Capolavori da collezioni italiane

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Maestro del San Sebastiano di Cascia

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Maestro del San Sebastiano di Cascia

(scultore di cultura tedesca attivo in Umbria nell’ultimo quarto del secolo XV)

SAN SEBASTIANO

statua in legno dipinto, cm 148x52x40

L'opera è corredata di certificato di libera circolazione

 

In questa affascinante, inconsueta effigie del popolare martire - invocato come protettore contro le pestilenze - il corpo atletico, ma ormai smagrito dalle sofferenze, di San Sebastiano (Narbona 256 - Roma 304), il giovane ufficiale romano condannato dall’imperatore Diocleziano per aver diffuso fra le truppe la fede cristiana, trafitto dalle frecce scoccate dai suoi stessi commilitoni (in origine infisse nel simulacro), s’inarca violentemente all’indietro flettendo il torso verso destra, come contratto da un acuto spasmo di dolore, mentre la testa è rivolta verso il  cielo e nel languore del volto esprime una serena accettazione dell’atroce supplizio. Lo spiccato naturalismo della cruda immagine, dove risaltano la tensione dei tendini e dei fasci muscolari, il gonfiore delle vene e la consistenza dell’epidermide, si addolcisce, dunque, nella grazia dei tratti fisionomici, assumendo poi modi più stilizzati e preziosi nell’intaglio metallico della folta capigliatura animata da scattanti riccioli a spirale disposti con cadenze simmetriche. Altrettanto elegante e virtuosistica appare la lavorazione del perizoma (dove si apprezza un’antica doratura ‘graffita’, forse originaria come quella dei capelli e la policromia degli incarnati), immaginato come una fusciacca increspata da fitte e sottili piegoline lamellari; e singolare è l’articolazione della mano destra, legata all’altra dietro la schiena, con due dita piegate (il mignolo e l’anulare) in modo da esibire con le altre il numero tre, presumibilmente allusivo al dogma trinitario affermatosi durante la vita del Santo e proclamato poco dopo la sua morte dal Concilio di Costantinopoli nel 381.

La gran parte delle peculiarità formali che abbiamo descritto, come l’insolita postura inarcata, il verismo anatomico, la rigogliosa acconciatura inanellata, le increspature tese a ventaglio del tessuto, associano palesemente quest’opera a una suggestiva, intrigante statua lignea che raffigura anch’essa San Sebastiano conservata oggi nel Museo di Palazzo Santi a Cascia in Valnerina (fig. 1) (proveniente da una confraternita di flagellanti dedicata al Santo presso la chiesa di Sant’Agostino), oggetto di una cospicua letteratura critica non ancora approdata ad un’esauriente definizione attributiva (E. Mancini, in Museo di Palazzo Santi. Chiesa di Sant’Antonio Abate, a cura di G. Gentilini e M. Matteini Chiari, Firenze 2013, pp. 112-113 n. 200, con bibliografia precedente). Un interrogativo, quello della paternità del San Sebastiano di Cascia e di altri ad esso imparentati, sondato con viva curiosità anche in studi recenti sulla scultura in Umbria, che certo troverà nuova linfa nell’inedita statua in esame, riferibile forse al medesimo autore o alla sua stretta cerchia, seppure in un momento successivo, come suggerisce il superamento della bizzarra vena espressionistica prevalente nel simulacro casciano in favore di un’intonazione più misurata e classicista, consona ad una datazione intorno al volgere del secolo.

Senza qui addentrarci in questa complessa disamina, è opportuno rammentare che alla statua di Cascia, attribuita inizialmente al celebre scultore veneziano Antonio Rizzo di cui le fonti attestano una fuga nel 1498 verso Ancona e la vicina Foligno, vennero già accostate da Geza De Francovich (Un gruppo di sculture in legno umbro-marchigiane, in “Bollettino d’Arte”, VIII, 1929, pp. 418-512) altre statue lignee della Valnerina e dell’Umbria meridionale raffiguranti San Sebastiano, ravvisandovi “schemi e forme in un certo qual senso tipiche del naturalismo padovano-mantegnesco degli ultimi decenni del Quattrocento, ma viste e interpretate attraverso la personalità di Antonio Rizzo”, in analogia alla penetrazione della pittura padana nei territori umbro-marchigiani attraverso il Crivelli e l’Alunno. Tra queste il San Sebastiano della parrocchiale di Muccia (fig. 2), lungo il valico appenninico che dalla Valnerina porta a Camerino, appare il più direttamente assimilabile all’effigie di Cascia ed a quella che qui si presenta, per la postura flessa e sbilanciata, mentre le statue della zona ternana, in San Francesco a Sangemini (confluito nella Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia), San Francesco a Stroncone, San Pietro a Collestatte (fig. 3) e Santa Maria della Misericordia a Terni (ora nel Museo Diocesano) (fig. 4) - le ultime due aggiunte al gruppo da Lorenzo Principi (Il Sant’Egidio di Orte: aperture per Saturnino Gatti scultore, in “Nuovi Studi”, XVII, 2012, 18, pp. 101-128, a p. 127 nota 67) che ne segnala anche un esemplare conservato presso l’Allen Memorial Art Museum di Oberlin (Ohio) -, si distinguono per la posa a gambe incrociate, desunta dal celebre Pothos di Scopas. D’altra parte, nonostante le indubbie affinità formali che accomunano le versioni del gruppo casciano, sia tra loro sia con quelle del gruppo ternano, in tutte queste sculture si riscontrano varianti, tipologiche e qualitative, che fino ad oggi non hanno incoraggiato la critica a formulare nuclei omogenei riferibili a una stessa personalità.

Ricordiamo comunque che tra le varie proposte avanzate per il San Sebastiano di Cascia (fig. 1) si registrano i nomi di Nicola di Ulisse da Siena, ben noto come pittore assai attivo in Valnerina sulla metà del Quattrocento, e dello scultore Battista di Barnaba da Camerino, uno stretto collaboratore di Donatello attestato in più occasioni presso la corte di Mantova, nel 1454 a Perugia e da qui in area marchigiana fino agli anni Settanta (cfr. Mancini, op. cit.). Ma sembra più fondato e fruttuoso il recente orientamento, già ribadito da voci diverse (C. Sapori, in Arte e territorio. Interventi di restauro. 4, a cura di A. Ciccarelli, Terni 2006, pp. 277-286 n. 30; Principi, op. cit.; G. Gentilini, La scultura nelle raccolte museali e nel territorio di Cascia, in Il Museo di Palazzo Santi, cit., pp. 15-24, a p. 19), che ravvisa nell’eccentrica intensità espressiva, nella lenticolare attenzione anatomica unita all’elegante stilizzazione dei capelli, come pure nel virtuosismo tecnico che caratterizzano le varie opere ricordate, una cultura figurativa da ricondurre ai prolifici intagliatori tedeschi operosi al tempo in questi stessi territori, tra i quali si distinse Giovanni Teutonico (Giovanni di Enrico da Salisburgo), documentato a Perugia, Terni e Norcia tra il 1478 e il 1498 per un’ampia, raffinatissima produzione di Crocifissi prediletta dalla committenza francescana, cui infatti Sara Cavatorti (Giovanni Teutonico. Scultura lignea tedesca nell’Italia del secondo Quattrocento, Perugia 2016, pp. 67-71, p. 222 n. E.II.11) ha ora plausibilmente attribuito il San Sebastiano di Terni (fig. 4) trovando conferma nelle fonti locali.

 

Giancarlo Gentilini e David Lucidi