Importanti maioliche rinascimentali

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PIATTO, URBINO, CERCHIA DI FRANCESCO XANTO AVELLI, PROBABILMENTE GIULIO DA URBINO, 1534 CIRCA

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PIATTO, URBINO, CERCHIA DI FRANCESCO XANTO AVELLI, PROBABILMENTE GIULIO DA URBINO, 1534 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia con verderame, verde oliva, giallo, giallo arancio, blu di cobalto, bruno di manganese nella tonalità del nero e del marrone, bianco di stagno; alt. cm 3, diam. cm 28,2, diam. piede cm 10

 

A PLATE, URBINO, CIRCLE OF FRANCESCO XANTO AVELLI, PROBABLY GIULIO DA URBINO, CIRCA 1534

 

Bibliografia di confronto

J.V.G. Mallet, Xanto: i suoi compagni e seguaci, in “Francesco Xanto Avelli da Rovigo. Atti del Convegno Internazionale di Studi 1980”, Rovigo 1988, pp. 78-79;

T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a Private collection, Torino 2018, pp. 262-265 n. 114

 

 

Il piatto ha un ampio e largo cavetto, tesa larga e appena obliqua, orlo arrotondato, e poggia su un piede ad anello abbastanza rilevato. Il verso non è decorato. Sul recto si legge una scena istoriata: al centro del cavetto, in un’ansa di un fiume ai piedi di un’alta roccia, una figura maschile anziana, con lunga barba, esce dall’acqua afferrando con una mano la veste di una giovane donna sull’argine, mentre con l’altra sorregge il tridente, vestito unicamente di un mantello gonfiato dal vento, oltre ai calzari con alti parastinchi; ai suoi piedi emerge dalle acque la testa di un orso con le fauci spalancate. Sulla sinistra la fanciulla, con una lunga veste, che cerca di fuggire sorreggendosi alla mano di una compagna. Sulla tesa opposta una donna con arco e faretra corre verso la foresta. Intorno sullo sfondo si apre un paesaggio lacustre con città dagli alti edifici, torri e alcune montagne dal profilo squadrato.

In assenza di indicazioni fornite sul retro del piatto pensiamo che la scena si possa interpretare come Il ratto di Proserpina: Ade, qui raffigurato senza il carro, rapisce la figlia di Demetra che coglieva fiori sull’argine del fiume insieme a Ecate e Ciane, la stessa Ecate nel frattempo fugge per avvisare la madre di Proserpina. La figura dell’orso, dipinta ai piedi del Dio degli Inferi, si può interpretare in vario modo: a indicare la ferocia del ratto, a simboleggiare Cerbero, oppure in una chiave simbolica ancora da interpretare, come ed esempio ad indicare la morte di un membro della famiglia Orsini (il cardinale Fanciotto Orsini che aveva vissuto la caduta di Roma e la cui morte era avvenuta nel 1534?).

La scena raffigura comunque la narrazione del mito con una certa sincronia temporale: è il momento del rapimento di Proserpina, cui segue la morte e trasformazione in sposa del dio degli Inferi Ade, e la possibilità, solo in seguito, e grazie all’intervento della madre Demetra, di tornare per sei mesi l’anno in superficie generando la primavera e l’estate. Lo specchio d’acqua rappresenta il lago Averno, ingresso dell’Ade, che secondo la versione ovidiana delle Metamorfosi si spalanca colpito dal tridente del dio. Di un certo interesse anche la lettura di Ecate, qui in veste di Diana, secondo una versione romana che associa le due divinità nella loro veste lunare, ma anche accomunate da una lettura più antica, italica, nella quale la Diana/Ecate sovrintende alla nascita, alla crescita e alla morte. Presente in Dante, sia nel Purgatorio sia nell’Inferno in varie accezioni, la divinità è talvolta sovrapposta anche a Persefone stessa (qui gli abiti sono simili, ma non identici), ma ci pare che la sovrapposizione Diana /Ecate /Luna sia quella più comune: si pensi a Farinata che accenna “alla donna che qui regge”, cioè Luna-Proserpina, e quindi Diana (in Inferno, X, 80).

La rappresentazione dei personaggi è probabilmente mutuata da incisioni di più autori, secondo una tecnica particolarmente utilizzata da Francesco Xanto Avelli e seguaci nella prima metà del XVI secolo. Tra le figure ci pare di riconoscere il corpo di Marte dalla serie delle figure in nicchia di Jacopo Carraglio, al quale il pittore ha qui unito il capo di un vecchio e mutato la posizione delle braccia. L’immagine di Diana trae forse spunto da incisioni di Marcantonio Raimondi come la Giustizia o la Temperanza, mentre ci pare invece che la figura di Proserpina possa derivare dalla figura femminile in fuga, posta sulla destra dell’incisione di Giulio Bonasone con il mito di Giasone e Medea, oppure da una delle Esperidi e Ninfe dell’incisione, sempre di Bonasone, con Ercole che guida la mandria di Gerione.

A nostro parere l’ambiente è quello di Francesco Xanto Avelli, e probabilmente si dovrebbe trattare di una collaborazione tra il maestro e uno dei suoi seguaci. Nel confronto con opere degli anni attorno al 1534 si riconoscono molte caratteristiche stilistiche tipiche di quel periodo. Ad esempio i profili con il naso largo, sottolineati in bruno, e gli occhi piccoli lumeggiati di bianco con un piccolo puntino coincidono con un’opera firmata da Giulio da Urbino datata 1534 e conservata al British Museum (inv. PGE1997,4-I,1), altrettanto non possiamo dire per le muscolature potenti lumeggiate di bianco, nel nostro piatto con fattezze allungate rispetto ai muscoli brevilinei e massicci del piatto di confronto.

Nel piatto in esame l’invenzione è complessa come, pure la disposizione dei personaggi; la presenza della roccia alta e scura e certi dettagli del paesaggio, oltre all’uso abbondante del verde scuro e una certa perizia tecnica, farebbero pensare a Xanto Avelli, tuttavia le figure non interessate dal restauro hanno caratteristiche somatiche che ci conducono alla mano di Giulio di Urbino o di Lu.Ur.

Anche nel piatto di recente pubblicazione raffigurante La follia di Orlando attribuito a Giulio di Urbino (T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a Private collection, Torino 2018, pp. 262-265 n. 114) riconosciamo alcune caratteristiche fisionomiche che ci fanno pensare alla mano di Giulio, soprattutto nella figura di Diana/Ecate del nostro piatto. Il piatto di confronto reca anch’esso la data 1534. Tuttavia il modo di lumeggiare la muscolatura, di realizzare i piedi delle figure, ad esclusione di Ecate, di dare contrasti di luce nelle vesti, nei volti e in alcuni elementi del paesaggio ci sembrano ancora molto vicine all’opera di Xanto, ed anche la rapidità nella creazione della raffigurazione, così colta e che gioca sulla conoscenza dei modelli incisori, ci sembra del maestro. Rimaniamo pertanto incerti nell’attribuzione tra il maestro e i membri della sua cerchia, a sottolineare l’importanza dell’opera nel panorama complessivo degli studi della materia. Negli anni di realizzazione del nostro piatto infatti Xanto Avelli era ormai pittore affermato e avrebbe potuto occupare una posizione tale da permettergli di utilizzare assistenti (J.V.G. Mallet, Xanto: i suoi compagni e seguaci, in “Francesco Xanto Avelli da Rovigo. Atti del Convegno Internazionale di Studi 1980”, Rovigo 1988, pp. 78-79).