(Legatura – Illustrati 700) Missale romanum ex decreto sacrosancti Concilii tridentini restitutum. Venetiis, Sumptibus Pauli Balleonii, 1702.
In folio (320 x 230 mm). 460 lxxx pp. Frontespizio e testo su due colonne stampati in rosso e nero, con iniziali e fregi xilografici. Vignetta al frontespizio e 3 tavole calcografiche, tutte incise da Suor Isabella Piccini. Legatura coeva in velluto cremisi riccamente decorata in argento, tagli dorati e goffrati, 6 segnacoli in seta verde tenuti assieme da fermaglio in argento. Strappo alla carta D4, qualche traccia del tempo, ma nel complesso copia bellissima su carta forte.
SPLENDIDO MESSALE D’INIZIO ‘700, IN SONTUOSA LEGATURA COEVA IN VELLUTO E ARGENTO. I due piatti recano al centro grandi placche ovali in argento sbalzato che raffigurano San Francesco (piatto anteriore) e Sant’Antonio (piatto posteriore), incorniciate da ghirlanda floreale. La medesima decorazione è ripresa ai cantonali ed ai fermagli. Altre decorazioni in argento lungo i bordi dei piatti.
Le 4 calcografie presenti all’interno del volume furono incise da “Elisabetta Piccini, o meglio suor Isabella Piccini, una delle rare e assai poco conosciute donne incisore. Nasce nel 1644 a Venezia da una famiglia di incisori veneziani. Suo padre Jacopo Piccini (attivo fino al 1669) e suo zio Guglielmo riproducono su rame i quadri di Tiziano e di Rubens, ma lavorano anche come illustratori per tipografi ed editori. Dunque sin da piccola Elisabetta vede lastre di rame e bulini, inchiostri e libri illustrati. Il padre la educa alla pratica del disegno e del bulino, che richiede una certa forza. Elisabetta impara ad incidere in maniera profonda la lastra, cosa che consente ai tipografi di “tirare” un numero significativo di stampe; per questo motivo, e per il compenso davvero modesto, le sue incisioni sono molto richieste. È un’adolescente quando il padre viene a mancare. Ma ha un “mestiere”, tanto che il 20 novembre 1663, a soli 19 anni, è già imprenditrice di sé stessa: Elisabetta presenta al Doge la domanda per l’autorizzazione in esclusiva alla stampa di alcuni soggetti da lei incisi dopo la morte del padre ed il Senato le accorda tale Privilegio. Ma per una fanciulla, seppur forte della sua competenza ma certamente non abbiente, la scelta del convento è più o meno obbligata. Così nel 1666, poco più che ventenne, entra nel convento francescano di Santa Croce in Venezia e cambia il suo nome in suor Isabella. Entrare in convento significa per Isabella poter esercitare la sua arte in tutta tranquillità e in un ambiente, per così dire, protetto. La sua attività, che l’accompagnerà per tutta la vita, è intensa, feconda, vitale: suor Isabella fornisce opere ai più conosciuti editori veneziani. Riesce a stento a far fronte alle commissioni dei tipografi liturgici e dei librai – per citarne qualcuno: a Venezia Bartoli, a Padova la Tipografia del Seminario, a Brescia Gromi e a Bassano i Remondini, con i quali avrà una relazione d’affari di oltre quarant’anni ed un intenso epistolario. Sono talmente tante le richieste che riceve, che «potea darne dugento annui ducati al monastero per andarne esente da ogni officio» (Moschini 1924, p. 50). […] La sua produzione è legata soprattutto alla illustrazione di testi sacri, messali, libri di preghiere, breviari, biografie di Santi, ma anche ritratti, stampe divulgative di genere profano, soggetti allegorici ed illustrazioni di manuali. I suoi lavori sono apprezzati dagli editori e molto richiesti dal pubblico, che ama quelle rappresentazioni religiose dal sapore semplice e sincero. […] Suor Isabella muore in povertà la sera del 29 aprile 1734, a 90 anni.” (enciclopediadelledonne.it)