Vincenzo Meucci
(Firenze, 1694-1766)
VENERE E ADONE
1721
olio su tela originale, cm 268x178
firmato e datato sul retro della tela “VIN:IO MEUCCI/f: /1721”
Opera per cui è in corso il procedimento di dichiarazione di interesse culturale da parte della Soprintendenza di Genova
Esposizioni
Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze. Firenze, Galleria degli Uffizi, 30 maggio – 30 settembre 2009, n. 37
Bibliografia
Un capolavoro della pittura fiorentina. Venere e Adone di Vincenzo Meucci, a cura di Massimo Vezzosi, Testo critico di Carlotta Lenzi Iacomelli, Firenze 2003;
S. Casciu, in La principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice palatina. Catalogo della mostra, Firenze 2006, p. 379;
C. Lenzi Iacomelli, in Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze. Catalogo della mostra, Firenze 2009, pp. 142-43, n. 37;
S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del 600 e 700, Firenze 2009, I, p. 201 e tav. XCIV;
C. Lenzi Jacomelli, Vincenzo Meucci: (1694-1766), Firenze 2014, p. 173, scheda I, (tav. I, p. 113)
Rara opera su tela di Vincenzo Meucci, prevalentemente attivo come frescante nei palazzi e nelle chiese di Firenze e della Toscana, il dipinto qui offerto costituisce altresì il numero di più antica data del suo ormai nutrito catalogo, ed offre quindi un importante riferimento per l’attività giovanile dell’artista fiorentino.
È stato autorevolmente supposto che l’opera, priva di provenienza documentata, sia identificabile con il “quadro grande” di Vincenzo Meucci prestato nel 1724 alla mostra dell’Accademia del Disegno dal marchese Giovanni Battista Bartolini Salimbeni, ricordato dalle fonti biografiche come protettore dell’artista. Fu infatti grazie alla protezione accordatagli dal marchese Salimbeni che Meucci poté seguire a Piacenza il suo primo maestro, Sebastiano Galeotti, trasferitosi alla corte farnesiana nel 1710, e da lì passare a Bologna per completare la propria formazione alla scuola di Gioseffo Dal Sole, che secondo le fonti Meucci avrebbe frequentato per otto anni prima della morte del maestro nel 1719.
Il dipinto qui offerto potrebbe in effetti far parte delle opere che, secondo le fonti, il giovane artista avrebbe inviato da Bologna al suo protettore per aggiornarlo sui propri progressi. Solo nel 1724, infatti, Meucci fece ritorno a Firenze, iscrivendosi nel gennaio successivo all’Accademia del Disegno e dando inizio alla sua fortunata carriera di frescante, con rare incursioni nella pittura a olio. Tra queste, la Maddalena penitente dipinta nel 1727 su commissione dell’Elettrice palatina e destinata al conservatorio “La Quiete”, recentemente identificata, è senza dubbio l’opera stilisticamente più vicina al nostro dipinto nel comune riferimento alla lezione bolognese. Raffinato negli accordi cromatici, particolarmente studiati nel sapiente contrasto tra gli incarnati luminosi delle figure femminili e il blu intenso del panneggio che appena cela, esaltandole, le grazie della dea, il nostro dipinto mostra come Vincenzo Meucci si muovesse su un registro classicheggiante relativamente inusuale nella Firenze del terzo decennio del Settecento, e in qualche modo in anticipo anche sugli esiti della scuola romana intorno alla metà del secolo.