Giovanni Andrea Sirani
(Bologna 1610 – 1670)
APOLLO
olio su tela, cm 101x92
APOLLO
oil on canvas, cm 101x92
Schiacciato tra la fama del suo maestro, Guido Reni, dei cui “pensieri” fu il più abile esecutore, e la precoce reputazione acquisita da sua figlia Elisabetta, la più talentuosa tra le donne che a Bologna si dedicarono alla pittura, Giovanni Andrea Sirani è stato oggetto di ben pochi studi specifici, a partire dal silenzio della Felsina Pittrice nella sua edizione originaria del 1678, cui pose rimedio solo la “aggiunta” alle Vite nell’edizione del 1841 con notizie che si riferiscono, come è naturale, alla sua attività pubblica nelle chiese di Bologna.
Scarse le informazioni sulla sua produzione destinata al collezionismo privato, su cui gettano luce insufficiente le rare citazioni di Marcello Oretti e gli inventari di collezione fin qui disponibili, che riportano tuttavia la presenza di sue tele ben oltre i confini della città natale riferendogli opere di soggetto sacro e profano, tra cui numerose allegorie.
Non desta quindi stupore l’assenza di tracce per la nostra figura di divinità classica, riemersa in maniera imprevista dalla raccolta che lo ospitava da lungo tempo, o forse da sempre.
Accostabile nell’impostazione e nel formato ad altri personaggi che il Sirani trasse invece dalle Scritture, quali il David con la testa di Golia venduto a Londra da Sotheby’s nel 2011, o il San Gerolamo in asta da Christie’s a Milano nel 2009, il nostro Apollo non cita esplicitamente modelli di Guido Reni – il maestro di cui Sirani aveva acquisito i disegni, vale a dire il patrimonio della bottega - ma nel recupero di un modello accademico sapientemente panneggiato non può non ricordare i protagonisti del celebre Bacco e Arianna che Reni aveva dipinto per i Barberini nel 1640, certo con l’aiuto del Sirani stesso.
La tonalità calda del nostro dipinto, intenso nella definizione dei capelli e dell’incarnato del dio giovanetto, rimanda comunque a una fase relativamente tarda dell’attività di Giovanni Andrea Sirani ormai lontano, nel sesto decennio del Seicento, dall’intonazione argentea dell’ultimo Reni che a Bologna rimase, peraltro, largamente incompresa e priva di eredi immediati.