Gio Ponti
(Milano 1891-1972)
TAVOLINO DA CAFFÈ PER LA RESIDENZA CONTINI BONACOSSI, VILLA VITTORIA, FIRENZE, 1932
noce, ottone dorato
Alt. cm 56, diam. cm 79,4
Targhetta in bronzo Gio Ponti su una gamba Perizia rilasciata da Gio Ponti Archives n. 18144/000 in data 10/09/2018
Opera corredata di attestato di libera circolazione.
Provenienza
Residenza Contini Bonacossi, Villa Vittoria, Firenze;
Collezione privata per discendenza diretta, Firenze
VILLA VITTORIA. GLI AMBIENTI ED IL LORO ARREDO
Enrico Colle
Alessandro Contini Bonacossi, nato ad Ancona nel 1878, aveva iniziato insieme alla moglie Vittoria Galli la sua attività di collezionista e mercante di dipinti e sculture soprattutto di scuola italiana nel corso del suo soggiorno in Spagna durato fino al 1918, allorché si trasferì con la famiglia a Roma. Durante quegli anni il Contini intraprese diversi viaggi negli Stati Uniti dove incontrò numerosi collezionisti con i quali egli, oltre a concludere vantaggiosi affari che gli permisero di incrementare notevolmente la propria collezione, strinse anche rapporti di amicizia. Ed è proprio dalla frequentazione delle case dei magnati newyorkesi e dalle relazioni instaurate con l’industriale e collezionista piemontese Riccardo Gualino, attento estimatore delle tendenze dell’arte e dell’architettura contemporanea, che i Contini maturarono un proprio gusto anche per l’arredamento.
Trasferitisi a Firenze, la struttura solenne e nello stesso tempo funzionale della villa fatta costruire nella seconda metà dell’800 dal Marchese Massimiliano Strozzi in quella parte della città allora conosciuta col nome di Valfonda, incontrò subito il consenso di Alessandro e Vittoria Contini Bonacossi, che avevano intravvisto nell’edificio, di recente costruzione ma di nobili origini, il luogo ideale per trasferirvi la propria collezione. Le ampie sale con le austere decorazioni neo-cinquecentesche ben si adattavano ad accogliere i capolavori della pittura e della scultura italiana del Rinascimento e del Barocco che i Contini avevano acquistato, al pari degli oggetti d’arte e dei mobili, a partire dai primi anni del Novecento, così come l’ultimo piano della villa poteva essere razionalmente ristrutturato per ricavarvi una comoda ed elegante abitazione. Acquistata nel 1931 la villa, che d’ora in avanti porterà il nome di Villa Vittoria in onore della moglie del Contini, fu ben presto riarredata seguendo un preciso criterio museale: al piano terreno e al primo piano fu esposta la collezione dei maestri antichi, mentre al secondo piano, dove risiedevano i proprietari, furono collocate le opere degli artisti contemporanei. Negli anni in cui la famiglia si trasferì a Firenze, le collezioni private che riscuotevano maggior interesse erano quelle di Frederick Stibbert, di Herbert Horne, di Stefano Bardini e di Elia Volpi. Tutte queste raccolte, che si erano formate tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, avevano un comune denominatore nella fantasiosa e originale disposizione dei pezzi nelle sale, ricche di oggetti e di opere d’arte fino all’inverosimile. In controtendenza il solo Bernard Berenson, che nella sua villa ai Tatti aveva collocato pitture e oggetti d’arte lungo le pareti ad una giusta distanza, affinché non entrassero in relazione tra loro. E proprio l’abitazione di Berenson fu presa a modello dai Contini, con un’esposizione che inseriva il pezzo d’epoca in un ambiente più sobrio e suggestivo, che puntava più sulla rarefazione che non sull’accumulo. D’altronde durante gli anni venti si era venuta maturando presso gli architetti e gli arredatori italiani una tendenza che portava ad escludere sempre più gli oggetti d’antiquariato disposti con profusione nelle stanze, a favore invece di un arredamento più funzionale dove anche l’opera d’arte antica trovava una sua precisa collocazione.Accanto alla celebre collezione d’arte antica i Contini avevano anche iniziato ad acquistare opere di artisti contemporanei, che furono collocate all’ultimo piano della villa dove la famiglia risiedeva abitualmente, e per cui fu creato un apposito allestimento con arredi disegnati dagli architetti emergenti Gio Ponti e Tommaso Buzzi di Milano e il romano Giulio Rosso. L'appartamento, completato entro il 1932 o al più tardi nell’inverno dell'anno seguente, fu oggetto di un articolo apparso sulla rivista Domus del novembre 1933 dove, oltre a pubblicare diverse immagini delle stanze, si metteva in evidenza come gli architetti fossero riusciti ad inserire armonicamente le opere d’arte contemporanea e gli arredi moderni da loro disegnati in un “ambiente prettamente classico fiorentino". Si trattava infatti di creare un arredamento che fosse funzionale alle esigenze della vita quotidiana dei padroni di casa e che valorizzasse allo stesso tempo la collezione superba di dipinti e sculture d‘artisti moderni italiani. La scelta quindi di due architetti appartenenti alla corrente neoclassica milanese, che si inseriva nella tradizione artigianale lombarda che aveva avuto in Albertolli e Maggiolini i suoi due maggiori esponenti, sanciva una volta di più quella direzione univoca contro l'eclettismo di marca dannunziana e umbertina portata avanti dalla coppia Contini Bonacossi. Nei mobili progettati per la “Camera da letto della Signora" o per la "Quadreria moderna” Buzzi e Ponti ripresero alcune idee dai disegni per interni presentati ad un concorso bandito nel 1926 dalla Rivista illustrata del popolo d'ltalia che aveva per tema l'arredamento di un'ambasciata d'Italia. In quell’occasione, come più tardi nei mobili Contini, essi avevano saputo fondere con "arte delicata e con sicuro intuito" le decorazioni parietali con gli arredi, ricollegandosi “alla tradizione italiana fra la fine del Settecento e il principio dell‘Ottocento” senza rimanerne succubi. I due architetti, si rilevava nelle pagine della rivista Architettura e Arti Decorative, erano riusciti ad evitare "il duplice pericolo d'una eccessiva aderenza alle forme degli stili antichi e d‘un facile orientamento verso forme indubbiamente nobili e moderne, ma non italiane”.
OMAGGIO A GIO PONTI, CATALOGO DELLA MOSTRA AL PALAZZO DELLA PERMANENTE, MILANO 1980
Rossana Bossaglia
Fra il 1930 e il 1931, come certificano le date apposte ai disegni preparati allo scopo, Gio Ponti incominciava a progettare una serie di mobili per il Palazzo dei Contini Bonacossi a Firenze, principiando da quelli destinati alla quadreria – panchette, sedili, un tavolo basso, consoles – L’impresa seguitava con l’arredo di vari altri ambienti della casa… Ponti disegnava ancora diversi mobili, e in particolare tutto un gruppo per il grande salotto-soggiorno…La sequenza di mobili dovuti a Ponti si presta egregiamente a una semplificazione del passaggio dallo stile decò – di cui lo stesso Ponti era stato campione nel primo decennio del dopoguerra - allo stile Novecento…L’occasione dell’arredo Contini è ghiotta occasione per ideare una suite che sia lussuosa ma non di parata, e non venga meno ai criteri di abitabilità: soprattutto per nei pezzi disegnati per il confortevole salotto, che vuole avere un piglio sciolto e una sua opulenza in sordina…Nel passaggio all’arredamento del salotto, l’ironia è caduta; di nuovo Ponti sceglie la sua ispirazione in un presunto arredamento romano, però alle sagome svelte, con tensioni lineari evidenti, si sostituiscono forme piene e solenni e insieme pacate; che non solo meglio corrispondono al più caldo concetto di un ambiente per conversazione e soggiorno, ma a un concetto di sostenuto decoro. Il giuoco intellettuale ha ceduto il passo a una riesumazione ideale: il benessere è sottolineato dall’apparenza pacificamente borghese dell’insieme, mentre all’ispirazione archeologica sono affidati lo scatto espressivo e la sottolineatura d’importanza.Per questo arredo, eseguito con tecnica elaboratissima da una ditta di qualità come quella di Mario Quarti, possiamo parlare di Novecento aulico: che interpreta cioè la lezione razionalista nel senso di negarsi a un decorativismo petulante, ma, riproponendo simbolici modelli antichi, si allinea più con l’architettura neoclassica che con quella di tipo funzionale.Che poi anche in questo momento della sua invenzione Ponti mantenga sotto sotto un sorriso sornione, è pure vero: l’artista non è mai serioso, il suo talento è nel segno della grazia. L’idea di un ambiente signorile che in chiave moderna faccia il verso all’antichità classica è un’idea, si è detto, non ironica, ma certo brillante; è la risposta di un uomo giusto alle impettite accademie archeologiche degli anni Trenta.
VILLA VITTORIA DA RESIDENZA SIGNORILE A PALAZZO DEI CONGRESSI IN FIRENZE, FIRENZE 1995, P. 9
Federico Zeri
Comunemente nota per le sue raccolte di Arte “antica”, Villa Vittoria era anche (nel secondo piano, dove risiedevano i proprietari) un capolavoro dell’arredamento italiano del Novecento. Non so dove si trovino oggi i mobili e gli altri arredi, disegnati da Tommaso Buzzi e da Gio Ponti, ed eseguiti da abilissimi ebanisti e bronzisti…Furono quelle scrivanie, quelle sedie, quelle porte, quelle librerie ad aprirmi gli occhi sulla eccezionale qualità di invenzione, di “stile”, e di esecuzione che ha caratterizzato l’architettura e l’artigianato italiano tra la fine degli anni ’20 e il decennio successivo.
GIO PONTI
Milano 1891-1972
Figura chiave delle vicende del design italiano, è l‘artefice più autorevole del rinnovamento delle arti decorative italiane negli anni Venti e Trenta. Si affaccia sulla scena in un periodo di grande incertezza stilistica. Accoglie il richiamo del “ritorno all'ordine” della classicità che serpeggia nel mondo artistico europeo, individuando nel recupero del classicismo la strada per superare la confusione, il cattivo gusto del neo-eclettismo imperante. Dotato di un’esuberanza creativa inesauribile, si dedica con pari impegno alla progettazione architettonica e a quella di oggetti e di arredi: in ogni occasione, con le parole, gli scritti, le mostre, le opere, si batte per la diffusione della propria concezione estetica e culturale.Soprattutto per quanto concerne gli arredi, e il disegno dei mobili in particolare, il gusto neoclassico di Ponti, ironico e garbato, idealmente derivato da quello lombardo dei primi dell’Ottocento, è così originale e incisivo da imporsi e fare da modello. Nella seconda metà degli anni Venti, seppure non istituzionalizzata, nasce attorno a Ponti e agli architetti a lui più strettamente legati, Buzzi, Lancia e Marelli, una “scuola milanese”. I suoi mobili, dalla sagoma leggera e aggraziata, di accurata fattura artigianale, realizzati in legni pregiati e rifiniti con guarnizioni metalliche - in bronzo dorato, argentato, verde - sono pezzi unici, di lusso, destinati alla ricca borghesia.
LA CASA ALL'ITALIANA
La casa all’italiana non è il rifugio, imbottito e guarnito, degli abitatori contro le durezze del clima, come è delle abitazioni d’oltralpe ove la vita cerca, per lunghi mesi, riparo dalla natura inclemente: la casa all’italiana è come il luogo scelto da noi per godere in vita nostra, con lieta possessione, le bellezze che le nostre terre e i nostri cieli ci regalano in lunghe stagioni…La casa all’italiana è di fuori e di dentro senza complicazioni, accoglie suppellettili e belle opere d’arte e vuole ordine e spazio fra di esse e non folla o miscuglio. Giunge ad esser ricca con i modi della grandezza, non con quelli soli della preziosità.Il suo disegno non discende dalle sole esigenze materiali del vivere, essa non è soltanto una “machine à habiter”. Il cosiddetto “comfort” non è nella casa all’italiana solo nella rispondenza delle cose alle necessità, ai bisogni, ai comodi della nostra vita ed alla organizzazione dei servizi.Codesto suo “comfort” è in qualcosa di superiore, esso è nel darci con l’architettura una misura per i nostri stessi pensieri, nel darci con la sua semplicità una salute per i nostri costumi, nel darci con la sua larga accoglienza il senso di una vita confidente e numerosa, ed è infine, per quel suo facile, lieto e ornato aprirsi fuori e comunicare con la natura, nell’invito che la casa all’italiana offre al nostro spirito di ricrearsi in riposanti visioni di pace, nel che consiste, nel pieno senso della bella parola italiana, il conforto.
Gio Ponti, in Domus, Gennaio 1928
MODERNO O NON MODERNO
Si disente e fervorosamente su questi termini. Vi son pochi argomenti anzi che più di questo facciano inferocire gli spiriti. Io vedo spesso brave, calme, educate persone congestionarsi perdere le staffe, perder lo stile appena pronunciano queste fatali parole: moderno, novecento. Non voglio certo attaccare polemiche: questa pianta fiorisce già da se nei giardini artistico-letterari d’Italia. Lasciamo andare anche le designazioni particolari che ha l’appellativo di novecento riferito a gruppi d’artisti, e badiamo invece al fenomeno. Lasciamo andare polemiche, definizioni, uomini, parti e fazioni e guardiamoci attorno considerando cose moderne o novecento quelle che sono del millenovecento.
Gio Ponti, in Domus, Novembre 1933