Gerrit van Honthorst, detto Gherardo delle Notti
(Utrecht 1590-1656)
RAGAZZO CHE SOFFIA SU UN TIZZONE
olio su tela, cm 97x71
Opera corredata di attestato di libera circolazione.
Provenienza
Roma, collezione Zingone
Esposizioni
Paris Tableau, Parigi, Palais de la Bourse, 7-12 novembre 2012, II; Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre. A cura di Gianni Papi. Firenze, Galleria degli Uffizi, 10 febbraio – 24 maggio 2015, n. 12.
Bibliografia
G. Papi, in Tommaso Megna (a cura di), Fabio Massimo Megna. Paris Tableau. Catalogo della mostra, Roma 2012, pp. 10-15, II; G. Papi, Gherardo delle Notti. Quadri bizzarrissimi e cene allegre. Catalogo della mostra, Firenze 2015, pp. 150-151, n. 12.
Riconosciuto a Gerrit van Honthorst da Giuliano Briganti e da Erich Schleier in comunicazioni private alla proprietà, il dipinto è stato oggetto di uno studio circostanziato da parte di Gianni Papi in occasione delle mostre che hanno reso nota l’opera a un più ampio pubblico di collezionisti e studiosi e, nel caso dell’esposizione fiorentina, hanno consentito il confronto diretto e inequivocabile con il corpus documentato del pittore neerlandese.
Secondo quanto emerso in quell’occasione, il nostro Ragazzo che soffia su un tizzone deve anzi ritenersi la più antica versione di un soggetto destinato ad amplissima fortuna presso i caravaggisti di Utrecht, e una delle più antiche sperimentazioni di quelle scene notturne al lume artificiale così emblematiche della produzione di Honthorst da meritargli il soprannome di Gherardo delle Notti, con cui il pittore olandese fu noto presso i contemporanei e fino ai nostri giorni.
E’ verosimile che questa invenzione, estranea ai soggetti strettamente caravaggeschi, avesse un autorevole modello nel celebre dipinto di Domenico Theotokopoulos, El Greco (legato a sua volta a un’opera di Jacopo e Francesco Bassano) il Ragazzo che accende una candela soffiando su un tizzone ora nel museo di Capodimonte dalla collezione Farnese, noto per una replica firmata e diverse copie antiche che ne testimoniano la fortuna. Curiosamente, anche l’esemplare farnesiano, ricco di riferimenti eruditi alle pitture della Grecia classica descritte da Plinio il Vecchio, risulta attribuito a Gherardo delle Notti negli inventari del primo Ottocento.
E’ questa altresì la probabile fonte per un’altra composizione di Honthorst, ora di ignota ubicazione, dove un giovane dal cappello piumato accende una candela con un tizzone ardente, a sua volta precedente per un dipinto di Hendrick Ter Bruggen nel museo di Eger, Ragazzo che accende la pipa accostandola a una candela (1623) oltre che per altre varianti praticate dagli artisti di Utrecht, da Jan Lievens a Mathias Stomer.
Per il nostro dipinto Papi propone una datazione relativamente precoce, intorno alla metà del secondo decennio del secolo e dunque verosimilmente a metà del soggiorno romano di Honthorst, che si ritiene avvenuto tra il 1610/11 e l’estate del 1620. I confronti proposti dallo studioso rimandano a noti dipinti del pittore olandese, importanti anche per la loro probabile committenza da parte dei principali collezionisti della Roma seicentesca: il Concerto a tre figure, ora alla National Gallery di Dublino, forse dalla raccolta del cardinal Del Monte, e la Liberazione di San Pietro (Berlino, Staatliche Museen) dalla collezione Giustiniani.
Note biografiche
Nato a Utrecht nel 1590, Gerrit van Honthorst si formò nella bottega di Abraham Bloemaert, secondo quanto riferito dalle fonti biografiche. Per il suo arrivo a Roma, non documentato, è stata proposta una data intorno al 1610-11. Il suo studio sui modelli caravaggeschi è confermato da un disegno datato 1616 che riproduce la Crocefissione di San Pietro nella cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo. La prima opera pubblica certificata da documenti risale all’anno successivo: si tratta della pala raffigurante S. Paolo rapito al terzo cielo commessagli dall’ordine Carmelitano per la chiesa di San Paolo a Termini e ora conservata nella chiesa di S. Maria della Vittoria. Seguono altre pale per i Cappuccini di Albano e per la chiesa di Santa Maria della Scala, e opere sacre e profane per committenti privati tra cui Vincenzo Giustiniani. Tra l’autunno del 1619 e la primavera del 1620, su committenza della famiglia Guicciardini, dipinge la pala per l’altare maggiore della chiesa di Santa Felicita a Firenze, poi agli Uffizi, gravemente devastata nel 1993, preludio ad altre commissioni fiorentine. Nel 1620 ritorna a Utrecht, dove avvia una carriera di enorme successo anche al servizio della corte d'Inghilterra, e abbandonando progressivamente i temi e lo stile della sua gioventù caravaggesca. Muore a Utrecht nel 1656.