Scultore senese, sec. XIV
SAN GIUSTO VESCOVO
statua in pietra, cm 107x24x20
Sienese sculptor of the 14th century
SAINT JUSTUS THE BISHOP
stone statue, cm 107x24x20
Iscrizione sul basamento
“SANCTUS IUSTUS DE VULTERIS”
Bibliografia
Mobili, dipinti, oggetti d’arte provenienti da una raccolta privata, catalogo della vendita (casa d’Aste Semenzato), Venezia, 25 - 27 aprile 1975, n. 408
Il personaggio in esame, molto consunto nella superficie per la prolungata esposizione agli agenti atmosferici ma ugualmente apprezzabile per il portamento elegante e per la condotta del panneggio, è abbigliato con i consueti paramenti liturgici episcopali, quali la mitra, la lunga dalmatica e il libro delle sacre scritture sorretto nella mano sinistra, mentre con l’altra sollevata si atteggia in un gesto benedicente. La scritta latina che corre lungo i tre lati visibili della base permette di identificare l’effigiato in San Giusto vescovo e protettore di Volterra. Qui era giunto nel corso del VI secolo per sfuggire dall’Africa, insieme ad altri ecclesiastici guidati dal vescovo Regolo, alle persecuzioni dei Vandali. Approdato sulle sponde della Toscana al tempo soggette alle scorrerie dei Goti, Giusto e suo fratello Clemente si stanziarono a Volterra combattendo le truppe barbaresche ed evangelizzando i territori volterrani. Sulle loro tombe fu edificato nel corso del XII secolo un monastero detto di San Giusto in Botro, poi nel Trecento trasformato in Badia dai monaci camaldolesi.
Non è da escludere che l’opera in esame potesse in origine essere stata concepita per la nicchia o la balaustra di un complesso architettonico realizzato da uno scultore locale per l’interno di quello stesso edificio, in seguito perduto con la graduale distruzione della chiesa avvenuta entro il Seicento a causa degli eventi franosi che interessarono quella parte di Volterra.
Nel corso del Duecento e del Trecento la città, nonostante la dominazione politica fiorentina, rimase dal punto di vista artistico sotto la stretta dipendenza di Siena, ospitando l’attività di influenti scultori come Tino di Camaino, Agnolo di Ventura e Agostino di Giovanni, autori quest’ultimi dell'Arca dei SS. Regolo e Ottaviano, datata 1320, oggi frammentaria nel Museo dell'Opera del Duomo di Volterra. In particolare, il nostro Vescovo dalla fisionomia così allungata, ma al contempo di elevata ed elegante compostezza suggerita dal leggero inarcamento in avanti del busto e dalle ampie falde del panneggio, sembra trovare delle tangenze proprio con la produzione di questi due maestri che entro il decennio successivo portarono a compimento un’altra importante impresa, il sepolcro del vescovo Guido Tarlati nel Duomo di Arezzo, cui partecipò anche il figlio di Agostino di Giovanni, Giovanni di Agostino (R. Bartalini, Agostino di Giovanni e compagni. Una traccia per Agnolo di Ventura, in “Prospettiva”, 61, 1991, pp. 21-23; R. Bartalini, «Segnori al tutto d’Arezzo». Alcune considerazioni sui Tarlati al potere e la loro committenza, in Medioevo: Arte e Storia, atti del convegno di Milano, a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2008, pp. 554-563; R. Bartalini, Scultura gotica in Toscana. Maestri, monumenti, cantieri del Due e Trecento, 2005).
È proprio con la serie di Santi collocati dai maestri ad intervallare le scene della vita del vescovo Tarlati che il nostro personaggio presenta notevoli tangenze, giustificandone l’attribuzione alla mano di uno dei maestri attivi tra Volterra e Arezzo in quella stessa bottega o che ebbe modo di seguirne gli insegnamenti in stretta contiguità cronologica.
G.G. - D.L.