Capolavori da collezioni italiane

Firenze, 
mer 31 Ottobre 2018
Asta Live 272
3

COPPA

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COPPA

URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DURANTINO, FIRMATO CON MONOGRAMMA AM, F.S., GIÀ BOTTEGA DI FRANCESCO DE SILVANO (?), 1542

Alt cm 6,2; diam. cm 27; diam. piede cm 13,8

Maiolica decorata in policromia con giallo, giallo-arancio, blu, turchino, verde, bruno di manganese e bianco.

Sul fronte sotto la zampa del leone la sigla: monogramma AM sormontato da asterisco e che comprende le iniziali F.S.

Sul retro al centro del piede iscrizione dipinta in blu “1542 / Come San.ierronimo Cava. La / spina dalla zampa. al lione / Urbino. 

Sul retro etichetta a stampa della Galleria Pesaro di Milano con n. 237 ed etichetta Ufficio Esportazione.

 

Provenienza 

Torino, collezione Marchese D’Azeglio;

Milano, collezione A. Chiesa;

Milano, collezioni Agosti e Mendoza (vendita Galleria Pesaro, 1936, lotto 237);

Milano, collezione A. Rivolta;

Milano, Palazzo Ferrajoli (vendita Sotheby’s, 4 dicembre 1996, lotto 721);

Milano, collezione privata

 

Bibliografia 

W. Chaffers, The Collector's Hand Book of Marks and Monograms on Pottery & Porcelain of the Renaissance and Modern Periods, Londra 1906 (seconda edizione), p. 66;

L. De Mauri, L'amatore di maioliche e porcellane, Milano 1924 (terza edizione), p. 729 (il monogramma);

G. Botta, Le collezioni Agosti e Mendoza, Galleria Pesaro, Milano dicembre 1936, tav. XCIV, cat. 237;

A. Minghetti, Ceramisti. Artisti Botteghe Simboli dal Medioevo al Novecento, Milano 1939, pp. 386-387

 

Coppa con ampio cavetto, bordo rilevato e orlo dritto, arrotondato e listato in giallo, piede basso ad anello con base appena estroflessa e orlo arrotondato. Il decoro, disposto sull’intera superficie, si sviluppa su uno smalto bianco grigio ricco di inclusioni, ed è realizzato con colori marcati e ritocchi sottili a punta di pennello a sottolineare i lineamenti e i contorni delle figure. Il colore scuro è abbondantemente utilizzato per evidenziare le ombre e alcuni motivi paesaggistici, come ad esempio la grotta in cui dimora San Gerolamo, mentre i tratti somatici e gli elementi della muscolatura sono rimarcati con abbondante uso di bianco di stagno, e alcuni lievi tratti di stagno lumeggiano anche il paesaggio, sapientemente realizzato, nel quale prevalgono i colori freddi in contrasto con quelli caldi utilizzati nelle figure protagoniste della narrazione.

La scena riproduce un episodio leggendario della vita di San Girolamo, narrato da Jacopo da Varazze nella sua Legenda Aurea (1), ma raffigurato nella nostra coppa secondo una versione differente: qui infatti il leone si presenta a San Gerolamo presso la sua grotta ed è il santo stesso, ai cui piedi spicca il cappello cardinalizio, a liberarlo dalla spina e a curarne la ferita, mentre il miracolo è accompagnato dall’apparizione in cielo di un amorino appena accennato, circondato da cinque stelle. La scena principale è occupata anche dai confratelli del santo, intenti a fuggire per lo spavento, rappresentati secondo le modalità iconografiche che riconosciamo in note opere rinascimentali come le Storie di San Gerolamo di Vittore Carpaccio (2) o l’affresco con la Crocefissione tra santi e Storie di san Girolamo dipinto da Benozzo Gozzoli nel 1452 nella Cappella di San Girolamo della Chiesa di San Francesco a Montefalco (3). L’iconografia del San Gerolamo al centro della scena è invece più comune e trova riscontro in opere dell’epoca, come ad esempio nell’incisione con San Girolamo e il leone di Giovanni Battista Palumba (1500-1516 circa) (4). Sullo sfondo una città turrita e altri due episodi della leggenda: il leone a guardia dell’asino e il leone che per punizione diventa bestia da soma.

Sul retro della coppa non compaiono decorazioni ma solo la scritta“1542 / Come San.ierronimo Cava. La / spina dalla zampa. Al lione / Urbino. 

L’iconografia di San Gerolamo (5) qui descritta è aderente alla visione più popolare del santo, ma in realtà la sua personalità è da collegare al diffondersi in Occidente dell’esegesi spirituale di Origene, all’incremento della scelta di vita ascetica della seconda metà del secolo IV e primo ventennio del V, e alla traduzione ed edizione latina definitiva della Bibbia detta “Vulgata”.

La coppa ha una storia collezionistica piuttosto articolata: la notizia più antica che abbiamo rintracciato risale al 1893 (6), ove la coppa viene descritta in relazione alla sigla con monogramma sormontato da un asterisco e, all’interno, le iniziali F e S, iscrizione che compare nell’esergo ai piedi del leone: tale sigla viene in quest’opera attribuita all’antica ceramica di Urbino e la coppa è indicata come precedentemente appartenuta alla collezione torinese del Marchese D’Azeglio. La stessa sigla ritorna pochi anni dopo nel compendio di De Mauri (7), dove compare unitamente a una sigla simile datata sotto il monogramma, entrambe ascritte alla maiolica antica di Urbino. La coppa riappare nelle collezioni Agosti e Mendoza, vendute alla Galleria Pesaro di Milano nel 1936 (8), nel cui catalogo di vendita il piatto, indicato come proveniente dalla collezione Chiesa, è attribuito a Francesco Xanto Avelli, cui viene riferito il monogramma, messo in relazione con il grande piatto con l’assalto alla città Goletta della flotta di Carlo V, datato 1541 e siglato “X” dal pittore rovigino, nel quale si legge In Urbino nella botteg. di Francesco de Silvano (9). Tre anni più tardi Aurelio Minghetti (10) pubblica la coppa descrivendola come “piatto di maiolica Francesco Silvano (?) Urbino 1542”, appartenente alla collezione A. Rivolta di Milano: qui l’autore ipotizza la lettura della sigla come Francesco Silvano, associandola ancora al già citato piatto con L’assalto alla città Goletta della flotta di Carlo V. Dopo quasi sessant’anni il piatto transita nuovamente sul mercato in un’asta dedicata nel 1996 da Sotheby’s (11) a Milano alle collezioni di Palazzo Ferrajoli, questa volta con l’attribuzione a Guido Fontana.

Tutte le ipotesi successive sono state ampiamente discusse e analizzata nello studio di John Mallet pubblicato nel 2003 (12), ripreso da Timothy Wilson l’anno successivo (13), che nell’occasione risolve tutte le ipotesi proposte.

 

 

 

1) Jacopo da Varazze, chiamato anche Jacopo da Varagine, raccolse le vite dei santi nella Legenda Aurea, cui lavorò a partire dal 1260 fino alla morte, avvenuta nel 1296. In essa al capitolo 146 affronta la vita di San Girolamo, narrando tra gli altri un episodio secondo il quale un giorno un leone ferito si sarebbe presentato zoppicando nel monastero ove risiedeva San Girolamo, e mentre i confratelli fuggivano spaventati il santo si avvicinò accogliendo l'animale ferito e ordinando ai confratelli di lavargli le zampe e curarle. Una volta guarito il leone rimase nel monastero, incaricato dai monaci di custodire l'asino del convento. Un giorno, mentre l'asino stava pascolando, il leone si addormentò permettendo il furto dell’asino da parte di alcuni mercanti di passaggio. Tornato solo al monastero, il leone fu accusato dai monaci di aver divorato l'asino, e per punizione gli furono affidate le mansioni dell’animale perduto. Un giorno il leone incontrò sul suo cammino la carovana dei mercanti e riconobbe nella carovana il medesimo asino. La fiera dopo aver messo in fuga i mercanti condusse l'asino e i cammelli, carichi di mercanzia, al convento. San Girolamo perdonò i mercanti, una volta che questi giunsero al convento per recuperare le loro merci, e al leone fu quindi restituita l’innocenza.

2) Le tele di Carpaccio con le storie di San Girolamo sono custodite alla Scuola Dalmata di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia.

3) Gli affreschi di Montefalco, riferibili al 1452, sono i primi lavori che il pittore esegue come maestro, commissionati probabilmente dal notabile montefalchese Girolamo di Ser Giovanni Battista de Filippis, ma gran parte della decorazione pittorica con le storie della vita di san Girolamo è andata perduta. È probabile invece la riproduzione degli affreschi in una o più incisioni coeve, al momento non identificate.

4) A. Bartsch, Le peintre graveur, Vienna 1803-1821, vol. XIII, p. 249 n. 1. Questa stampa è considerata il capolavoro xilografico dell'incisore identificato con G.B. Palumba.

5) La sua figura è riconducibile soprattutto a tre tipologie: come penitente vestito di pelli o cenci, inginocchiato davanti a un crocifisso nell’atto di battersi il petto con un sasso, con accanto la clessidra e il teschio, simboli del tempo che fugge e conduce alla morte; come erudito seduto nel suo studio, intento a scrivere o leggere, circondato dagli strumenti del sapere; come Dottore della Chiesa, raffigurato invece in piedi, con il vestito rosso da cardinale, titolo che all’epoca in realtà non esisteva ma che gli è attribuito in ricordo del suo lavoro presso il papa.

6) W. Chaffers, The Collector's Hand Book of Marks and Monograms on Pottery & Porcelain of the Renaissance and Modern Periods, Londra 1893

7) L. De Mauri, L'amatore di maioliche e porcellane, Milano 1899

8) G. Botta, Le collezioni Agosti e Mendoza, Galleria Pesaro, Milano dicembre 1936, tav. XCIV, cat. 237

9) Si veda J.V.G. Mallet, La biografia di Francesco Xanto Avelli alla luce dei suoi sonetti, in “FaenzaLXX, 1984, p. 399 e J.V.G. Mallet, con contributi di G. Hendel ed E.P. Sani, Xanto. Pottery-painter, Poet, Man of the Italian Renaissance, cat. della mostra, Wallace Collection, Londra 2007, pp. 37-38, fig. 26-27

10) A. Minghetti ,Enciclopedia Biografica e Bibliografica Italiana" il volume "Ceramisti - Artisti, Botteghe, Simboli dal Medioevo al Novecento" 1939, pp. 386-387

11) Sotheby’s, Importanti Mobili, Dipinti, Ceramiche, Argenti e Sculture, Collezioni d’arte da Palazzo Ferrajoli, Milano 4-5 dicembre 1996, lotto 721

12) J.V.G. Mallet, “One artist or two? The painter of the so-called `Della Rovere’ dishes and the painter of the Coalmine service”, in “FaenzaLXXXIX, nn. 1-6, 2003, pp. 50-74

13) T. Wilson, The Maiolica-Painter Francesco Durantino. Mobility and Collaboration in Urbino “istoriato”, in S. Glaser, Italienische Fayencen der Renaissance.Ihre Spurenininternationalen Museumssammlungen, Nürnberg 2004, pp. 111-144. A p. 118