DA MERCANTE A Collezionista: CINQUANT'ANNI DI RICERCA PER UNA PRESTIGIOSA RACCOLTA

Firenze, 
mer 11 Ottobre 2017
Asta Live 220
85

Giuseppe Piamontini

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Giuseppe Piamontini

(Firenze 1663 - 1744)

DOVIZIA

terracotta, cm 44x18x21

 

Bibliografia

S. Bellesi, Pittura e Scultura a Firenze (Secoli XVI-XIX), Firenze 2017

 

L’opera, in buono stato di conservazione, presenta un’avvenente giovinetta dai lineamenti perfetti, mirabilmente incorniciati da una fluente chioma ondulata raccolta dietro la nuca e ruscellante in morbide ciocche cadenti sulla spalla sinistra, rivestita da un vaporoso abito ricco di pieghe ampie e vibranti. La presenza di una cornucopia tra le braccia della donna consente di qualificare questa come personificazione simbolica della Dovizia o Abbondanza, allegoria associata, per lo più, alla Pace, alla Giustizia e al Buon Governo. Attributo ricorrente in varie raffigurazioni allegoriche, la cornucopia, unico elemento simbolico presente nella statua, risultava relazionata, per tradizione, al corno di Amaltea, capra mitologica che nutrì il piccolo Giove, o a quello di Acheloo, dio fluviale il cui corno posizionato sulla sua fronte fu acquisito da Ercole durante un combattimento. La presenza di frutti all’interno della cornucopia, che potrebbe qualificare la giovane donna come Cerere, allude, ovviamente, alla ricchezza e alla prosperità della terra, dispensatrici di benessere per tutti gli esseri umani. Come ricorda Cesare Ripa nella sua Iconologia, la Dovizia o Abbondanza veniva descritta comunemente come donna «bella & gratiosa (…così) come cosa buona & desiderata da ciascheduno, quanto brutta & abominevole è riputata la carestia, che di quella è contraria» (C. Ripa, Iconologia, Padova, 1618, ed. Milano, 1992, p. 3).

In base ai caratteri stilistici ed esecutivi è possibile ascrivere l’opera, finora inedita, al catalogo autografo di Giuseppe Piamontini, figura di primissimo piano nel pantheon artistico fiorentino in età tardo-barocca.

Nato nel capoluogo toscano nel 1663, Piamontini, dopo una prima formazione locale nella scuola di Giovan Battista Foggini, ebbe agio di completare i suoi studi a Roma, dove, documentato dal 1681 al 1686, frequentò l’Accademia Medicea, istituto educativo per i giovani artisti di talento fondato nel 1673 dal granduca Cosimo III. Al rientro in Toscana, lo scultore dette inizio a una serrata attività in proprio che lo portò, entro breve tempo, a raggiungere significativi traguardi professionali, documentati, in base alle opere oggi note e ai referti archivistici, dalle numerose commissione legate alle famiglie nobili più in vista e ai più rinomati edifici ecclesiastici cittadini. Protetto dal gran principe Ferdinando de’ Medici, per il quale realizzò nel corso del tempo alcune delle sue statue più acclamate in bronzo e in marmo, l’artista fu autore di opere di squisita fattura, oscillanti stilisticamente tra la grazia e l’armonia delle composizioni locali di matrice fogginiana, gli echi della corrente classicista romana post-algardiana e i richiami alla nouvelle vague francese. Figura chiave per l’evoluzione della scultura toscana tra Sei e Settecento, l’artista morì al culmine della sua fama a Firenze nel 1744. Per commemorare degnamente lo scultore fu eretto, in seguito al suo decesso, un monumento funebre nella chiesa di San Felice in Piazza, che, tuttora esistente, fu corredato da un busto marmoreo con l’effigie di questi scolpito dal figlio Giovan Battista, erede della sua bottega (per l’artista si veda soprattutto S. Bellesi, I marmi di Giuseppe Piamontini, Firenze, 2007; con bibliografia precedente).

L’attenta lettura dell’opera, che costituisce con probabilità il modello preliminare per una statua di grande formato nata per essere addossata a una parete come indicano l’incavo e la mancanza di rifiniture nella parte tergale, mostra caratteri tipologici e stilistici tipici del primo tempo dell’attività dell’artista. Deferente strettamente ai modelli muliebri romani di Ercole Ferrata, maestro di Piamontini durante la permanenza di questi nella Città Eterna, la statuetta presenta, a un’analisi lessicale circostanziata, un linguaggio elegante e ricco di raffinato eclettico, perfettamente in linea con i nuovi orientamenti scultorei toscani in età tardo-barocca.

Collocabile sulla scia di alcune delle figure muliebri più note e affascinanti del catalogo ferratiano, tra le quali appare sufficiente menzionare per maggiori affinità fisionomiche e per la resa vaporosa dei panneggi la Sant’ Agnese e la Sant’Emerenziana in Sant’Agnese in Agone a Roma (per le immagini di queste sculture si veda ad esempio Scultura del Seicento a Roma, a cura di A. Bacchi, Milano, 1996, figg. 373-375), la statua, databile con probabilità tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del Seicento, denota nella resa descrittiva della figura e nella sua sintassi formale analogie stringenti, come sopra indicato, con opere documentate al primo tempo di attività di Piamontini, spesso legate a Casa Medici. Collocabile sulla scia di opere come i Busti femminili in marmo in palazzo Pitti, la Diana in collezione privata e, ancora, la Fortuna Nautica nella cappella Feroni alla Santissima Annunziata a Firenze (per queste sculture si veda S. Bellesi, I marmi di Giuseppe Piamontini, cit., pp. 21-28), la terracotta in esame, nella quale non appaiono immuni analogie con immagini muliebri eseguite da scultori fiorentini coevi e compagni di studio di Piamontini come Anton Francesco Andreozzi e Isidoro Franchi, è da porre in relazione, per la particolarità del soggetto, con la più tarda statua in pietra, raffigurante anch’essa la Dovizia, eseguita nel 1721 da Giovan Battista Foggini per Piazza del Mercato Vecchio, oggi conservata nella sede centrale della Cassa di Risparmio di Firenze presso palazzo Pucci (Repertorio della Scultura Fiorentina del Seicento e Settecento, a cura di G. Pratesi con il coordinamento scientifico di U. Schlegel e S. Bellesi, 3 voll., Torino, 1993, II, fig.152).

Sandro Bellesi