Antiveduto Gramatica
(Siena 1571-Roma 1626)
SIBILLA TIBURTINA
olio su tela, cm 74,5x64
THE SYBIL OF TIBUR
oil on canvas, cm 74,5x64
Il lotto è corredato da uno studio critico di Gianni Papi
La scritta incisa sulla lapide tenuta in mano dalla figura femminile protagonista del dipinto (“O FELIX ILLA MATER”) la identifica con la Sibilla Tiburtina. Le parole sono infatti la prima parte della frase che connota la Sibilla (“O FELIX ILLA MATER CUIUS UBERA ILLUM LACTABUNT”).
Le caratteristiche stilistiche, molto evidenti, dell’opera in esame indicano l’autografia di Antiveduto Gramatica, piuttosto che quella di suo figlio Imperiale, col quale talvolta – in opere segnate da un forte accento classicista, dovuto all’interesse per Domenichino maturato negli anni Venti – possono sussistere equivoci attributivi. In questo caso però la qualità di alcuni particolari, come la notevole manica dal movimentato e plastico panneggio, indicano senza dubbio la paternità del Gramatica Senior, essendo tale brano perfettamente corrispondente al linguaggio del pittore espresso in altre opere mature appartenenti, come questa appunto, al terzo decennio del XVII secolo: si guardi ad esempio agli esemplari conservati della serie sabauda delle Muse o al Parnaso Del Monte oggi in collezione privata (per i dipinti citati e per le notizie sul pittore, si vedano le due monografie dedicate a Antiveduto Gramatica: G. Papi, Antiveduto Gramatica, Soncino (CR), 1995; P.H. Riedl, Antiveduto della Grammatica (1570/71-1626). Leben und Werk, Munich 1998).
Anche la complessità strutturale e l’attenzione date alla voluminosa acconciatura (un classico di Antiveduto, già stigmatizzato da Giulio Mancini, quando sottolineava: “eccede nel fare i capelli”, si veda G. Mancini, Considerazioni sulla pittura, 1617-1621 circa, ed. a cura di A. Marucchi e L. Salerno, Roma, 1956-1957, I, p. 245.) è una sorta di firma di Gramatica, riconoscibile ugualmente nella Venere con tre amorini già Gasparrini, nelle versioni autografe dell’Angelo custode, nell’Elena del Museo del Castello di Eger, nella Salomè che riceve la testa del Battista già Lampronti.
La ricomparsa di questa Sibilla Tiburtina, presumibilmente frutto di una commissione di livello, considerato il tema aulico, potrebbe suggerire l’esistenza di altre figure dello stesso tenore attualmente non conosciute e di cui non è traccia nelle evidenze documentarie in nostro possesso attualmente (si veda la sezione dedicata alle opere perdute o non identificate, citate dalle fonti e dagli inventari, in G. Papi, Antiveduto Gramatica cit., 1995, pp. 141-144).
Come ho già anticipato, le caratteristiche fortemente classiciste di questa immagine collocano il dipinto in anni molto maturi dell’attività di Antiveduto, quelli del terzo decennio, quando il pittore sembra molto sensibile al linguaggio di Domenichino, che lo spinge a contaminare in tale direzione la vocazione naturalista, di matrice caravaggesca, dimostrata dalle opere del decennio precedente.