Giovanni Andrea De Ferrari
(Genova, 1589 circa – 1669 circa)
REBECCA AL POZZO
olio su tela, cm 188x238
REBECCA AT THE WELL
oil on canvas, cm 188x238
Provenienza
Genova, collezione privata
Bibliografia di riferimento
G. V. Castelnovi, La pittura nella prima metà del Seicento: dall’Ansaldo a Orazio De Ferrari, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova1971, ed. consultata Genova 1987, II, pp. 90-96; F. R. Pesenti, La pittura in Liguria. Artisti del primo Seicento, Genova 1986, pp. 307-369; A. Acordon in Genova nell’Età Barocca, catalogo della mostra di Genova a cura di E. Gavazza, G. Rotondi Terminiello, Bologna 1992, pp. 157-163.
Inedita alla letteratura artistica e al mercato, questa grande tela rivela l’uso personalissimo della materia pittorica a cui giunge in età matura Giovanni Andrea De Ferrari, apostrofato da Roberto Longhi come “l’ignaro Velasco di Genova” per le assonanze, successivamente notate da molti, con la pittura spagnola di Velasquez e di Murillo (R. Longhi, Gentileschi padre e figlia, in “L’Arte” 1916, pp. 245-314).
Giovanni Andrea aveva iniziato il suo apprendistato con Bernardo Castello per poi entrare nella bottega di Bernardo Strozzi, pittore a cui le sue prime prove note sono senza dubbio debitrici.
Dopo una serie di pale d’altare e dipinti da stanza realizzati a partire dagli anni Trenta, datati e documentati, dove forte si avverte la vicinanza al collega genovese Domenico Fiasella, nella sua opera inizia a splendere soprattutto la lezione di Van Dyck, ravvisabile nella morbidezza e graduazione dei passaggi e delle penombre.
Le sue figure emergono dalla sottile preparazione della tela attraverso diafane velature di colore su colore, che ne restituiscono la particolare delicatezza e una sorta di effetto vibrato dato dalla riflessione della luce sulle differenti stesure.
Di grande suggestione risultano essere soprattutto gli incarnati dei volti, come è possibile notare anche nella tela qui offerta, caratterizzati anche da una particolare espressività, resa ancor più evocativa proprio grazie alla tessitura sottile della trama coloristica. Analogamente identificative dei modi dell’artista genovese sono le liquide pennellate che movimentano le vesti, quasi sempre dalle tonalità calde, quali il rosso spento dell’abito della nostra Rebecca o i bruni aranciati e i bianchi ribassati di quelli delle sue ancelle e di Eleazaro a cui sta offrendo da bere.
Il soggetto, tratto dall’Antico Testamento, a cui si rifanno moltissime delle storie messe dal De Ferrari in pittura, incontrò grande fortuna in età controriformata, alla luce del significato di prefigurazione del Nuovo Testamento di cui vengono rivestiti alcuni importanti episodi veterotestamentari e, in ambito genovese, per il culto rivolto alla Vergine, proclamata ufficialmente protettrice di Genova nel 1637 e rivestita di insegne regali: Rebecca - e così Sara (moglie di Abramo) e Rachele - diventa infatti oggetto di venerazione in quanto, come Maria, prescelta dal Signore per portare in grembo importanti eredi.
Le liquide e frante pennellate accostano questa importante versione della Rebecca al pozzo alle opere appartenenti all’ultima fase del pittore - quali il Giuseppe rifiuta i doni dei fratelli, di collezione privata genovese, ma ampiamente pubblicata nella letteratura di settore, o La famiglia di Giacobbe conservata presso la pinacoteca dell’ Accademia Ligustica di Genova - dove si assiste a un progressivo disfacimento della materia pittorica e a un costruire le forme grazie al raffinatissimo impasto di luce e colore oltre che alla predilezione per il formato orizzontale, maggiormente adatto alla contenuta teatralità delle sue scene sacre dove spesso è in grado di inserire brani di sapore velasqueziani.