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Francesco Montelatici, detto Cecco Bravo
(Firenze, 1601 - Innsbruck, 1661)
ARMIDA
olio su tela, cm 127,5x82
Provenienza
Collezione privata
Esposizioni
Il Seicento Fiorentino, Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III, Firenze, Palazzo Strozzi, 21 dicembre 1986 – 4 maggio 1987;
Cecco Bravo pittore senza regola, Firenze, Museo di Casa Buonarroti, 22 giugno 1999 – 30 settembre 1999
Bibliografia
Il Seicento Fiorentino, Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III, Pittura, I, Firenze 1986, pp. 370-371, scheda 1.198 di Anna Barsanti.Il Seicento Fiorentino, Arte a Firenze da Ferdinando I a Cosimo III, Biografie, III, Firenze 1986, pp. 48-51, biografia a cura di Anna BarsantiA. Barsanti, Cecco Bravo pittore senza regola. Firenze 1601 - Innsbruck 1661, Milano, 1999, pp. 100-101, scheda 30; riprodotto anche in copertinaS. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del ’600 e ’700: biografie e opere, Firenze, 2009, I, tav. 33 riprodotto a colori; p. 204
Più volte commentata nella letteratura su Cecco Bravo, la nostra Armida, la celebre maga della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, presenta elementi tipici delle opere più tarde dell’artista che dimostrano una conoscenza diretta della pittura veneta e di Tiziano; infatti è caratterizzata da una pennellata sfaldata e morbida che accentua l’atmosfera misteriosa e onirica della scena. Anche lo schema compositivo del quadro è quello già collaudato da Cecco Bravo per le opere da cavalletto, ovvero la rappresentazione di figure in un proscenio ristretto, stagliate su fondi mossi ma senza una reale tridimensionalità, suggerita soltanto dai passaggi di colore. Armida ci appare temibile, accompagnata da una schiera di creature infernali da lei evocate (serpenti, draghi, aquile rapaci) a indicarne lo stato d’animo furioso. Essa è stata infatti abbandonata dall’amato Rinaldo e medita vendetta, come leggiamo nel canto XVI, ottava LXVIII, della Gerusalemme di Tasso:
“Giunta a gli alberghi suoi chiamò trecento,con lingua orrenda deità d'Averno.S'empie il ciel d'atre nubi, e in un momento impallidisce il gran pianeta eterno,e soffia e scote i gioghi alpestri il vento.Ecco già sotto i piè mugghiar l’inferno:quanto gira il palagio udresti iratisibili ed urli e fremiti e latrati.”
La bellezza della maga, circondata da una veste trasparente che ne rende la piena sensualità, è arricchita dai nastri purpurei tra i capelli e dai gioielli, bagliori di perla che le adornano il collo e l’orecchio. È un incanto delicato quello del volto di Armida in contrasto si direbbe con le sue spaventose passioni e con le creature demoniache che la accompagnano, i cui occhi allucinati e fiammeggianti sembrano riecheggiare nella spilla circolare che le ferma il mantello blu.Cecco Bravo è stato uno degli artisti più importanti e significativi della prima metà del Seicento fiorentino. Da Baldinucci ([1681-1728], IV, p. 311) si apprende che il tirocinio del pittore avvenne sotto la guida di Giovanni Bilivert, pittore di corte del granduca Cosimo II de’ Medici. L’alunnato presso Bilivert dovette rivelarsi ricco di stimoli, dato che la sua bottega si trovava in alcune stanze della Galleria degli Uffizi, permettendogli così di studiare e copiare direttamente capolavori antichi e moderni.Determinante è stata la collaborazione con Matteo Rosselli che ottenne alcune prestigiose committenze pittoriche da parte della famiglia ducale offrendo a Montelatici la possibilità di cimentarsi con la tecnica ad affresco, inusuale nella bottega di Bilivert.Rosselli realizzò infatti la decorazione delle stanze del casino di San Marco, tra il 1623 e il 1624 per il cardinale Carlo de’ Medici e, insieme ai medesimi aiuti, gli affreschi delle quattro sale al pianterreno della villa di Poggio Imperiale su committenza di Maria Maddalena d’Austria vedova di Cosimo II. Nonostante sia ancora in dubbio la partecipazione di Montelatici alla decorazione del casino, la storiografia concorda nel ricavare un suo intervento nel secondo cantiere, assegnandogli la lunetta con la Profetessa Maria ringrazia il Signore dopo il passaggio del Mar Rosso, nella stanza delle Eroine bibliche (Barsanti, 1986, III, p. 49), dove già si preannuncia quell’inclinazione, così caratteristica dell’intero percorso dell’artista, a recepire le suggestioni più eccentriche e libere della pittura contemporanea fiorentina, in particolare di Domenico Pugliani e Giovanni da San Giovanni. Spirito bizzarro, Cecco Bravo si accostò anche all'ambiente artistico veneto, in particolare a pittori quali Sebastiano Mazzoni e Domenico Fetti. L’attività autonoma del pittore si registra dal 1624, come si ricava da alcune citazioni del tribunale dell’Accademia del Disegno, nelle quali comincia a essere menzionato come Cecco Bravo. Di tale istituzione divenne accademico nel 1637 e ne rimase membro fino al 1659, poco prima della sua partenza per Innsbruck presso la corte dell’arciduca Ferdinando Carlo d’Austria e di Anna de’ Medici, conti del Tirolo.Tra le sue opere più famose si ricordano gli affreschi della parete settentrionale nel salone degli Argenti, al piano terreno di palazzo Pitti. Gli affreschi, realizzati in occasione del matrimonio tra Ferdinando II de’ Medici e Vittoria della Rovere, sono stati completati tra 1638-1639 e raffigurano Lorenzo il Magnifico porta la pace e Lorenzo il Magnifico accoglie Apollo e le Muse. Essi dimostrano una pittura dai cromatismi fluidi e trasparenti derivati da Pietro da Cortona, che aveva da poco completato gli affreschi nella stanza della Stufa sempre a Pitti.Dopo il 1650 la pittura di Montelatici si orientò verso una maggiore inquietudine formale, dominata da tonalità cupe, volta verso la smaterializzazione dello spazio, definito piuttosto da pennellate sempre più sfumate in corrispondenza dello sfondo.