Giovanni Bonazza
(Venezia 1654 - Padova 1736)
VENERE O NINFA
marmo, cm 80x28x20
Nella sterminata produzione degli scultori veneti di età barocca, i marmi destinati al collezionismo privato, pensati per essere esposti in un interno invece che per ornare gli innumerevoli giardini delle ville dell’entroterra, non sono certo numerosissimi. Se si escludono infatti i busti e i bassorilievi, generi al contrario assai frequentati dagli scultori attivi nella Serenissima tra Sei e Settecento (1), le statue al naturale, o anche più piccole del naturale (come è il caso di questo marmo, impossibile da pensare in un esterno), che possiamo indicare come ‘da galleria’, sono assai rare. Questo splendido nudo di figura femminile è quindi un pezzo della massima importanza: il suo riferimento all’ambito veneto è stato subito riconosciuto da Massimo De Grassi, che ha pubblicato la statua nel 2006 con un riferimento a Pietro Baratta (Carrara 1668 - 1729) (2). Lo studioso identificava la figura con una ninfa, in ragione dell’assenza degli attributi classici di Venere (il figlio Eros, il delfino, la conchiglia, e si potrebbe aggiungere anche la mela assegnata alla dea da Paride), ed è vero che la donna non compie neanche il gesto classico della Venus pudica. Non si può però escludere quella che sarebbe la lectio facilior, ovvero l’identificazione del bellissimo nudo con una Venere: in fondo uno dei modelli antichi che godettero di maggiore prestigio nel Rinascimento, una Venere dei Musei Vaticani già nel Cortile del Belvedere, non era caratterizzata da nessuno degli attributi di cui sopra (3), ed aveva accanto quel medesimo tronco d’albero che ha suggerito a De Grassi l’ipotesi che nel presente marmo sia raffigurata una ninfa dei boschi. E d’altronde nello Statuario di Venezia era, tra le altre, una “Statua di donna mezzoignuda: ha la sinistra mano al petto, e con la destra sostiene un drappo, che la ricuopre dal mezzo in giù,” (4) priva dei canonici attributi della dea. Ad ogni modo, se davvero qui venne raffigurata Venere, non potrebbe non sorprendere la grande libertà iconografica e compositiva di cui avrebbe fatto mostra l’autore. Non si può escludere la possibilità, inoltre, che questa figura facesse inizialmente parte di un gruppo narrativo a tutto tondo: a questo proposito è opportuno ricordare, ad esempio, come Domenico Maria Federici ricordasse a Treviso, opera di Giovanni Marchiori (Caviola di Falcade, Belluno, 1696 – Treviso 1778), “Quattro statue di marmo di p. 3, e mezzo, che mostrano il Giudizio di Paride nella sala del Marchese Sugana” (il Paride, non ricollegato a questa notizia, è stato reso noto da Massimo De Grassi) (5).
L’identificazione dell’autore del marmo qui presentato con Pietro Baratta non è del tutto convincente. Lo scultore carrarino mantenne sempre, per tutta la sua carriera, tracce della sua prima formazione toscana (solo quando aveva venticinque anni, nel 1693, egli era passato a lavorare in laguna), ed il suo linguaggio, al confronto con quello degli esponenti più tipici del Barocco veneto, sembra sempre più ‘disegnato’, meno pittorico. La pastosità dei capelli di questa Venere (o Ninfa) trova invece precisi termini di confronto con l’opera di uno dei più prolifici e notevoli scultori di quella stagione artistica, ovvero Giovanni Bonazza. In particolare, il contrasto tra la materia quasi ruvida dei capelli e la superficie lustratissima del nudo femminile, che anche per il suo eccezionale stato di conservazione denuncia immediatamente di non essere mai stato esposto agli agenti atmosferici, può far tornare alla mente gli Angeli passati sul mercato antiquario di Madrid e pubblicati nel 2010 da Simone Guerriero (6). Anche l’espressione del volto, a cui la bocca appena socchiusa conferisce una nota di straordinaria vivacità, è tutta nelle corde di Bonazza, si pensi alla Fede dell’altare maggiore di Santa Maria degli Angeli a Murano, giustamente riferita allo scultore sempre da Guerriero (7). Nella sua produzione più tipica Bonazza spesso calcò il piede sul pedale del grottesco, storpiando quasi le espressioni delle sue figure, soprattutto nel caso delle straordinarie serie dei medaglioni in bassorilievo con personaggi storici del passato (8), ed una cifra caratteristica del suo stile sono gli occhi, mai semplici ovali come nel caso di questa Venere/Ninfa. In opere riconducibili alla sua giovinezza, come l’Annunciazione firmata oggi nella chiesa di San Matteo a Dobrota, presso le Bocche di Cattaro (1679 circa) (9), Bonazza non aveva ancora portato alle estreme conseguenze quel suo linguaggio capriccioso, quasi anticlassico, di cui pure si indovinano le premesse, come d’altronde in questo marmo da galleria. I panneggi, come noto, sono sempre uno degli elementi che più aiuta a suggerire un inquadramento stilistico per marmi ancora anonimi, ma in questa statua è possibile interrogare solo un brano di piccole dimensioni. Si tratta peraltro di un passaggio, il panno che la donna tiene con le due mani e con il quale si appresta ad asciugarsi, di grande squisitezza tecnica, nel quale l’autore non si esibisce in un tour de force di virtuosismo tecnico, cercando al contrario di rendere al meglio la naturalezza delle pieghe. Anche in questo caso sono possibili confronti precisi con l’opera di Bonazza, dalla veste del San Filippo Benizzi nell’altare dell’Addolorata ai Servi di Padova (1703-1710) (10), o con la Madonna con il Bambino oggi a Stra (villa Pisani), ma proveniente dalla chiesa di San Geminiano a Venezia (11).
Non è un caso, in fondo, che del maestro veneto siano note oggi almeno due piccole sculture di soggetto profano destinate al collezionismo privato, la Venere e Amore del Museo di Amburgo e la Ninfa del Dallas Museum of Art (12). Entrambi i pezzi sono caratterizzati da quel medesimo contrasto fra la pastosità di capelli, onde e panneggi, e la squisita “modellazione dei levigati, sensuali corpi eburnei.” (13) I marmi di Amburgo e Dallas appartengono a quella categoria di sculture reclinate che ebbero notevole fortuna nella Venezia di fine Sei e inizio Settecento (allo stesso Bonazza si deve una bellissima Maddalena penitente dei Musei Civici di Padova): come è noto i Manin, nel loro palazzo di Rialto a Venezia, avevano allestito una “camera delle sculture moderne distese”, dove era anche una Galatea di Pietro Baratta, identificata da Monica De Vincenti con l’omonima scultura oggi al Victoria and Albert Museum di Londra, dove è accanto ad un’altra figura reclinata di provenienza Manin, il Bacco di Antonio Tarsia (allo stesso gruppo appartenevano il Narciso del Torretti e una Venere di Mazza) (14). Tra le rarissime figure in piedi, più piccole del naturale, riconducibili alla scultura barocca veneta da galleria, si deve infine ricordare la Venere sempre di Tarsia passata sul mercato antiquario (56 cm.), lontanissima da questa qui presentata (15).
Anche per Pietro il Grande, che fu come noto uno dei maggiori committenti per gli scultori veneti attivi all’inizio del Settecento, furono realizzate statue di dimensioni minori del naturale: sebbene siano noti soprattutto i marmi destinati al Giardino d’Estate di San Pietroburgo, è opportuno ricordare come il grande successo internazionale della statuaria monumentale da giardino veneta stimolò anche la produzione di pezzi di diverso formato (16). Tra i pezzi che lo stesso Bonazza eseguì per lo zar è opportuno ricordare soprattutto la Sibilla delfica, datata e firmata 1719, che per l’espressione degli occhi e la naturalezza della postura, ha più di un punto di contatto con il marmo qui presentato (17).
A.B.
1 Simone Guerriero, Le alterne fortune dei marmi: busti, teste di carattere e altre "scolture moderne" nelle collezioni veneziane tra Sei e Settecento, in La scultura veneta del Sei e Settecento: nuovi studi, a cura di Giuseppe Pavanello, Venezia 2002, pp. 73-149.
2 Massimo De Grassi, Una Ninfa al bagno di Pietro Baratta “Scultore della Moscovia”, Padova 2006.
3 Francis Haskell, Nicholas Penny, Taste and the antique: the lure of classical sculpture 1500 – 1900, New Haven 1981, pp. 330-331, cat. 90.
4 Descrizione delle Statue, de’ Busti, e d’altri Marmi antichi dell’Antisala della Liberia Publica, Venezia 1736, citato in Marilyn Perry, The “Statuario Pubblico” of the Venetian Republic, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 8, 1972, p. 142, n. 138. Cfr. anche Massimo De Grassi, L’ antico nella scultura veneziana del Settecento, in Antonio Canova e il suo ambiente artistico fra Venezia, Roma e Parigi, A cura di Giuseppe Pavanello, Venezia 2000, p. 40.
5 Domenico Maria Federici nelle sue Memorie trevigiane sulle opere di disegno, Venezia 1803, p. 136; De Grassi, L’antico nella scultura cit., p. 52.
6 Simone Guerriero, La prima attività di Giovanni Bonazza, in “Arte veneta”, LXVII, 2010, pp. 79-81.
7 Guerriero, La prima attività cit., p. 87 e 100, fig. 45.
8 Su questi pezzi (se ne conservano numerosi nel Museo Civico di Padova, cfr. Monica De Vincenti, schede in Dal Medioevo a Canova: sculture dei Musei Civici di Padova dal Trecento all'Ottocento, a cura di Davide Banzato, Venezia 200, pp. 169-192, catt. 97-172) cfr. da ultimo Gábor Tokai, A portrait relief series by Giovanni Bonazza and his workshop, in “Bulletin du Musée Hongrois des Beaux-Arts”, CXX/CXXI; 2015/2016, pp. 135-145.
9 Guerriero, La prima attività cit., pp. 73-75; Damir Tulić, Le opere dei Bonazza sulla costa orientale dell’Adriatico, in Antonio Bonazza e la scultura veneta del Settecento, atti della giornata di studi (Padova, Museo Diocesano, 25 ottobre 2013) a cura Carlo Cavalli e Andrea Nante, pp. 43-44.
10 Egidio Arlango, Monica Pregnolato, L’altare dll’Addolorata nella chiesa padovana dei Servi: lettura tecnica e materica di una “straordinaria invenzione”, in Antonio Bonazza cit., p. 193, fig. 8.
11 Andrea Bacchi (con la collaborazione di Susanna Zanuso), La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, Milano 2000, p. 703, tav. 268.
12 Simone Guerriero, Un “Venere e Amore” di Giovanni Bonazza ad Amburgo, in “Arte Veneta”, LXX, 2013, pp. 202-205; Olivier Meslay, Une "Nymphe allongée" par Giovanni Bonazza dans les collections du Dallas Museum of Art, in Arte Veneta”, LXX, 2013, pp. 206-207.
13 Guerriero,Una “Venere e Amore” di Giovanni Bonazza cit., p. 202.
14 Monica De Vincenti, Antonio Tarsia (1662 – 1739), in “Venezia Arti”, X, 1996, pp. 52 e 56; Martina Frank, Virtù e fortuna: il mecenatismo e le committenze artistiche della famiglia Manin tra Friuli e Venezia nel XVII e XVIII secolo, Venezia 1996,p. 69; De Grassi, Una Ninfa cit.
15 Monica De Vincenti, “Piacere ai dotti e ai migliori”: scultori classicisti del primo ’700, in La scultura veneta del Seicento cit., p. 235.
16 Sergej O. Androsov, Le sculture di piccole dimensioni nella collezione di Pietro il Grande, in Francesco Robba and the Venetian sculpture of the eighteenth century, a cura di Janez Höfler, Ljubljana 2000, pp. 73-79.
17 Sergej O. Androsov, Pietro il Grande, collezionista d’arte veneta, Venezia 1999, p. 215, cat. 33.