una Venere al bagno di collezione privata che ben dialoga con i nostri bagnanti (C. Pizzorusso, in Schede fiorentine e una scultura di Girolamo Campagna, a cura di M. Vezzosi, Firenze 2001, pp. 8-13 n. 1): una produzione verosimilmente assimilabile ai sensuali rilievi di soggetto mitologico di Francesco Mosca, detto il Moschino, a lungo attivo, fino alla morte nel 1578, nel cantiere del Duomo di Pisa, quello stesso in cui trascorse l’ultimo decennio della sua vita Battista Lorenzi.

G.G.